Al fine di precisare il rapporto tra debito pubblico e sviluppo va considerato che la moneta oggi non si può più difendere alzando i tassi di interesse. E’ la credibilità delle politiche economiche e fiscali a difendere la moneta e l’economia di un paese. La ragione per cui la Grecia ha avuto questa impennata nel rischio di default non va ricercata nella quantità del debito, ma nel fatto che nessuno (probabilmente a ragione) crede fino in fondo al piano di recupero predisposto dal governo greco.
L’Italia ha per ora beneficiato del dato che il nostro governo non è stato costretto a spendere neanche un euro per salvare le nostre banche (merito, fortuna, casualità, non “modernità” finanziaria o solidità reale del nostro sistema bancario) ma se mai dovessimo rispondere in merito alla nostra capacità di essere credibili sul piano economico, della spesa pubblica, della fiscalità, la nostra situazione si aggraverebbe di molto e la Grecia sarebbe….più vicina.
A tal fine il costo del nostro debito ( 70 miliardi d’interessi annui, 4% del pil), più elevato di quello degli altri paesi europei regge e diventa sostenibile soltanto all’interno di una strategia che comporta due condizioni tra loro collegate. La prima, la formazione di un avanzo primario (il bilancio annuale che si chiude in attivo) che, anche se molto lentamente, intacchi l’entità del debito. La seconda, il tasso di crescita del pil deve essere superiore a quello reale del debito pubblico accumulato negli anni. In tal caso si è in grado di sostenere il debito.
Qualora non si verifichi la seconda condizione si è costretti, al fine di acquisire la fiducia dei mercati e a mantenere la credibilità, ad attuare politiche di risanamento ( tagli) e fiscali ( tasse) in modo da ottenere avanzi primari consistenti che consentano il riequilibrio dei conti pubblici.
Oggi con l’avanzo primario azzerato,il tasso di crescita tendente allo zero, pur con i tassi d’interesse reali molto contenuti, balliamo allegramente sul Titanic.
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