La transizione possibile

Guido Viale in “Crisi climatica e del lavoro, la transizione possibile“, su Il Manifesto, commenta la Conferenza sulla decrescita che si è svolta a Venezia dal 7 al 9 settembre. Evento poco seguito e commentato dai grandi media. Il termine decrescita (tradotto in depauperamento da tanti) si riferisce ad una economia con criteri e paradigmi diversi da quelli con cui si misura attualmente il Prodotto Interno Lordo, fondato su un illimitato consumismo di beni materiali a discapito di quelli immateriali come il sapere e la conoscenza, la cultura della prevenzione e della solidarietà. Il Pil oggi non misura certo il valore dell’economia circolare consuiderata poco più di un hobby per gli ambientalisti. Di seguito l’articolo di Guido Viale.

La recente conferenza internazionale sulla decrescita, 7-9 settembre Venezia 2022,  ha mostrato che nel corso degli ultimi anni, anche senza che nessuno la perseguisse esplicitamente, si è di fatto verificata una convergenza tra visioni e prospettive di una società futura che fino a poco tempo fa sembravano distanti o addirittura alternative: quelle che rispondono ai termini decrescita, ecosocialismo, ecofemminismo, società della cura, giustizia sociale e ambientale, conversione ecologica.

Immagine su Il Manifesto 23-9-22

PUR MANTENENDO ciascuna un focus specifico, le unisce il ripudio di qualsiasi prospettiva fondata sulla crescita (dei Pil), l’accumulazione del capitale, il produttivismo, l’estrattivismo, lo sfruttamento sia degli esseri umani che del vivente, le diseguaglianze sociali e il patriarcato; e, in positivo, una prospettiva fondata su decentramento e partecipazione alla gestione dei processi produttivi e dei rapporti sociali e un orientamento improntato alla sobrietà nei consumi e all’arricchimento delle relazioni. Il problema irrisolto, sia a livello teorico che pratico, è come far vivere, crescere e maturare queste visioni all’interno sia delle lotte in corso contro lo sfruttamento del lavoro e dell’ambiente sia delle molteplici iniziative «molecolari» di riorganizzazione della vita e dei consumi in contesti di condivisione.

A CONNETTERE QUESTI POLI è la necessità e l’urgenza di affrontare la crisi climatica e ambientale già in pieno corso e destinata ad aggravarsi; in sintesi, la conversione ecologica dell’apparato produttivo, delle relazioni sociali e degli assetti istituzionali. Una «transizione» possibile – ormai ce ne sono le prove – solo se promossa «dal basso», cioè partecipata da una popolazione che si costituisce in comunità, e non affidata solo a misure governative varate dall’«alto», sempre tardive, parziali, discriminanti, incapaci di abbandonare il paradigma della crescita. Solo comunità del genere saranno in grado di affrontare l’adattamento alle difficili condizioni a cui la crisi climatica e ambientale costringerà le prossime generazioni, già a partire da quella di chi è giovane oggi.

LA CONVERSIONE ECOLOGICA ha bisogno della partecipazione convinta di un grande numero – non necessariamente la maggioranza – di cittadine e cittadini, lavoratori e lavoratrici; ma soprattutto di conoscenze ricavate dall’esperienza diretta di chi vive e lavora nei territori e nelle imprese da riconvertire; conoscenze che possono essere raccolte solo attraverso un confronto diretto d continuo tra gli interessati. E’ un processo molto difficile, che sembra mettere in forse posti di lavoro o abitudini acquisite senza prospettare alternative concrete, che vanno costruite in percorsi lunghi e aleatori. Per questo i punti in cui può più facilmente affermarsi la prospettiva di una conversione produttiva – indissolubilmente legata alla ricomposizione di una comunità di riferimento – sono le aziende esposte al rischio di chiusura, delocalizzazione, ridimensionamento. Lì, come sta mostrando l’esperienza esemplare della Gkn di Campi Bisenzio, non esiste alternativa alla socializzazione della gestione sia della lotta che dell’impianto e a una conversione produttiva che può realizzarsi solo nel quadro di un piano di ambito almeno nazionale, ancora in gran parte da elaborare, come quello prospettato dal collettivo operaio per produzioni funzionali a una mobilità collettiva e sostenibile.

DI PIANI DEL GENERE C’È GRANDE urgenza, che riguarda innanzitutto la conversione energetica. Il programma NextgenerationEU ha messo a disposizione del nostro paese 200 miliardi (tutti, sostanzialmente, a debito) che il Governo italiano sta sperperando in iniziative che nulla hanno a che fare con la transizione ecologica: armi, autostrade, alta velocità, incentivi all’auto individuale, gassificatori, navi metaniere, gasdotti e nuove trivellazioni; per non parlare di case di comunità senza personale, scuole senza insegnanti, investimenti in Itc senza formazione e quasi niente per il riassetto idrogeologico.

Con meno di quell’importo sarebbe possibile invece convertire tutto il sistema energetico nazionale alle energie rinnovabili in poco tempo (molti progetti, in attesa di autorizzazione, già ci sono) come avevano fatto, al momento della loro entrata nella Seconda Guerra Mondiale, gli Stati uniti, convertendo in pochi mesi i loro impianti industriali alla produzione bellica: carri armati, cannoni, navi, aerei, bombe… Un processo inverso, dall’industria bellica e da quella che produce beni superflui alla produzione di impianti e attrezzature per far fronte alla crisi climatica sarebbe senz’altro possibile se solo i nostri governi dessero alla crisi climatica la stessa importanza data allora (e anche oggi) alla guerra.

A SENTIRE I POLITICI, sia nostri che del resto del mondo, sembra invece di essere atterrati su Marte. Ma le forze per imporre loro una svolta radicale – o la loro cacciata – stanno maturando tra le nuove generazioni, quelle messe in moto da Greta, quelle che sanno che a pagare i costi dell’inerzia degli attuali governi saranno loro.

Alcune note (ndr) per più informazione La Conferenza “Decrescita se non ora quando?” si è svolta a Venezia dal 7 al 9 settembre, con quattro plenarie e 15 tavoli di confronto sui temi elaborati da altrettanti gruppi di lavoro, tra questi quello con Vandana Shiva.Pensare la decrescita significa rinunciare alle ricette del passato accettando che occorre avere la maturità e la lucidità di affrontare per tempo una nuova era”. L’incontro di Venezia è stato promosso dall’associazione per la Decrescita, dal Movimento per la decrescita felice, dalla Rete italiana dell’economia Solidale, da Aeres di Venezia e dal Support group of the international conferences on degrowth for ecological sustainability and social equity. Con il patrocinio delle università IUAV, Ca’ Foscari, Udine e di Research & Degrowth. Con l’adesione di Municipalità di Venezia, Murano, Burano. In collaborazione con ACMOS-Torino; associazione Botteghe del mondo Italia; associazione Eco-filosofica; associazione Laudato si’; Bilanci di giustizia; Co-energia; DESS Bergamo; Distretto di economia solidale Oltreconfin; Forum beni comuni FVG; MAG Venezia; MUSOCO; Navdanya international; TiLT – Territori in libera transizione. Media Partner: Altreconomia, Comune-Info, Pressenza, Terra Nuova e Radio Popolare.

Gli incontri sono stati registrati e saranno resi disponibili su YouTube. Il programma completo è disponibile a questo link, e sul sito venezia2022.it Vedi anche https://altreconomia.it/il-movimento-per-la-decrescita-si-da-appuntamento-a-venezia/

L’altra faccia della medaglia. La transizione possibile, riassunta da Guido Viale, deve fare i conti con problemi non semplici, dai progetti e dalle autorizzazioni varie per le fonti alternative a quelle fossili, ai loro tempi di realizzazione, ai risparmi energetici da fonti tradizionali che richiedono un consenso della popolazione a modificare abitudini e comodità. Milena Gabanelli e Fausta Chiesa nel loro Dataroom “I ritardi e i dubbi della politica sui rigassificatori”, sul Corriere della Sera del 21 settembre, evidenziano questi complicati problemi. Il conto alla rovescia per l’inizio della stagione «termica», quando si accendono i riscaldamenti – in genere al Nord il 15 ottobre e i primi di novembre al Centro-Sud – è cominciato. Da fine febbraio, mese di inizio del conflitto in Ukraina, la parola d’ordine in Europa, ma soprattutto in Italia e Germania che dipendono fortemente da Mosca, è: «Comprare gas da altri fornitori». Il nostro Paese l’anno scorso ha acquistato da Gazprom 29 miliardi di metri cubi di gas.Per sostituire il gas russo dobbiamo trovare posto a 11 miliardi di metri cubi di gnl. La soluzione delle due navi con rigassificatori è già pronta, ma su Piombino c’è il no del sindaco. La posizione dei partiti. Dati e considerazioni nell’articolo allegato.

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