Talk-show e Draghi
Michele Masneri e Andrea Minuz, su Il Foglio, dialogono sulla Tivù nell’era Draghi. Il modello Barbara D’Urso. Franano gli schemi di cui si è nutrita la tele politica dagli anni di Tangentopoli in su: piazza vs palazzo, popolo vs èlite, lira contro euro. Bisognerà dare un programma a Giorgia Meloni.
- La costruzione del racconto televisivo di Mario Draghi è davvero un gran mistero. La prima intervista di Conte andò in scena da Floris
- E c’è la terribile minaccia di “comunicare solo le cose fatte”, che per l’industria della chiacchiera tv suona peggio del lockdow per un ristoratore
- Per questa tv, il BisConte-Casalino con Salvini all’opposizione sguaiata era una manna. E ora, con un governo in cui sono tutti d’accordo?
- Questa prima settimana è stata molto istruttiva. Mario Giordano apre la sua trasmissione con una messa cantata. Poi però si butta sui classici
- Bersani vive praticamente in televisione dal primo lockdow. Lo supera solo Sileri, ministro ombra, anzi per tutti il ministro della Sanità
- Come capita a ogni celebrity televisiva, il virologo entra nella sue fase crepuscolare. Ora si sbraccia pei farsi ascoltare
- La soluzione D’Urso. Dare voce alla rivolta, all’Italia che non ci sta, ai ristoranti clandestini, alle seggiovie illegali. Un’Italia che non si ferma.
- E i virologi? All’opposizione. Resistono ancora nella tv ansiogena e apolittica del primo pomeriggio. Al loro posto tecnici ed economisti.
- Effetti sistemici: finito il discorso al Senato, anche i commentatori televisivi parlavano tutti un italiano impeccabile, preciso, misurato
Così inizia il dialogo che fluisce per due intere pagine. Altro che ristoranti, negozi, funivie. Tra le categorie più danneggiate nelle ultime settimane e assai incerte sul da farsi ci sono anche i nostri talk-show con la loro compagnia di giro. Messi in crisi non tanto dal Covid o dal ritardo dei ristori, quanto dall’avvento, rapido e esiziale, del governo Draghi con le sue scintillanti porte girevoli: l’opposizione che diventa maggioranza, la maggioranza che diventa “tecnica”, solidale, responsabile e di ampio respiro nazionale, in un variopinto arcobaleno di consensi e applausi sovranisti e populisti all’ex presidente della Bce. Tanti ministri sconosciuti, un linguaggio non sgangherato e “folk” ma incredibilmente misurato, asciutto, essenziale. E la terribile minaccia di “comunicare solo le cose fatte”, che per l’industria della chiacchiera televisiva suona peggio del lockdown per un ristoratore. Dopo una crisi ricca di colpi di scena e retroscena, scritta come sempre in una trama da libretto d’opera, ecco la prima settimana dell’èra Draghi, le reazioni a catena nel mondo politico e, a cascata, in quello televisivo. (…) per proseguire aprire l’allegato.
Michele Masneri è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro su Il Foglio. Ha pubblicato con Adelphi “Steve Job non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla California, durante la prima elezione di Donald Trump, mentre presto uscirà su Abrasino “Stile Alberto” per Quodlibet.
Andrea Minuz insegna Storia del cinema presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Le sue ricerche attuali riguardano il cinema italiano, con particolare riferimento alle forme del consumo e ai modi di produzione. Tra le sue pubblicazioni: Dell’incantamento. Hitchcock, Bergman, Fellini e il «motivo dello sguardo» (2009); La Shoah e la cultura visuale. Cinema, memoria, spazio pubblico (2010); F.W. Murnau. L’arte di evocare fantasmi (2010); Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico. Il suo ultimo libro è Quando c’eravamo noi. Nostalgia e crisi della sinistra da Berlinguer a Checco Zalone. Collabora con Il Foglio, Rivista Studio e il mensile del Sole24ore «IL».
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