“Minimum” sindacale

Iniziamo questo abstract pubblicando la pagina finale della relazione introduttiva di Luigi Sbarra al XIX Congresso Cisl. 

Questo davvero è il tempo dell’unità di intenti e della coesione. Ma è anche il tempo dell’innovazione e del coraggio. Della responsabilità e del cambiamento. Noi anche oggi, dal nostro Congresso, vogliamo lanciare a tutto il Paese un messaggio di fiducia e di speranza. Vogliamo condividere la consapevolezza che i problemi si risolveranno solo partendo dalla centralità della persona, dando risposta alle esigenze e alle domande del singolo lavoratore e della sin­gola azienda. E insieme vogliamo trasmettere la convinzione che seppure ancora molto lunga, la strada è aperta, il percorso della ricostruzione è avviato. È il grande compito che abbiamo davanti, che ha davanti la nostra generazione di Sindacalisti Cisl.

Il Sindacato ha scritto le sue pagine migliori, e ha contribuito a scrivere le pagine migliori della nostra vicenda nazionale, quando ha saputo rispondere a ciò che deve essere: un’organizzazione, una comu­nità di donne e di uomini, capace di uscire dalla dimensione angusta della convenienza e dei piccoli interessi di parte, pronta a volare alto e al tempo stesso ad occuparsi delle questioni reali che decidono la vita delle persone. È il Sindacato che intende il cambiamento come apertura agli altri. Non come una minaccia, ma come un’opportunità. In nome non della paura e della rinuncia, ma della speranza e dell’impegno.

È questa l’attività sindacale che ha contribuito alla diffusione della libertà e del benessere, quando in precedenza libertà e benessere erano solo per pochi. L’attività sindacale che ha dato diritti e dignità ai lavoratori, gli stessi che prima erano costretti a togliersi il cappello di fronte al padrone. Che ha fatto vivere meglio le persone. E che ancora oggi può farlo. Ad una condizione, però: che sia sfida, che sia coraggio di fronte alle novità. Che sia non permanen­za, non perenne attracco in porti solo apparentemente sicuri, ma capacità di affrontare il mare aperto. Perché quando tutto è in movimento, non è fermandosi che si può sperare nella salvezza. La tempesta va attraversata. Cercando nuove rotte, che conducano a nuovi e più sicuri approdi.

Lo spiegava bene Ralph Dahrendorf quasi trentatré anni fa, scrivendo all’indomani del crollo del Muro di Berlino, mentre la scena globale, così come oggi, stava cambiando in profondità. “Il primo dovere – diceva – è di rimanere aperti al cambiamento. La società aperta non promette una vita facile. Gli uomini, in realtà, sono pericolosamente inclini ai conforti di un mondo chiuso. Ma se vogliamo progredire e migliorare noi stessi e le condizioni di vita di uomini e donne su questo pianeta, dobbiamo accettare e anzi cercare la prospettiva incerta e scomoda, ma esaltante, degli orizzonti aperti”.

Eccolo, il coraggio di cambiare. Di fronte alle cose che cambiano, si deve saper cambiare. E se il cambiamento non c’è, se tutto è fermo, se le ingiustizie e le disuguaglianze si fanno stridenti, bisogna saperlo promuovere. Anche quando tutto sembra dire il contrario.Mentre tutto intorno a noi è in movimento, con la caparbietà del nostro lavoro, con la forza delle no­stre idee, insieme alle energie di chi vorrà condividere il cammino della responsabilità e dell’ambizione, questo nostro Paese noi lo cambieremo, e lo porteremo lì dove non è mai arrivato: all’approdo di un nuovo modello sviluppo partecipativo, inclusivo, equo e sostenibile. Viva il Sindacato e il mondo del lavoro, viva la Cisl, viva l’Italia.

Quale brillante penna ha scritto queste parole? Peccato che descriva una Cisl che tale non è, e per come ha finora agito non è neppure credibile il segretario che le ha pronunciate, che non ha avuto neppure il coraggio politico di analizzare il clamoroso flop della contrattazione nazionale e di secondo livello che sono una concausa della perdita del potere d’acquisto dei salari di circa il 3% in trent’anni. Unico caso in Europa. Non  passa neppure per la testa del leader delle Cisl di rispondere, di interloquire con ciò che scrive un attento ricercatore e studioso come Luca Ricolfi quando sottolinea che “…l’estensione dell’economia sommersa e l’ampiezza del settore paraschiavistico, infatti, dipendono solo in minima parte dall’assenza di un salario minimo legale. La vera radice di queste storture, oltre che – ovviamente – nell’arretratezza complessiva del sistema-Italia, sta in due clamorose assenze o, se preferite, “insufficienti presenze”: quella dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro e quella delle organizzazioni sindacali. Finché su aberrazioni che si vedono “a occhio nudo”, come quella dei campi di raccolta del pomodoro, si continuerà a chiudere un occhio, non ci sarà mai salario minimo legale (Sml) che basti a fermare l’obbrobrio…” (vedi articolo allegato)

Anzi con voce tonante Luigi Sbarra rivendica il primato della contrattazione, pensando di essere nel contesto socio-economico degli anni 60-70, contro il salario minimo con valore erga omnes, quindi con una norma legislativa, ammonendo il Parlamento e il Governo a non invadere “il campo” riservato alle relazioni sindacali. La pensiamo ben diversamente.

Qui pubblichiamo alcune interviste del Presidente della Confindustria, Carlo Bonomi, quella del Ministro del Lavoro, Luca Orlando e del direttore del CPI, Carlo Cottarelli, nelle quali esprimono le loro proposte e valutazioni sull’irrisolto problema del minimo salariale legale (Sml); nel contempo sottolineiamo che a tutt’oggi non esiste una chiara posizione unitaria di Cgil Cisl Uil (siamo al minimum sindacale!!!) che tutt’al più convergono, chi più e chi con meno convinzione, sulla proposta di metodo del Ministro Orlando per pervenire alla definizione di salari minimi di settore.

L’articolo di Natale Forlani, già segretario confederale Cisl dal 1991 al 1998 e poi con una carriera di importanti ruoli di amministratore delegato o di presidente in associazioni, enti e società, pubblicato su http://www.associazionepopolari.it/APWP/2022/06/13/sul-salario-minimo-legale-2/ esprime i tanti motivati No al salario minimo legale che fanno parte della storia della Cisl e, probabilmente sono ritenuti tutt’ora validi dalla maggioranza dei irigenti della Cisl.

Infine sottolineiamo che non esiste alcuna proposta sindacale formalizzata per superare la principale causa del lavoro precario e del salario precario (anche di soli pochi giorni), ovvero i tanti torrenti che alimentano il grande fiume del lavoro povero; al riguardo alleghiamo la proposta di “Prendere parola“, contenuta nella relazione introduttiva di Savino Pezzotta, a Verona il 31 maggio scorso, (…) Il primo punto riguarda il lavoro povero e la precarietà del lavoro la frammentazione di contratti a tempo, anche di pochi giorni. Al di là delle tradizioni cisline sul primato assoluto della contrattazione conta la realtà che certifica la perdita di peso di incidenza della contrattazione.  Il lavoro è povero perché saltuario e con minimi contrattuali troppo bassi (e di ciò è responsabile la contrattazione). Pertanto pensiamo che il superamento di questa cronica situazione è possibile se si adottano provvedimenti per:

  • elevare i minimi dei contratti nazionali e che i Ccnl abbiano efficacia erga omnes e per questo serve una norma legislativa e la certificazione delle rappresentanze di chi sottoscrive accordi;
  • realizzare un’agenzia nazionale (pubblico privata) articolata a livello territoriale che gestisca la flessibilità assumendo con contratti a tempo indeterminato (con un buon stipendio e con formazione professionalizzante anch’essa retribuita, non a totale carico delle aziende) i lavoratori disponibili alla flessibilità, a contratti a tempo in questa o quella azienda. (…) vedi allegato

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1 commento
  1. redazione
    redazione dice:

    𝙍𝙞𝙘𝙚𝙫𝙞𝙖𝙢𝙤 𝙙𝙖 𝙂𝙞𝙜𝙞 𝙍𝙚𝙙𝙖𝙚𝙡𝙡𝙞, 𝙚𝙭 𝙨𝙞𝙣𝙙𝙖𝙘𝙖𝙡𝙞𝙨𝙩𝙖 𝘾𝙞𝙨𝙡 (𝙜𝙞𝙖̀ 𝙨𝙚𝙜𝙧𝙚𝙩𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙜𝙚𝙣𝙚𝙧𝙖𝙡𝙚 𝙁𝙞𝙢 𝘾𝙞𝙨𝙡 𝙈𝙤𝙣𝙯𝙖 𝙚 𝘽𝙧𝙞𝙖𝙣𝙯𝙖) 𝙪𝙣𝙖 𝙧𝙞𝙛𝙡𝙚𝙨𝙨𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙨𝙪𝙡 𝙩𝙚𝙢𝙖 𝙙𝙚𝙡 𝙨𝙖𝙡𝙖𝙧𝙞𝙤 𝙢𝙞𝙣𝙞𝙢𝙤 𝙘𝙝𝙚 𝙣𝙤𝙣 𝙡𝙤 𝙫𝙚𝙙𝙚 𝙙𝙖𝙘𝙘𝙤𝙧𝙙𝙤 𝙘𝙤𝙣 𝙡𝙖 𝙥𝙤𝙨𝙞𝙯𝙞𝙤𝙣𝙚 𝙙𝙚𝙡𝙡𝙖 𝘾𝙞𝙨𝙡 𝙨𝙪𝙡𝙡’𝙖𝙧𝙜𝙤𝙢𝙚𝙣𝙩𝙤.
    Di seguito il suo testo:
    Salario minimo, perche non sono d’accordo con il mio sindacato, la Cisl.
    Ritengo che alle condizioni attualmente presenti nel nostro Paese in tema di rapporti di lavoro, la definizione di un salario minimo oltre ad essere un tema importante è assolutamente necessario e indispensabile, anche se questo è solo uno dei problemi legati al nostro mercato del lavoro..
    A mio modo di vedere, il tema del salario minimo si lega direttamente a quello della precarietà nelle sue forme più variegate che si sviluppa in “una giungla” di rapporti di lavoro che appare sempre più evidente, penso a tutto il mondo delle partite IVA false o vere che siano, dei lavoratori sfruttati e mascherati da stagisti, il mondo degli interinali e la lista può continuare. Per farmi capire cito alcune esperienze che ho conosciuto da vicino ma che sono patrimonio di tantissime persone che le vivono direttamente su di se o su un loro famigliare, conoscente, ecc..
    Un giovane viene assunto con un contratto di stage che prevede l’affiancamento con un proprio “tutor” che lo aiuterà ad apprendere la mansione che dovrà poi svolgere all’interno di quell’azienda. Peccato che da subito il rapporto ha uno sviluppo molto diverso da quanto scritto e sancito nel contratto stesso, il tutor lo affianca il primo giorno di impiego con lo stage poi non lo segue più e lo stagista viene lasciato da solo a svolgere (di fatto) una mansione prevista dal CCNL del settore ma con il costo e pagata con il contratto di stage. Altro paradosso, il giovane si dimostra sveglio e capace e riceve la fiducia dei titolari dell’azienda (restando stagista) e gli vengono affidati compiti e mansioni autonome e di responsabilità, inoltre dopo poco tempo siccome l’attività si svolge su orari differiti di entrata ed uscita, quando lui deve iniziare il mattino presto si ritrova ad avere le chiavi per aprire l’azienda, in qualche caso trovandosi ad operare da solo all’interno.
    Altra esperienza vista da vicino mentre facevo volontariato nel settore della cultura e dei beni museali, mi imbatto con giovani laureati che di fatto svolgono mansioni similari ma sono assunti e hanno l’applicazioni di CCNL diversi tra di loro (alcuni il contratto del Commercio altri quello dei servizi fiduciari) creando in questo modo discrepanze, divisioni e difficoltà a questi dipendenti di organizzarsi tra di loro per difendere i loro diritti.
    Senza parlare del mondo variegato della logistica, dove si apre il problema dei subappalti e delle cooperative, tra l’altro il tema delle false cooperative è molto più esteso; il salario minimo potrebbe porre dei limiti a questi soprusi. Lo so, anche da esperienza diretta (sono stato responsabile sindacale nei settori tessile, chimico, farmaceutico, metalmeccanico) che ci sono contratti nazionali che rispondono alla necessità del giusto reddito. Molto probabilmente bisogna ragionare sulle difficoltà dei rinnovi, di alcuni vincoli introdotti con le cosiddette politiche dei redditi (l’Italia è l’unico Paese con i salari diminuiti) ma anche con il fatto di come vengono poi applicate nelle singole realtà aziendale i contratti di lavoro previsti.
    Contratti nazionali che in Italia si contano fino a 900 (da più tempo si parla di ridurli ma in questi anni sono addirittura aumentati) tra questi ce ne sono alcuni (ad esempio quello dei multiservizi) che hanno minimi molto bassi e poi c’è il tema dei famigerati contratti pirata; vi è sicuramente la necessità di fare ordine in questa situazione.
    Serve una norma legislativa che tenga conto dell’equilibrio e del rapporto con la contrattazione fatta dai sindacati maggiormente rappresentativi con le controparti imprenditoriali ma che cerchi di dare le risposte ad un mondo del lavoro ancora fortemente sommerso, in particolare nel mondo dei servizi, del turismo e di alcune delle piccole realtà.
    C’è una grossa fetta del mondo del lavoro che oggi viene escluso da alcune tutele e il salario minimo (anche se la direttiva europea non è da sprone per l’Italia) può fornire uno strumento utile in più per affermare la tutela per queste lavoratrici e lavoratori.

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