CINESI IN LIBIA: AFFARI E REALPOLITIK -T.Ferigo- globalmondo 12/4/11

Più di 75 imprese cinesi, di cui 12 giganti pubblici, erano presenti in Libia prima dell’inizio degli scontri. Il volume di affari è stimato di circa 14 Miliardi di Euro. Con il loro savoir faire e i loro costi sovente imbattibili, queste imprese erano ben piazzate nel vasto programma di costruzione di infrastrutture di trasporto e nell’edilizia lanciato da Gheddafi. I cinesi erano in concorrenza con centinaia di imprese europee,russe,brasiliane e indiane per ottenere parte di una torta di 100 Miliardi di dollari.

La China Railways corporation ( costruzioni ferroviarie ) avrebbe dovuto costruire due tronconi della linea Tripoli- Tunisi, e una linea Nord – Sud. Costo 5 Miliardi di Dollari.  Il gigante pubblico BPT China Gezhouba che ha realizzato in Cina la diga delle Tre Gole, aveva terminato la prima parte di un progetto di 7300 alloggi , stimato 800 milioni di Dollari. In Febbraio i lavori sono stati sospesi.

ZTE e Huawei avevano ottenuto contratti nelle telecomunicazioni e la Metallurgical Corporation of China ( MCC) aveva in cantiere un grande cementificio. La Libia manca di manodopera e , dopo la levata delle sanzioni all’inizio del 2002, le imprese cinesi sono sbarcate in Libia per le occasioni che si presentavano in questo paese , anche se le relazioni politiche tra Cina e India non erano buone “ scrive un ricercatore cinese sul sito dell’Accademia delle scienze di Pekino.

Le cattive relazioni degli anni 2000 non sono migliorate negli ultimi tempi. Gheddafi ha criticato, a modo suo, la politica cinese in Africa accusata di ingerenza, ( da che pulpito..) e spesso non ha misurato le parole. La ciliegina sulla torta è stata quando ha detto di voler regolare i conti con gli oppositori “ come hanno fatto i cinesi in piazza Tien An Men”. I cinesi non la hanno presa bene anche perché il Governo cerca di evitare che se ne parli.

A fine Febbraio la Cina ha votato le sanzioni e si è poi astenuta nel voto del consiglio di sicurezza sull’intervento occidentale. Un atteggiamento usuale per Pekino che gli ha permesso di prendere le distanze in attesa di valutare le reazioni nel mondo arabo e di giocare la sua carta “terzomondista”.

E’ noto quanto sia pragmatica la politica estera cinese. La politica di non ingerenza ( o di lasciar fare agli altri ) non deve entrare in collisione con gli interessi economici cinesi. L’astensione può anche essere interpretata  nel linguaggio diplomatico oltre che un segnale formale di non allineamento anche come un informale segno che la Cina non vede pericoli nel possibile cambiamento. Del resto si sono astenute anche Russia e Germania.

Il peggioramento della situazione in Libia ha costretto la Cina a mettere in piedi la più grande operazione di rientro di lavoratori: 35.000 cinesi sono stati evacuati. Certamente il Governo comincia anche a preoccuparsi dell’Algeria dove vi sono più o meno 150.000 lavoratori cinesi.

La protezione dei suoi lavoratori migranti comincia ad essere un serio problema per Pekino che partecipa con una nave militare lancia missili al pattugliamento del Golfo di Aden per la protezione dai pirati delle navi che trasportano oltre che macchinari anche lavoratori da rimpatriare. C’è anche chi preconizza un sistema di accompagnamento armato alle imprese cinesi operanti in situazioni in situazioni giudicate pericolose.

Secondo una sinologa francese, M . Niguet, la Cina guarda con interesse ed apprensione quanto sta avvenendo nel mondo arabo. In primo luogo perché non dispone di risorse petrolifere interne e un aumento del prezzo del petrolio potrebbe avere effetti inflazionistici notevoli. La sua preoccupazione è il possibile contagio dei moti in Arabia Saudita. Paese da cui acquista la quasi totalità del petrolio. Solo un 3% arriva dalla Libia. Quando il gigante petrolifero cinese CNPC cercò di acquistare la canadese Verenez, nel 2009, il progetto fu bloccato da Gheddafi.

 

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