NO al Rearm Europe

“Dobbiamo riarmarci urgentemente”, ha detto Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea, presentando il progetto ReArm Europe che – pur essendo estremamente generico – è stato frettolosamente votato dai 27 capi di governo ancora sbalorditi dagli “schiaffoni” e insulti ricevuti da Trump. Un voto sbagliato e rischioso per un riarmo generalizzato degli eserciti nazionali (dispendiosi e con bassa interoperatività e efficacia) anziché un esercito comune europeo per la difesa dei paesi europei, quindi con una propria produzione di una rete satellitare di protezione (non certo americana, visto i voltafaccia e i tradimenti operati verso gli ucraini) e dotato delle moderne tecnologie per la cosiddetta guerra cybernetica per proteggere servizi e infrastrutture. – https://sindacalmente.org/content/musk-abbiamo-gia-il-nostro-starlink/ Nel contempo rilanciare il servizio civile obbligatorio collegandolo anche alla cultura e alla pratica di difesa della nonviolenza, in alternativa alle proposte di riattivare la leva militare. Per sollecitare la riflessione e la discussione alleghiamo: articoli di Agostino Giovagnoli, Stefano Zamagni pubblicati su L’Avvenire, di Carlo Cefaloni (Cittanuova.it) e articoli con tabelle inviati da Gianni Alioti.
 

Quel che serve all’Europa: una difesa comune non aggressivaAgostino Giovagnoli  8-3-25  L’Avvenire

Il contenuto del piano Von der Leyen va discusso nel merito: non c’è dubbio che l’obiettivo finale deve essere la difesa comune e cioè un esercito europeo (non il riarmo dei singoli Stati). Riarmare l’Europa perché oggi incombe su di essa il pericolo della Russia. Così è stata intesa l’affermazione di Ursula von der Leyen che oggi «la sicurezza dell’Europa è minacciata in modo serio», nella presentazione del piano Rearm Europe. Ma tale motivazione e lo stesso nome del piano sono pericolosi. Altra cosa è il suo contenuto, di cui è necessario discutere. In politica però – soprattutto in quella internazionale – la forma è importante come la sostanza, a volte anche di più. Non si deve parlare di riarmo, infatti, ma di un sistema comune di difesa, per chiarire da subito che le armi in più di cui ci si vuole dotare non hanno alcuna finalità aggressiva.

Ci sono già troppe armi! Circolano troppe false notizie…

Ancora più sbagliato sarebbe collegare questa scelta a un nemico specifico, la Russia: una organizzazione difensiva, infatti, non è mai contro qualcuno ma ha funzione preventiva erga omnes, soprattutto accompagnata dalla dimensione politico-diplomatica. Non a caso il piano Pleven, sostenuto da De Gasperi, Adenauer e Schuman tra il 1952 e il 1954, proponeva una Comunità europea di difesa ed esprimeva anzitutto una volontà di pace, impedendo ai Paesi europei di continuare a farsi la guerra come hanno fatto per secoli.

L’errore nasce dallo sgomento e dalla confusione in cui è precipitata l’Europa. Per non gettare benzina sul fuoco, le diplomazie europee evitano di parlare della causa di tutto ciò, ma ci sono pochi dubbi che tale causa sia Donald Trump. Per il presidente degli Stati Uniti, come disse infatti già nel 2018, l’Unione europea è «il suo principale nemico» (anche se non usò la parola «enemy» ma «foe» che si può tradurre come «nemico» ma ha anche le sfumature di «avversario, antagonista, oppositore»).

Allora, il Presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, liquidò l’uscita trumpiana come una «fake news», ribadendo l’amicizia tra Europa e Stati Uniti, e tutto finì lì. Ma oggi Trump, tornato alla presidenza, ribadisce la sua ostilità verso l’Unione europea – che sarebbe nata «per fregare» (ma il termine inglese è più crudo –ndr «fottere») gli Stati Uniti – e agisce di conseguenza. L’ostilità non è verso i Paesi del Vecchio continente, ma verso l’Ue e riguarda il terreno economico-commerciale. Le sconvolgenti conseguenze delle sue scelte, però, vanno molto oltre e investono anche il piano militare, politico e diplomatico. (Probabilmente Trump non ne ha previste molte, agendo da “apprendista stregone” che mette tutte le cose in agitazione ma non è poi in grado di inserirle in un nuovo ordine). Per colpire l’Unione, infatti, il presidente americano non minaccia “soltanto” di imporre pesanti dazi sui prodotti che vengono dall’Europa – risparmiando la Gran Bretagna -, ma colpisce anche gli Stati europei sul terreno militare – compresa la Gran Bretagna.

Oltre a pretendere un contributo alle spese Nato ben più elevato dell’attuale, fa dubitare dello stesso impegno americano a proteggere i Paesi europei in caso di aggressione. In pratica, fa vacillare l’Alleanza Atlantica. Ad aggravare di molto le cose c’è che dal 2018 è successo praticamente di tutto – il Covid, l’Afghanistan, l’Ucraina ecc. – e la situazione mondiale è radicalmente cambiata. Così gli europei non si trovano solo a dover gestire la rivalità economico- commerciale con gli Stati Uniti ma anche a dover affrontare all’improvviso un problema di difesa militare proprio mentre sono coinvolti indirettamente in una guerra, in cui fino a ieri un ruolo preponderante era svolto dagli Stati Uniti. Difesa militare e guerra in Ucraina, infine, toccano lo stesso problema, la Russia di Putin, di cui oggi gli Stati Uniti sembrano quasi alleati. Di qui il rischio di cortocircuiti. Invece, guerra in Ucraina e difesa dell’Europa devono essere tenuti rigorosamente distinti anche se è impossibile separarli.

Una cosa, infatti, è far leva sul peso dell’Unione europea perché l’Ucraina ottenga la pace meno ingiusta possibile e garanzie vere per la sua sicurezza futura. Altra cosa, invece, è far balenare involontariamente un possibile conflitto con la Russia (non a caso, Putin e Lavrov hanno dato segni di nervosismo per le confuse iniziative europee, pur prendendosela soprattutto con la Francia, perché potenza nucleare e più determinata di altri). La confusione tra le due questioni attraversa anche il dibattito politico italiano. C’è addirittura chi brinda agli aggressori e ai loro nuovi alleati, contro le odiate Ucraina e Europa.

Diverso è ovviamente l’atteggiamento di chi dice che “non bisogna dividere l’Occidente”, ma nessun leader europeo vuole farlo: è oltreoceano che si è decisa l’attuale divaricazione e nessuno è riuscito a far cambiare idea a Trump. Rinsaldare l’unità europea è anche il modo migliore per tentare in futuro di riprendere la collaborazione occidentale. Con motivazioni diverse o addirittura opposte, importanti forze politiche italiane sembrano oggi convergere verso l’immobilismo o il basso profilo, ma ciò significa – volontariamente o involontariamente – scommettere sul fallimento dell’Europa e sull’irrilevanza dell’Italia, entrambi profondamente contrari all’interesse nazionale.

A differenza di titolo ed eventuali motivazioni, che vanno respinti, il contenuto del piano Von der Leyen va discusso nel merito. Non c’è dubbio, infatti, che l’obiettivo finale deve essere la difesa comune e cioè un esercito europeo (non il riarmo dei singoli Stati): sarebbe più chiara la finalità di pace, costerebbe di meno e avrebbe maggior efficienza. Ma l’iniziativa di Trump impone agli europei una scelta immediata e il più possibile condivisa, non per motivi militari ma politici: manifestare una comune volontà europea sembra oggi una strada senza alternative per rafforzare l’Ucraina, difendere l’Europa e, probabilmente, anche per cercare la pace. https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/difesa-comune-non-aggressiva

Il piano di riarmo europeo è un errore tragico. Stefano Zamagni  6-3-25  L’Avvenire    

“Il piano di riarmo presentato dall’Europa è un errore tragico dal punto di vista politico”. Stefano Zamagni boccia la strategia Von der Leyen su tutta la linea e non potrebbe fare altrimenti, visto che da tempo predica inascoltato, insieme a un gruppo di altri intellettuali, in direzione contraria per arrivare finalmente almeno a una tregua. Sul percorso necessario a “una pace equa” in Ucraina, ha messo a punto già nell’autunno 2022 una proposta in 7 punti, che andava dalle garanzie da assicurare a Kiev su sovranità e indipendenza alle concessioni da fare alla Russia per quel che concerne sanzioni e accesso ai porti commerciali. “Le linee-guida restano quelle, anche se qualcosa oggi andrebbe rivisto”, osserva l’economista che è stato presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sociali. “Di sicuro, la richiesta che arriva dalla Commissione UE di investire in armamenti non ha alcuna giustificazione scientifica, oltreché politica”.

Perché? Perché 800 miliardi, cifra di per sé notevole, non sono comunque sufficienti per colmare il divario con la Russia, che ha il maggior numero di testate atomiche al mondo, ciò che davvero conta quando si parla di sicurezza. Con i fondi indicati da Von der Leyen, si raggiungerebbe un target di armamenti convenzionali non adeguato. E poi, invece di aumentare la spesa militare, dovremmo puntare su politiche di disarmo bilanciate tra i vari Paesi. Senza dimenticare che la corsa al riarmo porta a conseguenze nefaste sul piano umanitario.

L’avvento di Trump alla Casa Bianca ha portato a un’accelerazione convulsa, più che del negoziato, delle tensioni per arrivare almeno a una tregua. Da dove si dovrebbe partire, a suo parere? Dobbiamo decidere cosa salvaguardare: la ragion di Stato, come sosteneva Machiavelli, o la vita umana? Se prevale la prima, già adesso siamo nello scenario giusto. Io credo che debba prevalere la seconda, che è anche un modo per garantire un futuro all’umanità e realizzare il bene comune. Ma per accettare di andare al negoziato, tutti devono fare un passo indietro. Poi va scelto un arbitro e non possono che indicarlo le parti in causa: l’Ucraina e la Russia. È evidente a tutti che questo arbitro non può essere Trump, anche se si è autonominato tale.

Tocca dunque all’ONU o all’Europa, avere un ruolo di regia e di mediazione? L’ONU è bloccato da quella maledetta regola che attribuisce il diritto di veto ai Paesi che hanno un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza. Su questo, è necessaria una riforma al più presto: concedere ad un soggetto la possibilità di dire “no” all’infinito sulla base dei propri interessi, fermando qualsiasi processo di pacificazione come in questo caso, equivale infatti a concedere una sorta di diritto di monopolio, il che è moralmente inaccettabile. All’Europa invece manca una classe dirigente. Avessimo oggi gli Adenauer, i De Gasperi e gli Schuman… Spetta perciò alla società civile e ai corpi intermedi farsi carico della creazione di nuove istituzioni di pace, muovendosi dal basso. Senza dimenticare che un contributo può arrivare dalle grandi religioni.

In concreto a cosa pensa? In ogni caso, non siamo purtroppo già in ritardo? È necessario dare vita ad un’Agenzia internazionale indipendente per la gestione degli aiuti, alla quale affluiscano le risorse rese disponibili dal “dividendo della pace”. Prima di arrivare a questa fase, però, va attivato un pre-negoziato nel quale si stabiliscono le regole del gioco da far poi rispettare. Chi vuole andare avanti con la guerra, lo fa perché sa che la guerra rende profitti a chi produce armi. Ma sono profitti sporchi di sangue e aver anche solo pensato di alzare il budget bellico comunitario è immorale. Dal 2010 il settore delle armi è stato privatizzato e non è più sotto il controllo degli Stati. Le imprese quotate in Borsa premono sui rispettivi governi, come si è visto. Per questo, è necessario introdurre tasse sui sovraprofitti di queste aziende.

I sette punti per una proposta di cessate il fuoco in Ucraina restano validi ancora oggi? Ovviamente andrebbero modificati sulla base del contesto, ma i principi non possono che essere quelli di una condivisione degli sforzi e delle garanzie per i due Paesi: per Kiev rinuncia all’ambizione di entrare nella NATO con possibilità di diventare parte dell’UE e garanzia della propria sovranità. Per Mosca, invece, rimozione delle sanzioni occidentali e accesso ai porti del Mar Nero, unitamente all’Ucraina. Sarebbe poi importante, dal punto di vista bilaterale, approdare a un Fondo multilaterale per la ricostruzione e lo sviluppo delle aree distrutte dalla guerra, al quale la stessa Russia sarebbe chiamata a concorrere.

Il mondo variegato che chiede pace, in Ucraina e in tutti gli altri scenari di conflitto, si divide tra chi sostiene la pace “senza se e senza ma” e chi vuole la “pace giusta”. Lei da che parte sta? Ho sempre parlato di pace equa, non di pace giusta. La giustizia non è la stessa cosa dell’equità e il prossimo negoziato deve prevedere a mio parere l’applicazione in concreto del principio di equità. Le regole giuste sono per definizione universali e astratte, la vera questione è prevedere condizioni eque, che tengano cioè conto della situazione e del contesto in cui ci si trova. Dobbiamo sicuramente dire “no” a quel che chiamo un “pacifismo di resa”, disposto a rinunciare alla libertà e ad accettare i soprusi. Nello stesso tempo, vedo i rischi di un pacifismo di solo pura testimonianza, che alla fine coltiva il sogno di eliminare la guerra senza distruggere la cultura bellica che ne è fondamento. Ecco perché è urgente muovere passi veloci verso un nuovo pacifismo, che chiamo istituzionale e il cui slogan è: se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace. Proprio come chiede il Vangelo ai cristiani: siate costruttori e operatori di pace. (Intervista di Diego Motta tratta da www.avvenire.it)

vedi anche https://www.associazionepopolari.it/2025/03/10/per-quale-europa-in-piazza/

Articoli correlati

 1 – Europa, l’alternativa all’economia di guerra di Carlo Cefaloni 7-3-25 sul sito cittanuova.it – Viene da lontano il piano di riarmo promosso da Ursula von der Leyen. L’occasione di un confronto aperto sull’idea stessa di Europa e il suo ruolo geopolitico nel mondo, al centro del dibattito sulla manifestazione indetta il 15 marzo da Repubblica (…) V. allegato e link https://www.cittanuova.it/1038410-2/?ms=003&se=023

2 Gianni Alioti, da molti anni indaga e documenta sul tema: guerra-armamenti e alternative per la pace; un ruolo svolto per molti anni come sindacalista della Fim-Cisl e poi, in pensione, proseguito come ricercatore. Ci ha inviato alcuni articoli che alleghiamo.

  • Venti di guerra,il mondo spende sempre di più per gli armamenti
  • Spese militari e aiuti all’Ucraina – valutazioni a confronto
  • Industria bellica Usa e Ue, ordini record per 730 mild – la corsa al riarmo mondiale
  • Se il riarmo non è necessario per la difesa allora serve la guerra
  • No all’aumento delle spese militari
  • Le spese russe hanno superato quelle europee?

3 – Riarmiamoci e partite! Un bell’articolo dello scrittore Alessandro D’Avenia, su Il Corriere della Sera del 10 marzo, che così inizia << Nel 1953 il mondo era appena uscito dalla guerra e diviso in due sfere di influenza e deterrenza, americana e sovietica, e Philip Dick (per il provocatorio Carrère, che gli ha dedicato una bellissima biografia, il più grande scrittore del ’900) pubblicava «I difensori», un racconto in cui l’umanità, impegnata in una guerra tutt’altro che fredda tra Russi e Americani, vive e lavora sottoterra per alimentare lo scontro affidato ai robot in superficie, dove c’è solo un ammasso di macerie tossiche sotto un cielo incolore.(…) >> per proseguire aprire l’allegato

4 – Il progetto della Comunità Europea di Difesa (CED) del 1954 non andò in porto per l’opposizione della Francia- https://www.cittanuova.it/difesa-europea-il-progetto-fallito-nel-1954/?ms=005&se=007

1 commento
  1. Raffaele Barbiero
    Raffaele Barbiero dice:

    NO ad un riarmo generalizzato

    Un riarmo generalizzato ai singoli Paesi non porta più difesa, ma solo favori alle industrie belliche e meno risorse per lo stato sociale.

    L’Europa dei 27 già spende più soldi per le armi della Russia, ma neanche dopo il 2022 si è sognata di dire: “Facciamo gli Stati Uniti d’ Europa, creiamo un governo e una politica comune in tutti i campi (esteri, difesa, sociale, ecc.)”. Ed ora dovremmo credere che partendo da soldi dati alle nazioni per riarmarsi saremmo in grado POI di fare gli Stati Uniti d’ Europa? Ci hanno già illuso su ciò con l’ euro e il mercato unico che dovevano servire come apripista per un’ Europa unita politicamente. Sono passati 23 anni.

    Sulla difesa è dal 1995 e poi dopo studi di fattibilità dal 2005 che si dice costruiamo un doppio percorso: un esercito comune europeo difensivo e i Corpi Civili di Pace Europei (CCPE) per avere una capacità diversa e autonoma di difesa dalle superpotenze. Sapendo che nella corsa al riarmo l’Europa sarà come quel atleta dilettante che vuole gareggiare con i professionisti.
    Di questa duplice proposta: esercito difensivo e CCPE non si è fatto nulla. Tra l’altro questa ipotesi è quella più vicina al Manifesto di Ventotene del 1941, “Per un’ Europa libera e unita”.

    Poi uno sguardo all’informazione. Fino all’altro giorno per dirci che l’invio delle armi era l’ UNICA strada possibile ci hanno detto allo sfinimento che la Russia sarebbe crollata sotto le sanzioni economiche, che avevano un esercito impreparato (i loro generali venivano tra l’altro facilmente uccisi dagli ucraini per incompetenza), male equipaggiato -combattono con le pale e rubano i microchip alle lavatrici – e poco rifornito anche in termini di razioni di cibo vecchie e scadenti. Adesso non vorrei cadere in un richiamo ad una paura diffusa e fatta crescere con dibattiti dove si chiama uno a dire qualcosa di diverso per poi sommergerlo di esperti che dicono l’opposto o che ne minano la credibilità sul piano personale. Cerchiamo fonti autorevoli, che non abbiano interessi di parte e non limitiamoci a quello che ci viene detto. Certo so bene che troll e siti farlocchi pro Putin esistono e si danno da fare, soprattutto in internet. Ma noi ci chiediamo chi è il proprietario di Repubblica o La Stampa? Ci chiediamo quanti soldi in pubblicità riceve il Corriere dal settore militare, magari da Leonardo SpA?

    Inoltre evidenzierei anche l’ ipocrisia di chi per anni ha chiamato Putin presidente (ma del resto lo si fece anche con Saddam Hussein) e lo si coccolava ben sapendo cosa aveva fatto in Cecenia nel 1999, in Georgia nel 2003 e nella stessa Ucraina nel 2014, per scoprirlo improvvisamente dittatore o per non tenere conto di quello che chiedeva in termini di minor pressione della Nato sui confini russi.

    Un altro terreno di intervento se si vuole mettere in difficoltà la Russia è isolare Putin. Per farlo bisogna operare un grosso sforzo diplomatico con Cina, India e con l’ Africa (dove la Russia insieme a Cina e Turchia stanno soppiantando USA e Francia-UK-Europa) anche per costringere l’amante della democrazia illiberale d’Oltreoceano a tornare a discutere con noi (e quello capisce solo gli interessi economici).
    Sostenere anche chi si oppone in modo democratico o chi diserta la guerra è importante.

    Inviterei quindi a muoversi con cautela e a rivendicare un’Europa faro di democrazia, libertà, diritti umani e pace.
    Inviterei a costruirne subito le istituzioni politiche comuni -superando le rappresentanze dei solo Stati e gli unanimismi da correggere con maggioranze qualificate – come ci indica il Movimento Federalista Europeo e a renderci conto che con la sola politica di armi e soldati (persone mandate ad ammazzare o farsi ammazzare da altre persone) e a forza di gridare: “siamo in emergenza, si può fare solo questo” forse non si va troppo lontano o forse ci va solo chi dalle guerre e dalle distruzioni ha sempre trovato il modo di arricchirsi.

    Raffaele Barbiero, 11.03.2025

    https://www.difesacivilenonviolenta.org/;
    -https://www.pressenza.com/2025/01/can-nonviolent-struggle-defeat-a-dictator-this-database-emphatically-says-yes/
    https://forlicentropace.com/i-corpi-civili-di-pace-europei-bisogna-costruirli-ora/
    (in quest’ultimo link è spiegato cosa sono e come funzionano i Corpi Civili di Pace)

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