La prima intervista a Mario Draghi, dopo le sue dimissioni da premier, è stata rilasciata a Antonio Polito per il Corriere della Sera del 24 dicembre. E’ la narrazione della sua esperienza di governo. Sottolinea « L’Italia al centro dell’Europa…non spetta a me giudicare il governo. Mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare il nostro peso». Riepiloga anche le cause e i responsabili politici allo stop della sua esperienza, sottolineando che avrebbe voluto proseguire. Noi vogliamo anche ricordare che i sindacati confederali non hanno certo brillato nel sostenere i punti di fermezza di Draghi sui quali si è logorata la fiducia nella maggioranza di unità nazionale. Oltre il problema delle armi all’Ucraina, i punti di elevata frizione sono stati: la riforma del catasto, la delega della legge fiscale, i balneari e i taxisti (concorrenza), il superbonus e le fatture fantasma… E’ un’intervista utile, anche per riflettere sulle battaglie non date dal fronte progressista e dal movimento sindacale.

  • Tante le sfide raccolte e vinte in 20 mesi. Il Paese ha dimostrato di farcela – L’Ucraina? Solo Putin può fermare i massacri
  • In Europa la causa primaria dell’alto tasso d’inflazione è il prezzo dell’energia, che la Russia ha fatto salire
  • Faccio il nonno, ho 4 nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare
  • L’Italia ha dimostrato di farcela serve coesione e dialogo  Non spetta a me giudicare il governo. Mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare  il nostro peso
  • Noi cresciuti più di Francia e Germania. Continuare a proteggere i più fragili.

Ex premier Mario Draghi, 75 anni, è stato presidente del Consiglio dal 13 febbraio 2021 al 22 ottobre scorso Economista, docente universitario e banchiere, è stato direttore generale del ministero del Tesoro dal 1991 al 2001, governatore di Bankitalia dal 2006 al 2011 e presidente della Banca centrale europea dal 2011 al 2019 –

«Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli 20 mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare. Sarei rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito». Mario Draghi ripercorre per la prima volta le vicende che portarono alla crisi. «A febbraio del 2021 la situazione era molto difficile. Tuttavia l’Italia ha mostrato di sapercela fare, quest’anno cresceremo più di Francia e Germania». Ora l’inflazione è alta ma «in Europa la causa primaria è il prezzo dell’energia. È prioritario che i governi continuino a proteggere i più fragili, sarebbero opportune nuove iniziative europee».

Tra la decisioni più difficili «la scelta di attuare tra i primi il green pass e l’obbligo vaccinale: fa piacere vedere oggi che la Corte Costituzionale concordi con la nostra impostazione». E sull’Ucraina: «Il mio governo ha sempre cercato la pace, ma non potevamo restare impassibili davanti all’aggressione. Ora solo Putin può porre fine a questi massacri». Il nuovo governo? «Non sta a me giudicare. Meloni si è dimostrata un leader abile. Mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa».

Mario Draghi mi accoglie sorridente, sfoggiando il senso dello humour che gli italiani hanno imparato a conoscere nelle sue conferenze stampa da premier. Fuori da Palazzo Chigi sta sperimentando – dice – « un po’ di tempo libero. Faccio il nonno, ho quattro nipoti. E mi godo il diritto dei nonni di poter scegliere che cosa fare. Anche per questo ho chiarito che non sono interessato a incarichi politici o istituzionali, né in Italia né all’estero».

Qualcuno ha detto che lei abbia cercato questa libertà, accelerando la caduta del suo governo…

«Se guardo alle sfide raccolte e vinte in soli venti mesi di governo, c’è da sorridere a chi ha detto che me ne volessi andare, spaventato dall’ipotetico abisso di una recessione che fino a oggi non ha trovato riscontro nei dati. Ero stato chiamato a fare, dopo una vita, un mestiere per me nuovo e l’ho fatto al meglio delle mie capacità. Sarei dunque rimasto volentieri per completare il lavoro, se mi fosse stato consentito».

Che Italia trovò, quando è entrato a Palazzo Chigi nel febbraio del 2021? E che Italia ha lasciato ai suoi successori?

«A febbraio 2021 la situazione era molto difficile. La pandemia uccideva centinaia di persone ogni giorno, la campagna di vaccinazione stentava a decollare, l’economia era ferma, c’era grande incertezza sulla riapertura delle scuole. Poi, quando si era cominciata a vedere la fine del tunnel, scoppiò la guerra. Adesso siamo in un contesto internazionale complicato, di incertezza geopolitica e di rallentamento economico globale. Tuttavia l’Italia ha mostrato di sapercela fare. Quest’anno cresceremo di quasi il 4%, più di Francia e Germania, dopo i sette trimestri di crescita consecutivi durante il mio governo. Il debito pubblico in questi due anni è calato come mai nel dopoguerra, e l’Italia è l’unico grande Paese europeo che, negli ultimi anni, è riuscito ad aumentare le proprie quote di mercato nell’export internazionale».

Ma dal punto di vista sociale, come si può costruire un Paese più equo?

«I dati dell’Istat ci dicono che quest’anno le nostre politiche sulle famiglie hanno ridotto la disuguaglianza – misurata dall’indice di Gini – dal 30,4% al 29,6% e il rischio povertà dal 18,6% al 16,8%. L’Ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che le nostre misure di sostegno hanno praticamente azzerato l’impatto del carovita sulle famiglie più povere, con forti effetti redistributivi. All’inizio del 2021, il tasso di disoccupazione in Italia era al 10,2%. A ottobre era sceso al 7,8% e il tasso di occupazione ha raggiunto il 60,5%, un record storico: è un dato molto importante perché la fonte maggiore di diseguaglianza è la disoccupazione. Questi sono i risultati dell’agenda sociale ed economica del governo che ho avuto l’onore di presiedere. Eravamo anche vicini all’introduzione del salario minimo e alla riforma del Reddito di cittadinanza, per farlo funzionare meglio. Ma questo è il passato, ora occorre guardare avanti».

E ora, dove sta andando l’economia globale?

«L’inflazione ha messo le banche centrali davanti a una sfida che non fronteggiavano da molto tempo. Preservare la stabilità dei prezzi è essenziale, perché un’inflazione alta e variabile aumenta l’incertezza economica e sociale, danneggia i più poveri, chi ha un reddito fisso e in ultima analisi mina la crescita. In Europa la causa primaria dell’alto tasso d’inflazione, che sta velocemente contagiando il resto dell’economia, è il prezzo dell’energia, che la Russia ha fatto salire cominciando a diminuire deliberatamente le forniture di gas mesi prima dell’invasione dell’Ucraina. C’è molto che gli Stati europei possono fare insieme e a livello nazionale su questo fronte, mentre l’inazione europea può portare a frammentazioni lungo linee imprevedibili. L’accordo su un tetto al prezzo del gas raggiunto nei giorni scorsi è un risultato importante, per cui l’Italia si è battuta da mesi: adesso va applicato in modo efficace. È poi prioritario che i governi continuino a proteggere i più fragili: a questo proposito sarebbero opportune nuove iniziative europee, che ricalchino il fondo comune di sostegno al mercato del lavoro adottato durante la pandemia».

Il suo governo si era dato la missione di ridurre la dipendenza energetica dell’Italia dalla Russia. Crede che ci sia riuscito?

«L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha dimostrato l’imprudenza della politica energetica italiana degli anni recenti, frutto di scelte che restano in alcuni casi ancora da chiarire. All’inizio di quest’anno, l’Italia importava oltre il 40% del gas dalla Russia – una dipendenza che metteva a rischio il nostro benessere e ci rendeva vulnerabili ai ricatti di Mosca. Nel giro di pochi mesi dall’inizio della guerra abbiamo raggiunto accordi con molti altri fornitori, in numero maggiore di ogni altro Paese europeo, e abbiamo semplificato in modo significativo le procedure per installare nuovi impianti di energie rinnovabili: le richieste per nuovi allacciamenti nel 2022 sono state pari a 11 GW, quasi cinque volte la potenza installata nei due anni precedenti. A oggi, le importazioni dalla Russia sono appena un quarto rispetto a inizio anno e le forniture sono regolari. La Commissione europea dice che siamo un esempio sul fronte della diversificazione – un risultato di cui l’Italia deve essere orgogliosa».

Qual è stata la decisione che le è costata di più prendere?

«Di decisioni difficili ne abbiamo prese molte: penso alla scelta di attuare tra i primi in Europa il green pass e l’obbligo vaccinale. Sapevo che erano limitazioni delle libertà individuali, ma erano necessarie per garantire a tutti il diritto alla salute, soprattutto ai più fragili. Mi fa piacere vedere oggi che la Corte costituzionale concordi in pieno con l’impostazione del governo. Altrettanto difficile è stato scegliere ad aprile dello scorso anno di riaprire le scuole: mi hanno paragonato a Bolsonaro, hanno detto che avremmo causato una catastrofe sanitaria. Ma l’epidemia è rimasta sotto controllo e i ragazzi sono tornati a scuola in modo continuativo. Infine, il sostegno immediato e convinto all’Ucraina: i rischi di una ritorsione russa erano evidenti, ma non potevamo girarci dall’altra parte davanti a chi aveva riportato la guerra in Europa».

Si è dato una spiegazione del perché l’hanno fatta cadere?

«Il governo si poggiava sul consenso di una vasta coalizione, che aveva deciso di mettere da parte le proprie differenze per permettere all’Italia di superare un periodo di emergenza. Non avevo dunque un mio partito o una mia base parlamentare. A un certo punto, la volontà dei partiti di trovare compromessi è venuta meno, anche per l’avvicinarsi della scadenza naturale della legislatura».

Come andarono le cose?

 «Con il passare dei mesi, la maggioranza che sosteneva il governo si era andata sfaldando e diversi partiti si andavano dissociando da decisioni già prese in Parlamento o in Consiglio dei ministri. Il Movimento 5 Stelle era sempre più contrario al sostegno militare all’Ucraina, nonostante avesse inizialmente appoggiato questa posizione in Parlamento insieme a tutte le altre forze politiche, e nonostante questa fosse la linea concordata con i nostri alleati in sede europea, G7 e Nato. Forza Italia e Lega erano contrarie ad aspetti di alcune importanti riforme – fisco e concorrenza – a cui era stato dato il via libera in Consiglio dei ministri. Lega e Movimento Cinque Stelle chiedevano inoltre a gran voce uno scostamento di bilancio nonostante – come stiamo vedendo – l’economia e l’occupazione andassero bene».

Ci racconti il «giorno del giudizio» in Senato, che portò alle sue dimissioni.

«Nei pochi giorni che intercorsero tra la decisione del Movimento 5 Stelle di non votare la fiducia sul “decreto Aiuti” e il dibattito sulla fiducia in Senato l’ondata di messaggi, come quello dei sindaci, perché restassi al governo mi avevano convinto a cercare una soluzione. Sono ancora profondamente grato per questi appelli, come per tutto il sostegno che ho ricevuto durante il mio incarico. Ma le posizioni dei partiti erano ormai inconciliabili».

In che modo?

«Ad esempio, il centrodestra era disponibile ad andare avanti, purché i ministri Cinque Stelle uscissero dal governo e fossero sostituiti da loro esponenti. Tuttavia, il Pd non era disponibile a far parte di quello che sarebbe diventato nei fatti un governo di centrodestra. Inoltre, sin dalle consultazioni che precedettero la formazione del governo, avevo chiarito che per me sarebbe stato impossibile guidare un governo di unità nazionale senza il partito di maggioranza relativa in Parlamento, il Movimento 5 Stelle».

La questione dei rapporti con la Russia ha avuto un peso nell’apertura della crisi?

«Non so dire che ruolo abbia giocato la guerra all’Ucraina. Noto però che oggi il M5S è contrario a proseguire nel sostegno militare all’Ucraina, nonostante questo sia stato decisivo per permettere a Kiev di riprendere una porzione significativa del Paese che era stata occupata dai russi».

Pensa che sia possibile in tempi ragionevoli una pace in Ucraina?

«Le prospettive di pace sono difficili anche se molto è cambiato in quest’ultimo periodo: i canali di comunicazione sono molto più aperti e la Cina sembra essere più presente nella costruzione di una trattativa. Tuttavia il Cremlino ha dimostrato finora di non volere la pace. Il mio governo ha sempre cercato la pace, e ha provato ad agevolare possibili mediazioni: penso ad esempio a quanto fatto sul grano bloccato nei porti del Mar Nero. Ma è soltanto il presidente Putin che può porre fine a questi massacri».

Lei ha sostenuto l’Ucraina con più energia di altri leader occidentali. Perché?

«Abbiamo appoggiato l’Ucraina subito, con convinzione, insieme agli altri alleati del G7, dell’Ue, della Nato e nel farlo abbiamo mostrato che l’Italia può essere un Paese guida in Europa, come merita. Sull’Ucraina il governo ha agito nel solco di un mandato pieno da parte del Parlamento: tutti i principali partiti, anche la prima forza di opposizione, ci hanno sostenuto nell’invio di armi a Kiev, nel sostegno umanitario ai rifugiati e a chi è restato in Ucraina, nell’imposizione di sanzioni contro la Russia, nella ricerca di un negoziato, ove possibile. La posizione dell’Italia sulla guerra è stata probabilmente più forte e decisa di quanto si aspettassero molti osservatori. Ero consapevole dei forti legami passati tra l’Italia e Mosca, ma non potevamo restare impassibili davanti a un’aggressione immotivata e a sistematiche violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani. In Russia probabilmente contavano su una nostra ambiguità, che invece non c’è stata, e questo spiega la rabbiosa e scomposta reazione di alcuni diplomatici russi, che se la sono presa anche con la libera stampa in Italia».

Come giudica il governo che ha preso il posto del suo?

«Non spetta a me giudicare il governo, soprattutto non dopo così poco tempo. Giorgia Meloni ha dimostrato di essere una leader abile e ha avuto un forte mandato elettorale. Occorre stare attenti a che non si crei di nuovo un clima internazionale negativo nei confronti dell’Italia. Mantenere saldo l’ancoraggio all’Europa è il modo migliore per moltiplicare il nostro peso internazionale. Penso anche che si debba sempre mantenere aperto il confronto con le parti sociali, con gli enti territoriali, con il terzo settore. Un confronto ispirato al dialogo, all’ascolto, alla disponibilità».

Giorgia Meloni dice che le ha lasciato un sacco di cose da fare sul Pnrr…

«Abbiamo rispettato tutti gli obiettivi dei primi due semestri, come ha certificato la Commissione europea. Questo è l’unico indicatore da cui dipende l’erogazione dei fondi, che infatti è avvenuta in modo puntuale. Mi avrebbe fatto piacere completare il lavoro che avevamo portato avanti, e qui mi riferisco in particolare agli obiettivi del secondo semestre di quest’anno: ne abbiamo raggiunti circa metà nel tempo che ci è stato dato. I rimanenti obiettivi sarebbero certamente stati raggiunti prima della fine di questo semestre, come è avvenuto nei due semestri precedenti. Credo che il governo attuale sia altrettanto impegnato, e non ho motivo di dubitare che raggiungerà tutti gli obiettivi previsti e necessari per la riscossione della terza rata».

Di sicuro la conflittualità politica si è molto acuita dopo la fine del suo governo. Secondo lei questo può essere un problema per il Paese nel 2023?

«Negli ultimi due anni l’Italia ha dato prova di grande coesione. Ci sono stati contrasti anche forti, ma il dialogo è rimasto costruttivo, abbiamo preservato la pace sociale. Oggi abbiamo davanti un momento di maggior contrapposizione: è normale, perché si è esaurita l’esperienza dell’unità nazionale. Spero però che possa essere preservato un clima sereno: che la maggioranza sappia far sue le proposte costruttive dell’opposizione, e che l’opposizione sappia sostenere il governo quando è nell’interesse nazionale farlo. Questo farebbe bene ai partiti, ma soprattutto ai cittadini e al prestigio internazionale dell’Italia».

Presidente Draghi, le è mai venuta voglia di raccontare in un libro la sua esperienza di premier, e quella precedente di banchiere centrale?

«Lo sa che me lo suggeriscono in molti? Longanesi temeva che “quando potremo raccontare la verità non ce la ricorderemo più”. Vedremo, ma devo dirle che fin da giovane mi è sempre piaciuto più il fare che il raccontare».

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