Tensione, indignazione,umiliazione,collera. Bastano pochi giorni ad Atene per sentirsi addosso questa atmosfera. L’articolo ,che riportiamo in sintesi ,di uno scrittore greco, curatore di una cronaca sul quotidiano " Le notizie " di Atene ,descrive , nella sua angosciosa amarezza, la situazione drammatica di un paese di cui oggi tutti parlano ma pochi conoscono se non per turismo. Una storia solo greca ? Leggendo pare proprio di no. Semmai una storia della crisi europea.
I sintomi della malattia sono comparsi ben prima della confessione del fallimento. Nel Dicembre 2008 il centro d’Atene fu incendiato dopo la morte di un giovane di 16 anni in scontri con la polizia nel quartiere degli studenti. Mentre la polizia assisteva , senza intervenire, allo spettacolo, i media parlavano di una gioventù in rivolta contro un sistema che la condannava alla precarietà e alla miseria di 700 Euro al mese.
Non fu però segnalato che sotto i passamontagna dei liceali che tiravano le bombe molotov si nascondevano i figli di una classe media greca che fu la clientela privilegiata della classe politica.
In una certa misura facevano quello che i loro genitori avrebbero voluto fare: attaccare un sistema di cui avevano goduto e che non poteva più soddisfarli.
Dopo la megalomania delle spese per le olimpiadi del 2004 non c’erano più soldi, il bilancio dello Stato presentava un buco che cresceva in modo esponenziale al pari del debito delle famiglie. Debiti contratti con banche dal prestito facile che offrivano carte di credito con un semplice colpo di telefono. L’avvenire si faceva scuro. I giovani da parte loro avevano una ragione in più per rivoltarsi. L’educazione che gli era stata offerta non serviva, li tradiva.
I moti del 2008 hanno lasciato alla società greca un capitale di violenza che è lontano dall’essere esaurito. E’ questa violenza che è costata al Comune di Atene, in fallimento, 1,5 Milioni di Euro per riparare i danni delle manifestazioni di questa estate. E’ la stessa violenza che ogni giorno si sfoga nei blocchi delle vie del centro città scandendo slogans contro “ il traditore Papandreu”, “ la nazista Merkel” e le “ Non sono slogans molto originali ma danno l’idea degli spasmi di un corpo sociale depresso che si ritrova in una situazione inedita.
Il sindacalista del settore pubblico che ha vissuto per trenta anni sotto la tutela della classe politica con cui contrattava assunzioni e scambi ,si sente orfano quando è la stessa classe politica che lo abbandona nelle sabbie mobili delle privatizzazioni richieste per pagare il debito del paese.
E’ la stessa cosa per il taxista o il farmacista dell’angolo di strada che hanno vissuto per trenta anni sotto la protezione di un sistema che permetteva loro di controllare la distribuzione delle licenze.
Il vandalismo nei licei occupati, le minacce ai professori che insistono nel voler fare corsi nelle Università chiuse dall’inizio dell’anno, non sono che sintomi della banalizzazione di questa violenza divenuta endemica. Mescolata ad un nazionalismo di fondo, spesso alimentato da qualche laudatore della Chiesa Ortodossa o dal facile populismo in nome dell’orgoglio nazionale, attizzata anche dalla retorica di una parte della sinistra parlamentare, minaccia l’implosione di una società già in ginocchio e indignata. E’ la paura del vandalismo che ha impedito sino ad oggi la mobilitazione di gran parte della popolazione.
L’economia è ferma, 900.000 disoccupati nell’ultima statistica ufficiale , i salari sono calati paurosamente in Settembre. Si riteneva che, quando c’è stato l’appello allo sciopero generale, vi fosse una partecipazione di massa come quella in Portogallo. Ma a differenza di Lisbona ad Atene non c’erano più di 100.000 persone che si sono precipitate fuori dalla Piazza della Costituzione quando giovani in passamontagna hanno cominciato a tirare pietre contro i militanti del partito comunista. La guerra di tutti contro tutti non è più una minaccia, ma una realtà.
Se Papandreu con la proposta di referendum voleva calmare la situazione dobbiamo ammettere che ha fatto invece un buon colpo mediatico. La popolazione ,presa dal timor panico davanti all’abisso del ritorno alla Dracma e di conseguenza fuori dalla UE, era attaccata alle TV per seguire le trattative di Bruxelles.La Grecia fuori dall’Europa ?! I vecchi antieuropeisti ( dal linguaggio simile a Bossi ,nota del traduttore), sono diventati ultraeuropei a condizione che…
Nei sondaggi dei giornali della Domenica il SI all’Europa tornava maggioritario e l’Arcivescovo di Salonicco, quello che voleva raggiungere gli “indignati”, ha pregato pubblicamente per la salvezza dell’EURO. I populisti anti europei di ieri cambiano pelle. hanno giocato col fuoco e rischiano di scottarsi.
Un Governo di unità nazionale è stato formato, forse la sesta trance dell’aiuto europeo sarà versata, ma nessun problema vede la soluzione all’orizzonte. La lunga marcia verso le elezioni del 2012 non farà che aggravare la paralisi di una amministrazione che marginalizza ogni funzionario che rifiuta di arrampicarsi sulle rovine di un sistema clientelare e corrotto per salvarsi.
Il sentimento di ingiustizia , fondato sull’immunità della classe politica e della sua clientela privilegiata, rinforzato da una magistratura inattiva, spesso corrotta e persa nel labirinto di migliaia di leggi, minaccia il contratto sociale già minato dall’impoverimento delle classi lavoratrici, medie comprese.Si sta trasformando in fatalismo.
Un certo pregiudizio europeo attribuisce la vasta evasione fiscale in Grecia ad una sorta di determinismo culturale, trascurando il peso del contratto di non fiducia che ogni cittadino era obbligato a firmare con lo Stato e la classe politica.
Alcuni parlano di umiliazione nazionale. E’ vero che tanta parte della società greca si sente umiliata da una politica che ha fatto carte false, perso il senso del ridicolo, che fa finta di non capire che la popolazione ha fatto prova, da due anni , di pazienza malgrado tutto:l’indignazione, la collera, l’incertezza, l’insicurezza del quotidiano e anche il senso di colpa.
Ma stiamo arrivando al capolinea.
La società è senza respiro. I suoi dirigenti le chiedono un ulteriore sforzo per pagare il debito dimenticandosi che se una impresa funziona solo per pagare i suoi debiti è già fallita. Ma a differenza delle imprese , le società umane non possono dichiarare bancarotta.
A differenza di tedeschi, francesi e anche italiani per i quali la costruzione europea rappresentò una via per uscire dalle rovine della seconda guerra mondiale, per i greci questa stessa Europa è stata un’opzione. Una opzione per consentire ad un piccolo paese del Sud del Mediterraneo di essere una nazione europea a pieno titolo al di fuori del suo fascino folkloristico e della sua antichità mitizzata. Non è stato così. La UE si è ben poco preoccupata dell’educazione della sua società multiculturale, multietnica, multinazionale. Il povero Zorba è stato accecato dai primi SUV che ha visto sbarcare sulla sua isola.
La classe politica greca non ha mai aperto un vero dibattito sull’Europa, quella con cui le elites intellettuali , la parte più dinamica della popolazione, settori non ampi della società civile non hanno mai cessato di dialogare ,considerando l’Europa come il compimento naturale di un percorso che la Grecia contemporanea ha fatto da due secoli. La classe politica ,potente e onnipresente negli anni che hanno seguito alla dittatura dei colonnelli, non ha fatto nulla per elaborare, proporre e implementare il nuovo paradigma di cui la Grecia aveva bisogno.
Sono continuate le clientele e la corruzzione, assicurando nello stesso tempo che l’entrata in Europa era un buon affare per la società greca . Un affare concluso a Bruxelles, a Lisbona , a Maastrich da persone avvedute. E la società ha accettato tutto, ha sottoscritto tutto, anche la Costituzione europea. E’ stata una buona allieva.
Era il suo modo di lasciare carta bianca per poter fruire delle sovvenzioni attraverso i canali oleati del clientelismo. Perché ? Forse per meschineria, forse per ingenuità. Forse tutte e due allo stesso tempo. Non lo sapremo mai. Si sa però che la società greca è profondamente nel caos, scombussolata, proprio nel momento in cui la costruzione europea traversa una crisi esistenziale, di prospettive.
Pericle, politico originale, aveva rovinato economicamente Atene. Ma aveva costruito il Partenone che ancor oggi brilla per la sua bellezza sul mondo. La Grecia moderna ha guadagnato il suo posto in Europa grazie , tra l’altro, alle rovine della sua Antichità. Rischia oggi di perderlo a causa delle sue rovine moderne che non brillano per nessuno. Senza dimenticare che saranno le rovine di un paese europeo.
Takis Theodoropoulos ( Le monde 13 Novembre )
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