Utopia della pace vs Stranamore
Per quanta retorica si spenda a sostegno del presunto buon senso “se vuoi la pace prepara la guerra”, “per difendere la civiltà occidentale più Nato, più eserciti e più armi”, la realtà di quanto accade nel mondo da ragione a Papa Francesco che insiste nel ricordare che « Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato», ribadendo che «La guerra sempre è un fallimento, un fallimento della politica, un fallimento dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male…». Alleghiamo tre articoli di autorevoli voci controcorrente al realismo della guerra, pubblicati su La Stampa a fine Luglio e inizio di Agosto. Il sindacato e la guerra? Auspica la pace ma non è in grado di produrre azioni unitarie per influenzare opinione pubblica e governo, anche perché la Cisl – sindacato con più iscritti cattolici – è più sintonizzata con l’atlantismo governativo che con le parole di Francesco.
Noi e l’utopia della pace – Gianni Cuperlo – La Stampa 1-8-24
Su questo giornale Massimo Cacciari ha posto la domanda che da anni la politica ha rimosso dall’agenda: è stato forse un intervallo la non-guerra tra i grandi spazi imperiali dopo le tragedie della prima metà del`900? Null’altro che «una pausa per meglio prendere la rincorsa in vista della definita “sistemazione” del pianeta?». Lo ha fatto richiamando la sconfitta delle istituzioni che nell’avallo di monumentali filosofi del diritto avevano imboccato il sentiero di una regolazione giuridica del conflitto. Si riferiva ai fantasmi dell’Onu e all’assetto di autorità sovranazionali (Corti penali e Alte corti di giustizia) vittime della propria impotenza. Per questa via la Guerra è tornata a soggiogare una razionalità divenuta ostile al realismo di un potere che i singoli Stati non detengono più mentre a profilarsi su scala globale sono oligarchie inedite. Con due conseguenze (…) per continuare aprire l’allegato
Il dottor Stranamore è un’altra volta tra noi – Massimo Cacciari – 29-7-24
Dopo la domanda ripresa da Gianni Cuperlo, così scrive Massimo Cacciari «…Così come si inventano virus e poi vaccini, armi batteriologiche e poi antidoti. Soltanto la Tecnica, è noto, può, secondo la vox populi, risolvere i problemi che essa stessa genera. Se siamo certi di poter usare la Bomba senza che ci colpisca come un boomerang perché non usarla? Chi ha detto che è morto il dottor Stranamore? E chi dice che oggi finirebbe male? Lo puoi fare? – dice ancora la vox populi – E allora fallo.
Quale Giudice, d’altra parte, quale Autorità terza potrebbe impedire che la logica della guerra (ancora) non dichiarata, ma in atto, si svolga “iuxta propria principia”? Se la filosofia se ne va misera, via dal mondo dove a parlare è solo la volontà di potenza, la scienza giuridica non conosce disfatta minore. Sognava, un tempo non certo remoto, addirittura una giuridicizzazione del conflitto politico. Contribuiva, coi suoi massimi esponenti, alla creazione di Alte Corti di Giustizia, di Corti penali internazionali. Si batteva per conferire all’Onu effettivi poteri sovranazionali, superando la procedura dei veti. E citavano anche i filosofi i nostri giuristi, per dare fondamento alle loro teorie del diritto internazionale: i Rawls e gli Habermas – e maledicevano il cupo realismo dei Miglio e degli Schmitt. (…)
Cacciari così conclude « È possibile vincere la Guerra? E le guerre debbono per forza essere condotte attraverso massacri e distruzioni? La Guerra non può essere vinta. Le guerre sì, ma senza necessariamente ricorrere all’antico, crudele, barbaro gioco delle armi. A cosa porta la vittoria militare? A cosa ha portato in Iraq? Nessuna vittoria “a ferro e fuoco” può più portare alla sottomissione della nazione vinta. Figurarsi nel caso di grandi spazi culturali, di millenari Imperi, se è immaginabile la loro umiliazione. Il “metodo” non può che essere quello della competizione sul piano complessivo della Tecnica: sviluppo, innovazione, efficienza amministrativa. E anche modello culturale, giuridico. Su questi piani la vittoria può essere reale, l’egemonia effettiva. Fin quando vi saranno uomini vi saranno nemici, diceva l’umanista Petrarca. Ma non è affatto necessario che i nemici siano così ciecamente tali da pensare di poter vincere soltanto rischiando con la Guerra l’auto-distruzione. Il testo completo in allegato
Perché non possiamo rassegnarci alle guerre – Marco Tarquinio – La Stampa 7-8-24
La pace è sul serio un intervallo appena tra massacro e massacro? E la Storia è un libro scritto solo col sangue, da leggere dalla parte dei migliori, la nostra ovviamente, e comunque infine quella dei vincitori? Ma che cosa accade ora che le guerre non le vince più nessuno e le pèrdono tutti, di più – in ogni popolo – i più poveri? Continuiamo a scatenarle o a esserne armieri complici – che è quasi lo stesso – “perché così si fa da sempre”? Serve davvero l’elenco? Ucraina, Iraq, Siria, Afghanistan, Georgia, Israele-Palestina, Libia, Yemen, Congo. Ma soprattutto, il conflitto è realmente destinato a degenerare con regola inesorabile in gioco di potenza in cui gli Imperi tramontano, risorgono e s’impongono in ordinatrice e spietata competizione tra loro? E se tutto ciò è il nostro presente, a che cosa serve, a che cosa serve per davvero, la politica? È questo il suo ruolo? Organizzare l’intendenza degli eserciti schierati? Munire arsenali sempre più letali e sempre più affidati a intelligenze non-umane? Prendere atto dell’ineluttabile e concorrere alla guerra, impresa dai troppi capi e dalle infinite code, alla quale e nella quale non si può evitare di prender parte? E infine: quale cittadinanza attiva nelle nostre società democratiche e nel nostro mondo diseguale sono immaginabili per i partigiani della speranza? Per i portatori sani, cioè, di quel sentimento della politica – e dei concreti valori solidali di fraternità, di sororità e di giustizia che lo ispirano – che accomuna tante e tanti di noi e resta senso essenziale dell’agire nella storia, ovvero direzione verso cui muovere?
Troppe domande, probabilmente. Ma sono quelle di oggi. E sono grato a questo giornale, e al suo direttore, per aver scelto di alimentare un dibattito sulla pace fatta a pezzi e sulla nuova Grande Guerra fatta di pezzi che si stanno saldando tra loro.
Un dibattito aperto, lo scorso 29 luglio, da un’incalzante e potente riflessione di Massimo Cacciari (“Il dottor Stranamore è ancora tra noi”) e sviluppato, il primo agosto successivo, con il serrato ragionamento e l’impegno anche politico di Gianni Cuperlo (“Noi e l’utopia storica della pace”). Un dibattito che è parte del discorso anche per me più urgente, che viene sostenuto ad altro e altrettanto alto livello, su queste stesse pagine, dagli incessanti contributi di Domenico Quirico, inviato e analista di straordinaria esperienza e di limpida umanità. (…) per proseguire aprire l’allegato
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