Trasformazione radicale delle RSA
Sandro Antoniazzi lancia una proposta rivoluzionaria per trasformare le Residenze Sanitarie Anziani (RSA), e una parte del welfare, in una società che registra per un lato un crescente numero di anziani e di non autosufficienti; per l’altro la decrescita di giovani, della natalità e del sostegno alla famiglia. Servono idee programmatiche e di recepimento di risorse crescenti. Le tragiche vicende delle RSA, vissute sotto traccia per anni, sono “esplose” con il Covid.
Le Federazioni Regionali dei Pensionati del Piemonte, con un’inserzione unitaria su La Stampa di domenica 29 novembre, pubblicano questo comunicato. “Ad oggi sono morte circa 1.400 persone delle RSA piemontesi e moltissimi sono i contagiati. E domani? Basta con le RSA ospizio, ci vuole domiciliarità assistita e protagonismo del territorio. L’anziano non autosufficiente ha diritto ad avere un progetto di vita. A coltivare gli affetti. A vivere socialità e cultura. Deve poter invecchiare in casa con un’assistenza che garantisca necessità di salute e di vita quotidiana. Si può e fa risparmiare il Servizio sanitario. Se è necessaria la residenzialità, bisogna superare le attuali RSA, inadeguate, inefficaci e spesso alienanti. Le strutture devono potenziare le competenze sanitarie e migliorare la vivibilità e la socialità degli anziani, aprendosi al territorio e alle associazioni di volontariato. Si può e permetterà alle persone con gravi limitazioni di avere una vecchiaia serena. Salvare gli anziani è salvare il futuro di tutti noi.” In allegato il documento unitario della proposta per la trasformazione delle RSA per potenziare la domiciliarità e la relativa locandina.
Di seguito il testo di Sandro Antoniazzi, con la speranza che le Confederazioni Sindacali e i sindacati dei pensionati sappiano trovare unità e mobilitazione per approfondire e sostenere queste proposte per una radicale trasformazione delle RSA con un’impronta profonda di umanità e di mutualismo popolare. L’articolo inviatoci da Antoniazzi è pubblicato anche sul sito http://www.c3dem.it
Il problema delle RSA, occasione per una riforma umana sostanziale. Fra gli effetti più tristi e incresciosi della pandemia va indubbiamente annoverato l’elevato numero di vittime nelle residenze per gli anziani, le RSA, che sono così balzate sventuratamente agli onori della cronaca. I fatti sono stati talmente gravi da provocare una reazione indignata, che è giunta a chiederne la chiusura; affermazione perentoria da non prendere alla lettera, ma da tradursi in un risoluto impegno ad evitare ogni ricovero che non sia assolutamente indispensabile, rafforzando a questo scopo sia l’assistenza domiciliare, sia le possibili soluzioni alternative.
Ma non di questo intendo parlare. A me sembra che questa sia soprattutto l’occasione per una profonda, coraggiosa e radicale riforma dell’intero settore, una riforma che bene può collocarsi, come spirito, nella concezione di nuova economia propugnata da Papa Francesco. Questa riforma dovrebbe realizzarsi, a mio modo di vedere, sulla base di quattro principi fondamentali.
Primo. Escludere dal settore le aziende private che perseguono il profitto. Il settore dovrebbe essere riservato all’operatore pubblico o al privato sociale (terzo settore, aziende benefits, fondazioni). Poiché oggi è presente una discreta quota di aziende private for profit, questo principio andrà realizzato nel tempo, iniziando a non concedere più concessioni ai privati e avviando un graduale processo di riconversione. Lo scopo di questa proposta è iniziare a dar vita ad una vera e propria “Seconda Economia”, dalle caratteristiche diverse da quella che si svolge per profitto, realizzandola in un campo che per sua natura dovrebbe escludere una logica economicistica e dove invece dovrebbe prevalere una dimensione di attenzione alla persona, dunque un’economia umana, un’economia al servizio dell’uomo.
Secondo. Le RSA oggi sono molto costose. A Milano mediamente il ricovero di un anziano in RSA costa alla famiglia almeno 2.000 euro. Una certa quota, la parte sanitaria, è a carico del fondo regionale che in Lombardia contribuisce attualmente per il 40% del costo totale. I sindacati tanto a livello regionale che nazionale chiedono un intervento statale più massiccio o perlomeno un contributo maggiore. Si tratta, evidentemente, di cifre significative. Per questo a me sembra che anche in questo campo sarebbe opportuno innovare profondamente, realizzando un grande fondo mutualistico regionale, per il quale chiedere il concorso di tutti i cittadini dai 18 ai 65 anni; il versamento di una quota annua di 200/300 euro a persona sarebbe sufficiente per coprire le spese di ricovero per tutti i casi indispensabili. Si potrebbe iniziare coi fondi contrattuali già in essere e con una campagna di adesioni volontarie. Poi man mano si completerà il sistema, che deve essere decentrato per provincia e contemplare la partecipazione degli utenti. Il mutualismo, a differenza delle tasse pubbliche, è un onere connesso a uno scopo preciso controllabile e prevede la gestione degli interessati. In questo modo, oltre a risolvere un problema oggi angoscioso, si realizzerebbe una grande iniziativa comune di coesione sociale della collettività, sia a livello regionale che locale.
Terzo. Le RSA devono essere collocate nel comune di residenza degli anziani. A Milano, per fare un esempio, succede a volte che alcuni anziani siano inseriti in strutture a 30 o 40 chilometri di distanza (nel pavese o nel cremonese) perché le rette sono inferiori. Ma in questo modo si allontana l’anziano dalla sua comunità. Invece l’anziano è membro tanto della sua famiglia quanto della comunità di residenza. Il Pio Albergo Trivulzio, la tradizionale casa milanese per gli anziani, alla sua fondazione era collocata al centro di Milano e così l’Ospedale Maggiore, la Ca’ Granda (che in pratica era l’Ospizio dei poveri). Questo per dire l’attenzione che la città aveva nei confronti delle sue persone bisognose. Ora invece si mettono in posti lontani, possibilmente poco visibili, in modo che non siano di peso. Occorre a riguardo una rivoluzione umana: case di riposo comunali, di quartiere, di zona, dove anche la popolazione, gli amici, i vicini, oltre alla famiglia, possano accedere e visitare gli anziani, mantenendo rapporti con loro. Naturalmente a queste RSA devono essere affiancate strutture socio-sanitarie sul territorio, che realizzino un’attività di prossimità, sia domiciliare, sia di servizi facilmente accessibili.
Quarto. Da ultimo una grande riforma deve riguardare anche il personale. Per risparmiare sui costi è costume delle RSA utilizzare cooperative di lavoro, composte in larga misura da persone immigrate. Conosco delle situazioni di RSA dove questi immigrati vengono pagati 3 euro all’ora. E soprattutto a questi immigrati si chiede esclusivamente il lavoro “fisico”, quasi che le RSA fossero una fabbrica produttiva. Ora il lavoro in una casa di riposo è certamente anche un lavoro materiale, ma è innanzitutto lavoro con le persone, lavoro che ha una dimensione relazionale, affettiva, di attenzione essenziale: è la parte più rilevante del lavoro, è il carattere che distingue il lavoro di cura delle RSA. Dunque anche il lavoro merita una profonda rivisitazione:va contrastato il prevalere dell’aspetto produttivistico a scapito della cura alle persone, che deve avere la priorità e informare l’intero mondo della RSA.
Ho ben presente che si tratta di proposte radicali che richiedono un impegno di molti e un cambiamento generale di mentalità. Ma pensiamo che le cose debbano rimanere sempre uguali? Non concepiamo che ci possano essere delle soluzioni migliori? Non riteniamo che sia possibile lavorare per una vita comunitaria più umana e migliore per tutti? Non crediamo che sia ora di occuparsi seriamente degli anziani che crescono continuamente di numero esprimendo un arco di bisogni che spesso non trovano risposta o solo risposte miserrime? Sandro Antoniazzi
vedi articolo correlato già presente su questo sito
In allegato: il documento unitario dei pensionati del Piemonte e l’articolo con i decessi nelle principali città rispetto gli ultimi cinque anni
Renato Bresciani commenta la proposta di Antoniazzi
Condivido e ho apprezzato la proposta di Antoniazzi sull’introduzione di un criterio mutualistico, se ho capito bene, nell’organizzazione e nella gestione delle RSA.
Sono d’accordo sul fatto che il welfare nel nostro paese non vada ridotto ma potenziato, ma senza necessariamente scaricare sempre ogni tipo di gestione sull’intervento statale e sul bilancio pubblico.
Mi pare sia giusto incentivare una linea mutualistica, cioè una leva che sia di solidarietà e di responsabilità. Del resto credo che possa essere questo il migliore insegnamento di questa terribile stagione che stiamo vivendo.
Ma voglio aggiungere alcune precisazioni e integrazioni:
1) Ho dei dubbi che si possa facilmente togliere di mezzo ogni intervento di tipo privatistico con finalità di profitto, con la conseguenza che si potrebbero creare due reti di servizio, una per i ricchi e una per chi ha meno disponibilità.
2) Comunque sarebbe bene sperimentare una rete di servizi a regime cooperativo e mutualistico con accumulo di contributi per il sostegno delle RSA.Ma i contributi dovrebbero essere sostenibili per fasce medio-basse della popolazione ed essere un po’ variabili a seconda delle varie disponibilità economiche.
3) E’ chiaro che chi accede a questa rete mutualistica con partecipazione contributiva, deve avere, almeno dopo un po’ di anni, qualche priorità e garanzia di accedere a questo tipo di servizio per sé e i propri famigliari.
Renato Bresciani
ho apprezzato gli interventi, mi pare di ricordare che negli ultimi anni il sindacato abbia fatto proposte su l’assistenza domiciliare sulla gestione all’interno delle RSA e anche una proposta di legge sui caregiver e tutte non mi pare abbiano avuto grandi risultati ora questa pandemia ha evidenziato ancora maggiormente le mancanze di un sistema sanitario che è inutile ricordare quanto sia inefficiente e purtroppo le persone se ne rendono conto quando “” si tocca con mano” la situazione che mi preme segnalare è che anche in questa situazione qualcuno tende a guadagnare ad esempi in una RSA vengono chieste alle famiglie degli ospiti deceduti per corona virus 200 EURO per la sanificazione della stanza !!!!!!!!! se pensate che spesso le RSA hanno personale sottopagato super sfruttato del tipo “”” lavora e taci”” e che in alcuni casi pur essendo comunale la gestione della stessa viene affidata alle cooperative ,onlus!!!!!!!!! chi controlla chi ????? ecco io credo che soprattutto il sindacato deve tornare a mettere le mani ,la voce ,la presenza in queste situazioni altrimenti tutte le proposte resteranno ancora una volta solo sulla carta gianna malanchini