ANONIMI COMPAGNI 1917-20 – A.Pomatto – echi lontani: un mondo stanco di soffrire.. sognava –

Anonimi compagni, 1917-20: echi lontani d’ una rivoluzione. In Italia e in Russia un mondo contadino, stanco di soffrire e ansioso di partecipare alle nuove promesse dello sviluppo industriale, sognava un futuro diverso. Così termina l’articolo qui riprodotto di Armando Pomatto che riflette su pezzi della storia del suo papà e della sua mamma.

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ANONIMI COMPAGNI   1917 – 1920 : ECHI LONTANI D’ UNA RIVOLUZIONE

“ Cari genitori se la fortuna seguita come mi trovo oggi, ho buona speranza di andare a casa e non ritornare più in queste terre maledette”. In queste settimane di affollati ricordi, mi è tornata in mente queste lettera di papà, scritta dall’ospedale militare di Rovigo il 9 maggio 1917. Non so con quanto entusiasmo a diciotto anni fosse partito per il Carso. Certamente il messaggio della liberazione di Trento e Trieste non doveva aver sortito grande effetto in questo giovane della campagna canavesana: le terre in questione non attiravano slanci patriottici nelle leve dei soldati-contadini chiamati ad un conflitto incompreso e osteggiato nel più profondo del loro animo.

Lo stillicidio delle postazioni di trincea, affrontate tra sacrifici e rischi di ogni genere, alimentava quella sorda ostilità così ben fotografata nel film “ Uomini contro”. L’inumanità di un conflitto segnata da ordini ridicoli di comandanti impreparati e sordi alle più elementari norme di umanità verso la truppa, la scarsità degli equipaggiamenti, le decimazioni inflitte per scoraggiare ogni tentativo di fuga: erano troppi gli ingredienti che rendevano amara l’accettazione dell’evento, anche per chi vi aveva partecipato con l’entusiasmo dell’interventismo.

Nella  maggior parte dei soldati covava il sentimento che più che da liberare, quelle terre erano da maledire. Come postumo riconoscimento delle ferite riportate,  il Ministero della Guerra  nel 1921 autorizzerà il soldato “ a fregiarsi della medaglia istituita a ricordo della guerra 1915-1918”.

Negli stessi anni una ragazza, futura moglie del soldato, affronterà le conseguenze di una situazione diventata sempre più critica dopo la chiusura del conflitto. Era stata assunta a dodici anni nel 1915 presso la Manifattura di Cuorgné, dove giungeva il lunedì mattino con il barroccio che passava a raccogliere le lavoratrici-bambine nei paesi circostanti; accolta nel convitto delle suore annesso all’azienda, lavorava 9 ore al giorno fino al ritorno in cascina il sabato pomeriggio. Metà della busta paga andava alle suore per l’ospitalità settimanale.

Le condizioni contrattuali riflettevano timidamente le prime conquiste che movimento operaio, socialismo e l’azione sociale delle prime società di Mutuo Soccorso stavano diffondendo anche nelle nostre terre. In quel periodo la nostra tessitrice, ormai diciassettenne fu assunta in una nuova azienda tessile.

 La crisi economica, la disoccupazione seguita alla guerra e l’instabilità politica, determinarono forti malumori, scioperi e proteste, sfociati a Torino nel famoso biennio rosso.

A ottantre anni così ricorderà gli scioperi e le manifestazioni  di quegli anni:

Nel 1920 io lavoravo a Favria, manifattura di tessili e abbiamo fatto sciopero. I socialisti hanno messo una bandiera rossa, ci hanno fatto uscire dalla fabbrica e andare in corteo per le vie del paese. Otto giorni a casa, nessuno ci dava niente e quelle di Favria che erano in casa d’affitto sono andate a reclamare che aprissero i portoni, così abbiamo ripreso a lavorare. Si cantava così.

Otto ore di lavoro è una gran cuccagna

perfino alla Domenica andare un po’ in campagna,

son chiusi i negozi bisogna scioperar

bisogna far lo sciopero e farsi ben pagar.

Il sol si alza appena e già il padron ci vuole

ci aspettano le spole

andiamo lavorar

il ricco ad ingrassar.

Presto compagne in lega più nulla temeremo

se unite noi saremo

dobbiamo più soffrir

perché nostro è l’avvenir.

Presto compagne andiamo

il fischio già ci chiama

mentre la ricca dama

stanca d’amoreggiar

comincia a riposar”.

La storia lascia il suo segno in un soldato amareggiato e in un’operaia frastornata da avvenimenti più grandi di lei. A migliaia di chilometri, nella Russia zarista quella stessa storia cambierà radicalmente il destino di milioni di persone.   

Oggi ricordiamo quell’evento che scosse l’Europa un secolo fa: la Rivoluzione d’Ottobre. Un popolo esasperato dalla guerra – i militari di Pietrogrado e i marinai di Odessa in prima fila – chiedeva la pace e un più giusto ordine sociale.

In Italia e in Russia un mondo contadino, stanco di soffrire e ansioso di partecipare alle nuove promesse dello sviluppo industriale, sognava un futuro diverso.

Armando Pomatto                                           Alpignano, 28 ottobre 2017.

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