GENERALIZZAZIONI CHE DISTORCONO – M.Dellacqua – cultura & storia – 23/1/12

Generalizzazioni che rimpiccioliscono. Scorciatoie che allungano. Aberto Burgio ricorda su Il Manifesto del 19 gennaio che, per Thomas Mann, “l’anima tedesca” capace di guidare la Germania al tentativo più audace e crudele di ridurre il mondo in schiavitù, è nutrita da più componenti. E’ “un misto di presunzione e provincialismo”. Nasce dai “paradossi di un’idea aggressiva della libertà fondata sul servilismo verso l’autorità costituita”. Convive con “il disprezzo della politica”. Combina “esaltazione della vitalità” e “morbosa attrazione verso la malattia e la morte”.

Quel che Mann dice dei tedeschi non va bene anche per gli italiani? In fondo, per 11 anni, essi sono stati ammirati maestri in attesa di essere superati dall’allievo d’oltralpe. Ma, ammonisce Burgio, le generalizzazioni hanno poco di scientifico. Forte è il rischio di trasformarle “in un ingrediente della grande e sciagurata narrazione razzista”.

Un ubriaco che travolge un bambino con la sua auto è albanese? Tutti gli albanesi sono ubriachi e omicidi. Un marocchino è condannato per stupro? Tutti i marocchini sono violenti. Un prete è pedofilo? Tutta la Chiesa cattolica è guidata da pervertiti. Un deputato ruba? Tutti i  politici sono ladri e il parlamento va rottamato. Un medico sbaglia la diagnosi? Siamo nelle mani della malasanità. Un professore perde le staffe con tuo figlio? Quella maniga di parassiti vive imboscata in un assumificio. Un magistrato trucca i processi? Tutta la giustizia è corrotta. Se la generalizzazione ti sembra esagerata, trovi chi ti dice, con l’aria di mostrarsi generoso: non tutti, ma la maggioranza, perchè chi si salvava è stato liquidato o emarginato.

L’ultimo disinvolto esempio di generalizzazione usata come spietata scorciatoia per spiegare con metodi spicci (“concreti”) i problemi più intricati, è il naufragio della Concordia: l’immagine del comandante che abbandona la nave e i passeggeri sarebbe una stringente e umiliante metafora non solo di una nazione alla deriva, ma di un intero popolo degradato dalla codardia imperante. Poi arrivano le smentite.

C’è la Rosa Bianca che impedisce di attribuire a tutti i tedeschi la responsabilità del nazismo. C’è l’extracomunitario che salva il bambino dall’annegamento. Ci sono il prete e il magistrato che sfidano la mafia e perdono la vita. C’è il parlamentare che versa l’indennità al volontariato per il recupero dei tossicodipendenti o l’inserimento lavorativo dei disabili. E via eccettuando con medici e insegnanti.

Senza semplificazione arbitraria, come fai a risparmiarti la fatica anche solo teorica di affrontare il complesso, il difficile, il diverso? La scorciatoia della violenza che abbatte con l’accetta e rifiuta di torcere il filo dell’analisi è il miracoloso placebo che cercavi per medicare le tue debolezze, fragilità o pigrizie. O per nasconderle e non riconoscerle di fronte alla tua coscienza.

Ciò vuol dire che evaporano le responsabilità collettive, le classi, i regimi, i sistemi economici, le ideologie dominanti? Significa che sono scomparse le particolarità nazionali e i “tratti culturali che, costituitisi e sedimentatisi sullo sfondo di determinati quadri storici” hanno contribuito “a dar forma ai comportamenti che individui e gruppi hanno assunto al cospetto di situazioni storiche determinate”? No, semplicemente, in questa luce risulta chiaro che anche la gobettiana spiegazione del fascismo come autobiografia della nazione è un’attrezzatura da usare con cautela, specie se la si vuol convocare al servizio di una lettura intransigente (o consolatoria?) dell’inconclusa stagione berlusconiana.

La violenza o l’ignoranza nella nostra società non sono diffuse per colpa della televisione che trasmette isole dei famosi, cartoni animati giapponesi, defilippi, vespe e grandi fratelli. La TV ci sommerge anche con modelli “positivi” di preti confidenti dei carabinieri (siamo al decimo don matteo), di padri pii nella versione dei castellitto e dei placido che uno non bastava, di suore rockkettare e simpatiche, di papi che lavorano in fabbrica. La sinistra perde non perchè le manca un leader. Perde non perchè chi vota a destra è rimbambito (dai mass media). Queste scorciatoie di grande popolarità allungano e tolgono tempo alla costruzione di un pensiero e di un’azione convincente e competitiva.

Allegato Le origini del male A.Burgio su Il Manifesto del 19 gennaio

Allegato:
Le origini del male_Burgio.doc

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