Il caso Panahi, il regista iraniano in carcere in Iran, “ha fatto irruzione alla Croisette”, titolavano i giornali dei giorni scorsi, riportando la foto dell’attrice Juliette Binoche emozionata alla denuncia di Abbas Kiarostami, l’autore del film girato in Italia, “Copia Conforme”, presentato in questi giorni a Cannes 2010. Episodi non nuovi in Iran, ma solo ultimo di altri orribili casi di repressione del regime, con impiccagioni pubbliche, repressione nel sangue delle manifestazioni dell’opposizione, per non dimenticare le frequenti dichiarazioni negazioniste e minacciose circa la “sparizione di Israele dalla faccia della terra”.
Ad un livello politico più possente e minaccioso, si trovano le dichiarazioni di questi giorni di Hillary Clinton, il ministro degli esteri Usa che, in accordo con Cina e Russia, altri membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, indurivano l’embargo nei confronti dell’Iran , colpevole di aver continuato l’arricchimento dell’uranio che le permetterebbe di costruire armi nucleari.
Eppure lunedì 17 maggio, Lula ed Erdogan, rispettivamente presidente del Brasile e primo ministro turco, avevano riportato un grosso successo diplomatico e politico: l’accordo con Ahmadinejad, prevede di trasferire in Turchia l’uranio arricchito iraniano. Un primo, significativo passo nella direzione richiesta dalle super potenze e da quanti temono il proliferare dell’armamento nucleare a paesi con regimi autoritari e di inquietanti tendenze aggressive nei confronti dei paesi vicini.
L’accordo in sè appare positivo: prevede uno scambio equo, attraverso la consegna da parte dell’Iran di 1200 di uranio a basso arricchimento alla Turchia, in cambio di 120 di uranio turco a Teheran per alimentare una stazione di ricerche mediche. Si dirà che Lula ed Erdogan sono ingenui e che hanno con questo accordo cercato risalto internazionale. A chi scrive non appare tale, specie per Lula. In primo luogo non è ha bisogno: è alla sommità del notorietà visto che la rivista Time lo ha indicato lo scorso come uno degli “uomini più influenti del mondo”.
Ma questa sua riconosciuta capacità di mediatore non è nuova, né gratuita. Dell’ ex tornitore meccanico Obama ha grande rispetto e ne riconosce, per la prima volta nella storia delle relazioni fra il Sud e il Nord Americane, una rappresentatività politica e geografica che fa dell’America Latina sempre meno “il giardino di casa degli Stati Uniti”. Questa forte rappresentatività ha portato il presidente americano a relazioni paritarie con Lula, e ad appoggiarlo( senza riserve dichiarate) a mediazioni difficili come il conflitto di frontiera scoppiato fra Chavez, il presiedente venezuelano, e il colombiano Uribe, conflitto che poteva sfociare in guerra aperta, in un’area sensibile dove squadroni della morte e le Farc costituiscono fattori di instabilità per effetto dei guadagni garantiti dal commercio della droga. Il presidente brasiliano gode infatti in America Latina di grande credibilità, e non solo per l’efficacia con cui ha governato il Brasile per i due mandati, che termineranno ad ottobre, ma anche per non aver cambiato la Costituzione che gli avrebbe permesso di andare al terzo mandato, interrompendo così tendenze a presidenze vitalizie presenti in America Latina, a imitazione di quelle cubane. Chi se non Lula poteva tentare la difficile e complicata, certo, forse non definitiva, mediazione nella complicata area mediorientale?
Lula è reduce di un altrettanto difficile viaggio in Israele – primo presidente brasiliano a compierlo -, nel marzo di quest’anno. Nei colloqui con i governanti israeliani e nell’intervento alla Knesset, ha auspicato la pace e il riconoscimento dei diritti palestinesi, nonchè la pace anche con l’Iran, visitando inoltre la tomba di Theodor Herzl, cosa che non hanno fatto Sarkozy né Berlusconi (come tutti sanno è un rito quasi obbligatorio nelle visite di stato).
Certo, non sono mancati urla di dissenso e fischi, e l’aperto boicottaggio del ministro degli esteri Avigdor Lieberman, il politico dell’estrema destra che ha marcato con la sua assenza il dissenso alla visita di Lula e all’incontro con Netanyahu. Ma al termine dell’intervento di Lula una sincera ovazione si è avuta da parte della maggioranza della Knesset. Il coraggio del discorso in cui ha condannato l’Olocausto e il terrorismo, insistendo sulla via del negoziato e della convivenza, riceveva così il riconoscimento del coraggio e dell’imparzialità della sua posizione. Lula è infatti convinto che le sanzioni siano controproducenti. La via del negoziato con l’Iran, a fianco con la Turchia, può evitare che le sanzioni raggiungano il solo risultato di spingere al muro i governanti iraniani.
Può apparire pretenzioso questo ruolo di Lula a pochi mesi di fine mandato. Forse può apparire tale, ma non credo fondato. La verità è che i BRIC, ovvero Brasile, Russia, India e Cina, i paesi emergenti, sono la novità non solo economica di questi ultimi anni. Sono realtà politiche che vanno ormai riconosciute e come tali capaci di giocare un ruolo sempre maggiore nello scenario mondiale.
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