Se le campagne elettorali fossero più improntate al senso di responsabilità di collegare le promesse al reperimento delle risorse per soddisfarle, a spiegare perché esiste un deficit piccolo o grande, oppure un avanzo positivio di gestione nel bilancio che si è gestito per gli anni in cui si è amministyrato la cosa pubblica, molte cose cambierebbero nella politica italiana e gran parte di coloro che dico “sono stufo delle chiacchere e non voto più..” ritornerebbero in campo.
Anche i comizi e la cattura del consenso popolare cambierebbero, si favorirebbe la crescita culturale, l’informazione sulla spettacolarit, si formerebbe una nuova coscienza tra gli elettori ed anche una nuova “classe dirigente”.
Si discuterebbe della ricchezza del paese e del PIL partendo da quella posseduta dalla gran parte di “quel popolo” costantemente richiamato come riferimento per ogni propria convinzione e suggestione.
Ed allora non si potrebbe ignorare al momento delle scelte quanto invece viene puntualmente dimenticato: la vita e la condizoopne degli anziani, di milioni e milioni di pensionati.
Ricordiamo alcuni dati al riguardo. Nel nostro paese per ogni tre cittadini c’è un pensionato ( il 24% della popolazione). Le pensioni erogate ( al 2008) erano 16.086.076, senza considerare i trattamenti agli invalidi civili. Le pensioni vigenti sono oltre 10.300.000 per lavoratori dipendenti, circa 4.000.000 ai lavoratori autonomi, circa 190.000 ai lavoratori iscritti alla gestione separata (collaboratori coordinati e continuativi, liberi professionisti, venditori porta a porta). Oltre 4.200.00 pensioni ( un quarto e più di quelle erogate) sono così basse e ricevono integrazioni dell’importo per raggiungere il minimo previsto dalla legge.
In Italia il gruppo più numeroso, poco più di un terzo del totale,circa 5.8 milioni, ricevono una èensione tra 500 e 1.000 euro; chi percepiscono meno di di 500 euro mensili sono circa 4,5 milioni! Poco più di 3,2 milioni riceve una pensione tra 1.000 e 1.500 euro mensili; infine circva 2,5 milioni ricevo importi superiori a 1.500.
Per migliorare questa situazione che per un paese tanto ricco come l’Italia, con un premier (Berlusconi) ben inserito nella graduatoria degli uomini più ricchi del mondo, con manager che guadagnano 400 volte quanto un operaio o un pensionato di fascia media ( chi percepisce tra 1000-1500 euro mensili) non bastano parole. Occorre trovare le risorse ed il Fisco è una delle fonti che può assicurarle. Quando in Italia inizio il discorso sulle riforme si indicava in quella del Fisco quella prioritaria, la “regina delle riforme”, senza di essa le idee rimanevano tali tanto da far dire che di “buone intenzioni è lastricata la via per l’inferno”
Il Dipartimento delle Finanze del Ministero dell’Economia, subito dopo dopo il voto elettorale, il 31 marzo, ha pubblicato quello che si sà da tempo: la maggioranza degli italiani dichiara al Fisco meno di 15mila euro/annui. Sono statistiche relative alle dichiarazioni del 2009, per i redditi percepiti nel 2008. Circa la metà dei contribuenti dichiara non oltre 15mila euro annui e circa due terzi non più di 20mila euro". L’1% dei dichiaranti, inoltre, supera i 100mila euro, pagando il 18% del totale dell’imposta. Il 52% del totale dell’imposta è pagato invece dal 13% dei contribuenti con redditi oltre i 35mila euro. Sono 418mila i contribuenti che dichiarano più di 100mila euro annui.
Tema che non è stato certamente al centro delle dispute di questi mesi e della campagna elettorale. Il governo parla di una mega riforma del Fisco in tre anni per cambiare tutto e puntare su una maggior tassazione dei consumi, sull’innalzamento dell’IVA. Sembrerebbe un progetto per favorire quanto descritto nel capolavoro letetrario “Il gattopardo”, cambiare tutto perché nulla cambi. Perché non iniziare dal Fisco tradizionale? Per modificare radicalmente quel dato ufficiale sopra ricordato che è la legittimazione di una delle più gravi ingiustizie italiane, forse la più grave con quella di non avere processi brevi per tutti e con costi sopporta
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