L’economia del burnout

Dalla rivista Scarpe de’ tenis (dicembre 2024-gennaio 2025-https://scarpdetenis.it/la-storia/) pubblichiamo l’articolo di Mario BartoliniL’ossessione per la crescita ha portato a un’economia del burnout – depressione,stress- prendendo spunto  dal Report dell’Onu del 2024 sulle conseguenze dell’economia ossessionata dalla continua crescita del Pil che produce malessere e depressione (burnout) in particolare per i lavoratori precari (tempo e salari); sono analisi e riflessioni che mancano nelle 54 pagine delle Tesi Congressuali della Cisl, deficitarie nel descrivere le condizioni reali di vita e di lavoro dei lavoratori, dei precari dei disoccupati e dei pensionati.  

Già prima dell’epidemia Covid alcune ricerche, in particolare negli USA, hanno segnalato che la depressione riguarda anche i giovani, in particolare tra i 18-25 anni con percentuali tra il 15-20%, ma già presente dopo i 12 anni. Nel 2020, inoltre, il 9% degli americani dai 12 anni in su ha avuto un episodio di depressione maggiore. Con essa si accompagna alcool, droghe e medicinali. Vogliamo aprire gli occhi.

“La ricerca di un aumento del prodotto interno lordo a tutti i costi ha creato un’ondata di problemi di salute mentale, in particolare tra le persone in situazione di povertà”. Lo dice il Rapporto Onu 2024 che, perla prima volta, collega il modello di sviluppo all’esplosione dei casi di depressione e di esaurimento. Così inizia l’articolo di Bartolini << Il nostro modello di svi­luppo ha portato a un certo aumento del benessere, benché confinato in larghis­sima parte nel solo Nord del mondo. E, in esso, concen­trato nelle mani di pochi. Le disuguaglianze e le sacche di povertà rappresentano dunque in qualche modo un elemento costitutivo dei si­stemi economici che affon­dano le loro radici nella dot­trina liberista. Ma la realtà è che il prezzo che viene im­posto, in particolare ai lavo­ratori, non è solo meramen­te finanziario.

A spiegarlo è un nuovo rappor­to pubblicato dal relatore speciale delle Nazioni Unite sulla povertà estrema e sui diritti umani, Olivier De Schutter: si tratta del primo do­cumento dell’Onu che attribuisce, a chiare lettere, al modello di svi­luppo un’esplosione dei casi di de­pressione e di esaurimento nervoso in coloro che quello stesso siste­ma alimentano con il loro lavoro…>> per proseguire aprire l’allegato.

Paolo M.Alfieri in “Sono i lavoratori più flessibili le vittime dell’economia del burnout”, pubblicato su L’Avvenire del 24 ottobre 2024, così inizia <<Il rapporto Onu sottolinea che i problemi di salute mentale tre volte maggiori tra chi ha redditi bassi e flessibilità lavorativa estrema.. Siamo sempre più una «economia del burnout», immersi in un modello «ossessionato dalla crescita», impegnati in «una corsa per aumentare i profitti di una piccola élite» e che ha finito per rendere milioni di persone «troppo malate per correre».

La crescita a tutti i costi, quella che non guarda in faccia ai diritti e con uno schema produttivo che non conosce condivisione e inclusione, sta creando «un’ondata di malattie mentali» tra le persone in povertà. E se già da tempo molto si parla dello stress da lavoro e da competizione dei colletti bianchi, così come una certa attenzione si pone ai problemi di chi un lavoro non ce l’ha proprio, non sempre si sottolinea abbastanza quanto la flessibilizzazione del lavoro incida sull’aumento dei problemi di salute mentale che colpiscono le persone a basso reddito. Se 970 milioni di persone (l’11% della popolazione mondiale) soffrono di un problema di salute mentale, coloro che hanno un reddito più basso e condizioni di flessibilità lavorativa estrema hanno una probabilità fino a tre volte maggiore di soffrire di depressione, ansia e altre malattie mentali comuni rispetto a coloro che hanno i redditi più alti.

A certificarlo è ora un nuovo studio del relatore speciale Onu sulla povertà estrema e i diritti umani, Olivier De Schutter, che punta il dito sulle politiche governative designate a stimolare «a tutti i costi» la crescita economica, quando quel costo, spesso, è fatto di persone, soprattutto quelle con meno mezzi economici. «Si riconosce sempre più che gli impatti sulla salute mentale derivanti dal vivere in un mondo schiavo della crescita, ossessionato dalla produttività e dalla competitività, contribuiscono al “burnout” tra i colletti bianchi – evidenzia De Schutter -. Tuttavia sono le persone che vivono in povertà, che lavorano per lo più in lavori informali o precari, a soffrire di più di questa condizione, pur avendo meno risorse per farvi fronte, creando una crisi di salute mentale che è in gran parte ignorata e invisibile».

Il documento descrive dettagliatamente i meccanismi in base ai quali i cambiamenti nelle condizioni di lavoro e le iniziative volte a “flessibilizzare” il lavoro abbiano svolto un ruolo importante nell’aumento dei problemi di salute mentale che colpiscono le persone a basso reddito. Le decisioni prese «nel perseguimento della crescita» per spingere i lavoratori verso forme di lavoro meno standard hanno portato a un minor numero di contratti di lavoro a lungo termine, a più lavoro a tempo parziale “occasionale” o “autonomo” e, di conseguenza, a una riduzione del numero dei lavoratori tutele e salari.

Paradossalmente, sottolinea lo studio, nella gig economy di oggi «la disoccupazione a volte può essere un’opzione più salutare che accettare un lavoro». E questo perché «mentre la disoccupazione può aumentare il rischio di patologie mentali, è stato riscontrato che svolgere un lavoro precario porta a risultati ancora peggiori in termini di salute mentale, a causa dell’insicurezza, della mancanza di potere contrattuale, di retribuzioni ingiuste e di orari di lavoro estremamente imprevedibili che rendono impossibile gestire un sano equilibrio tra lavoro e vita privata».

Combattere l’aumento della precarietà del lavoro, garantire diritti e salari equi resta fondamentale per migliorare la salute mentale di chi è stato lasciato in fondo. Una società diseguale è una società in cui a crescere davvero sono in pochi, non solo a discapito del benessere di tutti ma anche della salute mentali di molti. Provare a interrompere questo circolo vizioso è alla base di ciò che può definirsi comunità.https://www.avvenire.it/economia/pagine/il-rapporto-del-relatore-onu-sulla-poverta

Per il testo completo del rapporto (in inglese) – United Nations A/79//F2404605 – General Assembly Distr.: General   11 July 2024   Original: English, un clic qui https://www.bin-italia.org/wp-content/uploads/2024/10/De-Schutter.2024.A_79_SR-Poverty_FOR-SUBMISSION-17.7.2024.pdf

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *