I PERICOLOSI DIFENSORI DEI BENI ITALIANI – N.Cacace -economia-
Telecom e i pericolosi difensori dei "beni italiani". Sull'offerta del colosso cinese Hutchison ai grandi azionisti di Telecom Italia, si è aperto un dibattito che sta deviando dai corretti binari finanziari ed industriali, per incamminarsi su una strada tutta "italiota", l´uso strumentale della difesa della "italianità". Non è la prima volta che questo accade, i casi Fiat ed Alitalia sono i più scandalosi. Se oggi l´Italia è l´unico grande paese europeo con un solo produttore di auto, la Fiat, nel nome di una italianità strumentalizzata, l´Italia è diventata anche l´ultimo paese produttore. Con 40 0mila auto prodotte nel 2012 e 1,5 milioni di auto immatricolate, l´Italia è l´unico paese al mondo con una distanza così grande tra mercato e produzione. Siamo il quarto mercato auto d´Europa e siamo l´ottavo produttore dopo Germania, Francia, G.B., Spagna, Polonia, Turchia e repubblica Ceca. Nessuno ha mai riflettuto su questo fallimento di politica industriale.
Non solo, ma essendo rimasto l´unico paese con un solo produttore di auto – a differenza dei grandi come Germania, Francia, G.B. e Spagna è anche diventata l´ultima della classe per produzione ed occupazione. Ancora una volta si dimostra che la protezione corporativa di una azienda non ha fatto bene né all´azienda né al paese, né ai lavoratori né ai fornitori. Il divario italiano tra mercato e produzione è ancora più scandaloso alla luce dei primati tecnologici indiscussi, Ferrari tra i primi costruttori d i successo al mondo, Pirelli tra i primi nei pneumatici, Brembo tra i primi nei freni e così via. Chi non ricorda i titoloni del giornale della Confindustra degli anni ottanta contro "il pericolo giallo" costituito dai giapponesi che volevano intensificare la collaborazione avviata con l´Alfa Romeo del presidente Ettore Massaccesi e chi non ricorda l´episodio del 1986, quando governo, Confindustria e sindacati bloccarono l´acquisto dell´Alfa da parte della Ford.
Il vizietto "italiota" delle barriere nel nome della italianità non è recente, risale al 1930, quando il vecchio senatore Agnelli si precipitò a Roma e nell´arco di un mese ottenne dal Parlamento la legge Gazzera che recitava: "Sono vietati nuovi impianti di fabbriche o ampliamenti senza previo consenso del ministro della guerra". Una legge che in pratica bloccava un accordo tra Isotta Fraschini e Ford, che aveva già prenotato un terreno a Livorno per industrializzare la produzione della ammiratissima macchina italiana. Un caso più recente ma non meno rovinoso di "difesa della italianità" è quello di Alitalia che il governo Prodi aveva già trattato con un ottimo accordo con Air France, fatto fallire da Berlusconi, anche questa volta con l´accordo più o meno esplicito di politici, Media e molte sigle sindacali. Col risultato rovinoso di 3 miliardi di euro persi dal contribuente, migliaia di posti lavoro al vento ed una Alitalia di nuovo sull´orlo del fallimento.
Ho ricordato questi episodi per constatare che anche il tentativo del presidente Bernabè per far uscire dallo stallo industriale e finanziario la maggiore impresa italiana di TLC con un accordo tra una grande multinazionale (a guida cinese di Hong Kong), sta iniziando a sperimentare il vecchio vizio della difesa della italianità. Problema che non si pone e non si porrebbe neanche in teoria, all a luce delle trattative in corso per la cessione delle rete di TI alla italiana Cassa Depositi e Prestiti. Una volta che la infrastruttura Rete fosse scorporata dai servizi di telecomunicazione, nessuno dovrebbe impedire a Telecom di seguire una sua politica industriale, multinazionale e di riassetto finanziario, che l´attuale scatola cinese non consente, una società Telco di comando, dove gli interessi degli spagnoli di Telefonica (bloccare l´espansione di TI in America latina) mal si conciliano con quelli finanziari e di sistema dei tre soci italiani – Generali, Mediobanca ed Intesa S. Paolo – e meno ancora con quelli industriali di Telecom Italia.
Non entro nel merito dell´accordo coi cinesi, vorrei solo ammonire tecnici e politici ad evitare gli errori del passato che tanti danni hanno fatto al paese, contrastare l´accordo con la Hutchison con l´incorporazione della H3G – che farebbe di Telecom la prima azienda anche nel mobile –, in virtù di una difesa della italianità che non ha alcuna seria giustificazione. Gli obiettivi principali di Telecom sono strategici, dotarsi di una politica industriale ed internazionale di respiro che i soci spagnoli contrastano, abbattere un debito enorme che nessun azionista italiano oggi appare in grado di affrontare.
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