Lavoro, digitale e sindacato
Quattro interessanti articoli per riflettere sul lavoro, l’era digitale e la necessità del cambiamento nel sindacato: sono molto diversi come impostazione, valutazioni, giudizi e domande; sono stati scritti da Gloria Riva, Savino Pezzotta e Marco Bentivogli.
Gloria Riva, in “Le Officine dello sfruttamento” su L’Espresso n 25, per un verso sintetizza alcune esperienze sul territorio di evoluzione delle tradizionali aree di coworking, per l’altro ampiamente utilizza dati, schede e valutazioni di Matteo Gaddi, ricercatore della Fondazione Claudio Sabattini, che da poco ha concluso un’indagine su 3.200 lavoratori in smart working a un anno di distanza dall’inizio della pandemia. Dall’indagine emerge che il 45,6 per cento degli intervistati non può negoziare individualmente gli obiettivi di lavoro e per il 53 per cento è impossibile mettere in discussione i carichi di attività. Per un altro 52 per cento le scadenze sono diventate più rigide e strette e quasi la metà dichiara di sostenere un ritmo eccessivo. (…)
Savino Pezzotta, nell’intervista rilasciata alla rivista dell’ACRI (Associazione di Fondazioni e Casse di Risparmio Spa) risponde ad otto domande sulle trasformazione del lavoro e nella società indotte dall’era digitale e dall’invecchiamento crescente della popolazione e sulla necessità di radicali cambiamenti, che tardano, nelle strategie e nell’organizzazione di un sindacato che deve riproporre l’unità sindacale. Queste le domande:
- Negli ultimi vent’anni il mondo del lavoro si è radicalmente trasformato. Com’è cambiato e come può ancora cambiare il sindacato?
- Il ringiovanimento del sindacato è una questione non solo dell’apparato, ma anche degli iscritti. Come la pensa su quest’altro aspetto?
- Lei ha scritto recentemente che il termine “utopia” viene utilizzato ultimamente con un’accezione negativa e, invece, è vitale per una società avere sogni e utopie.
- Il lavoro è cambiato, ma ci sono ancora i lavoratori e le loro rivendicazioni, perché allora il sindacato è in crisi?
- Cosa pensa della partecipazione dei lavoratori nella gestione delle aziende?
- Sindacati e corpi intermedi hanno svolto un ruolo importantissimo lungo tutto il secondo dopoguerra, come presidi di coesione sociale. Oggi tutto questo sembra molto indebolito. Cosa ne pensa?
- Recentemente ha scritto che il tempo del lavoro andrebbe riformato tenendo presente l’esigenza diffusa dell’assistere e dell’essere assistiti. Ci spiega il suo pensiero?
- “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro” proclama la Costituzione all’articolo 1. Ritiene che sia un messaggio ancora attuale? (le risposte nell’allegato)
Savino Pezzotta nell’articolo “Il Sindacato alla prova degli algoritmi”, pubblicato su Il Riformista, inizia con questa considerazione. Credo sia arrivato il tempo di aprire un grande dibattito sociale e culturale sulla pervasività delle nuove tecnologie, sull’intelligenza artificiale, la robotica, il cyborg e a tutto quanto costituisce l’infosfera e il lavoro, non tanto per arrivare a una sintesi ma per avere una conoscenza plurale, diffusa che consenta il dibattito e la possibilità di interventi (…). Si sofferma su molti aspetti del contesto attuale e poi afferma “…Bisogna riprendere e aggiornare la lezione schumpeteriana sullo sviluppo economico e avere presente che l’economia capitalista è essenzialmente dinamica, nel senso che genera al suo interno processi evolutivi. Il neoliberismo affidando lo sviluppo alle dinamiche di mercato è stato un progetto fondamentalmente anticapitalista che con le sue logiche deterministiche ha inibito la crescita e aumentato le disuguaglianze …” . A metà del suo articolo sottolinea “…Bisogna avere il coraggio di assumere l’indicazione di Luciano Floridi che ci dice che siamo collocati in un nuovo mondo: l’infosfera. Dunque se inconsapevolmente siamo approdati sulle spiagge di un nuovo mondo diventa necessario e vitale che molto del pensiero, della teoria e della prassi sindacale cambi. Il sindacato è pertanto chiamato a collocarsi nel nuovo ambiente e a confrontarsi con gli artefatti che formano il nuovo mondo e le coscienze delle persone come le tecnologie informatiche, i nuovi media, la realtà del Cyborg, dell’intelligenza artificiale, della robotica e con chi fornisce e possiede i dati che alimentano e nutrono l’intelligenza artificiale.Tuttavia, se si guarda più da vicino vediamo che gli algoritmi non sono neutrali ma dipendono dai loro dati originali. I dati con cui l’algoritmo viene inizialmente “addestrato”, con cui “impara”, possono contenere delle distorsioni e dei pregiudizi che si ritroveranno nell’elaborazione finale e questo è il punto reale del confronto e del conflitto futuro cui bisogna attrezzarsi…” per proseguire nella lettura completa del testo aprire l’allegato
Marco Bentivogli in “Ha stato l’algoritmo”, due pagine su La Repubblica, con sottotitolo l’opinione pubblica sensazionalista che l’ha trasformato in un nemico del lavoro. Ma l’innovazione tecnologica può essere un’alleata delle occupazioni del futuro. Quattro idee contro i nuovi slogan della decrescita. Così inizia – Quando leggete su un quotidiano una notizia del tipo: “Licenziato da un algoritmo“, “Dipendenti o schiavi di un algoritmo”, sappiate che chi scrive quelle frasi o non sa cosa sia un algoritmo o insegue il sensazionalismo, utile ad attirare l’attenzione ma non a capire i termini della questione. L’algoritmo non licenzia nessuno, è l’azienda che indica al programmatore i parametri per selezionare le persone (…) per proseguire aprire l’allegato dove si legge sia l’origine e la spiegazione di cosa sia un algoritmo, puntualizzando che “non sono gli algoritmi che decidono gli orari di lavoro” e chi sostiene stiene questo è sospettabile – secondo Bentivogli – di simpatie con la tecnofobia, un’etichettatura a lui purtroppo cara, utilizzata spesso con disinvoltura per salire in cattedra per correggere la presunta ignoranza altrui (nell’articolo pare che includa anche il ministro Andrea Orlando per le recenti sue dichiarazioni). Peccato davvero! Con queste note finisce di declassare l’interessante per un suo articolo che contiene affermazioni e riflessioni ampiamente condivisibili. (…)
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