Il dovere di capire

Guerra e Pace. Il dovere di capire – Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, su La Stampa 1-7-22, ritorna a riflettere sui contenuti dell’incontro di Papa Francesco con i direttori delle principali riviste dei gesuiti . Vedi con questo link https://sindacalmente.org/content/francesco-controcorrente/.  Così inizia.

Che si stesse andando verso un conflitto armato tra Russia e Ucraina era ormai cosa che gli analisti avevano chiara ben prima degli inizi di quest’anno. E ben poco è stato fatto perché questo non avvenisse. Occorre sempre ricordare che i Paesi che non hanno adottato sanzioni contro la Russia sono 193 contro 37. Essi rappresentano il 41 per cento del pil mondiale e l’86 per cento della popolazione. Il mondo si divide e la Nato si allarga.

La globalizzazione e i legami di interdipendenza creati tra le economie sembrava avessero domato lo spettro della guerra fredda, e della rigida divisione del mondo in blocchi. La deglobalizzazione causata dalla guerra sta già creando nuovi schieramenti. Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica – che costituiscono il Brics – hanno appena concluso un business forum con l’obiettivo di «costruire un partenariato di alta qualità per una nuova era di sviluppo globale».

D’altra parte, la Nato durante il summit spagnolo ha annunciato il suo nuovo «Strategic Concept». In quello precedente del 2010 la Russia aveva lo status di partner strategico. Oggi la Russia è la più rilevante minaccia alla sicurezza e alla stabilità dell’area euro-atlantica, e la Nato rifocalizza i propri sforzi e sposta il suo baricentro nel Nord-Est europeo.

Siamo davanti a una complessità che ci chiede di affrontare un nuovo disordine mondiale che sta creando un innalzamento della tensione internazionale. A causa della scarsità di grano e dei conseguenti gravi problemi alimentari per milioni di persone, sono prevedibili effetti in termini di pressione migratoria. E che dire delle conseguenze della scarsità energetica? È difficile pensare che questa destabilizzazione rafforzi le democrazie. «Ecco, per me oggi la terza guerra mondiale è stata dichiarata», ha concluso Papa Francesco in una conversazione pubblicata da La Civiltà Cattolica, e parzialmente anticipata da La Stampa. Non sembra di vedere all’orizzonte una volontà di trovare una pace. Sarà possibile trovare una via d’uscita?

In quella conversazione, il Papa aveva ricordato che un paio di mesi prima dell’inizio della guerra aveva incontrato un capo di Stato, un uomo saggio che si era detto «molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato». E aveva proseguito: «Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro». E ha concluso: «La situazione potrebbe portare alla guerra». E così è avvenuto.Queste parole di Francesco hanno creato un ampio dibattito e, in particolare, il verbo «abbaiare» riferito alla Nato, nonostante non sia del Papa ma di un capo di Stato (sul nome del quale il Papa ha mantenuto il riserbo). Ma queste reazioni sono davvero giustificate? Che cosa dire della Nato, anche alla luce dei recenti sviluppi?

Voglio ricordare che Javier Solana, da Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune della Unione europea dal 1999 al 2009, disse chiaramente che non era più pensabile un rapporto tra la Nato e la Russia modellato sul rapporto tra la Nato e l’Unione Sovietica. Sosteneva la necessità di identificare gli interessi comuni tra europei e russi. Bisognava creare un sistema di sicurezza e di difesa comune fondato sugli interessi vitali di europei, russi e americani. Tutto questo non è stato fatto. Su questi temi il parlamento tedesco aveva ascoltato nel settembre 2001 – e in perfetto tedesco – lo stesso Putin, più volte applaudendolo. «Non ci siamo mai liberati completamente di molti stereotipi e cliché della guerra fredda», aveva detto il presidente russo. Mentre «la Russia è una nazione europea amica. La pace stabile nel continente è un obiettivo fondamentale per il nostro Paese, che ha vissuto un secolo di catastrofi militari». Queste parole, a 21 anni di distanza, sembrano provenire dall’iperuranio.

Le parole del Papa, quindi, intendono ribadire la necessità di capire che cosa è accaduto e perché, e se sono stati commessi errori e quali: «Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi», ha concluso. Una lettura forzata e negligente ha insinuato che il Papa stesse «giustificando» l’agire di Putin. Non è affatto così. Francesco continua a definire il conflitto come «inaccettabile aggressione armata», «guerra ripugnante», «massacro insensato», «invasione», «barbarie», «atto sacrilego».

Ha voluto, invece, insistere sul fatto che è necessario capire perché siamo arrivati a questo punto. Capire le cause di un evento non significa giustificarlo, ma semmai porre le basi per risolverlo. Dividere il mondo in buoni e cattivi, usando «lo schema di Cappuccetto Rosso», è confortevole e rassicurante, ma non serve a capire. Per capirci: sul fatto che il nazismo sia stato una orribile tragedia non c’è il benché minimo dubbio. Possiamo però interrogarci sul perché sia stato possibile che emergesse. Riconoscere nella sconfitta umiliante della Germania nella Prima guerra mondiale una sua causa fondamentale non significa affatto giustificare Auschwitz! Significa capire, per evitare che situazioni simili si verifichino nel futuro. La storia della Seconda guerra mondiale, quindi, dimostra che è impossibile costruire un ordine internazionale con una potenza umiliata e in cerca di rivalsa. Il problema centrale è quello di come ricostruire l’equilibrio e la stabilità nel sistema di relazioni internazionali. Nel realismo imperfetto della vita delle nazioni, questo è il vero senso della pace. Comprendiamo, dunque, che per ottenere la restaurazione di quell’equilibrio è necessario incamminarsi su un percorso negoziale all’interno di un quadro internazionale.

E questo ha fatto il Papa: invocando la pace, ha riflettuto sullo scacchiere internazionale e si è chiesto se fosse stato fatto tutto il possibile per evitare la barbarie dell’invasione russa. La sua risposta è stata: no. La risposta di Francesco ha avuto grande eco per l’autorevolezza del Pontefice. E tuttavia essa non è affatto originale, ma ben condivisa nelle analisi di politica internazionale.

Il presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato in una sua recente intervista ha condiviso la sua opinione: «Per la guerra in Ucraina provo un rammarico profondo e anche un senso di colpa: non abbiamo fatto abbastanza in passato per evitare che questo accadesse». «Putin ha sbagliato tutto – afferma– ma io avverto il peso di un fallimento europeo e dell’intero Occidente». È proprio questo che l’invasione dell’Ucraina rivela: un fallimento per superficialità e poco coraggio.

Se torniamo al tempo della riunificazione delle due Germanie, ci rendiamo conto che forse quella sarebbe stata l’occasione propizia per immaginare una nuova comune casa europea e una graduale dissoluzione dei blocchi militari di Nato e Patto di Varsavia nell’ambito di strutture cooperative di sicurezza. Il Segretario di Stato americano, James Baker prometteva «no extension of current Nato jurisdiction eastwards»: la Nato non avrebbe avanzato verso est neppure di un centimetro. La Russia rinunciava alla sua egemonia sull’Europa centro-orientale, e gli Stati Uniti non avrebbero allargato la loro influenza, compromettendo la sicurezza strategica russa. Un gentlemen’s agreement mai formalizzato.

Quella rassicurazione era sintomo di qualcosa che il monsignor Antonio Mennini, nunzio a Mosca tra il 2002 e il 2009, ha tradotto in termini quanto mai chiari e oggi molto importanti: «La fine dell’Urss de facto ha significato la sconfitta nella Guerra Fredda e la vittoria degli Stati Uniti e della Nato. Per tutto il popolo russo la Nato rimane il braccio armato degli Stati Uniti (nessuno può dimenticare i bombardamenti in Serbia negli anni Novanta per mettere fine alla guerra in ex Jugoslavia). Una delle condizioni poste quando l’Urss è stata smantellata era che la Nato non si espandesse nei paesi dell’ex Urss. La promessa fatta allora dal presidente Usa di fatto non è stata rispettata». Edgar Morin, in una sua riflessione recente, ha confermato il «sentimento soggettivo di accerchiamento delle élite dirigenti russe e in particolare di Putin». Esso affonda le sue radici a quei tempi complessi. È in questo senso di precarietà strategica che ritroviamo le radici della conflittualità che ha portato alla guerra, una tensione che si può intendere come un «abbaiare alle porte».

Giuliano Amato, nella sua analisi, cita Fiona Hill, consigliera di diversi presidenti americani, che ha raccontato i suoi colloqui alla Casa Bianca nel 2008 con George W. Bush e con il vicepresidente Cheney. Al vertice dell’aprile 2008 a Bucarest, la Nato prese in considerazione l’ammissione di Georgia e Ucraina, sostenuta dall’amministrazione Bush. Francia e Germania si erano opposte alla mossa. Alla fine si decise che l’Alleanza non avrebbe avviato il processo formale, ma ha rilasciato una dichiarazione in cui avallava le aspirazioni di Georgia e Ucraina dichiarando: «Questi Paesi diventeranno membri della Nato». La Hill cercò di dissuaderli dall’includere nell’alleanza militare Georgia e Ucraina, scatenando l’ira di Cheney e la reazione contrariata di Bush, «il quale replicò – prosegue Amato – dicendo che lui amava la «diplomazia vigorosa». Quanto vigorosa l’avevamo visto qualche anno prima con la sciagurata invasione dell’Iraq. Sappiamo poi come sono andate le cose».

George Kennan, protagonista del «contenimento» dell’Urss durante la guerra fredda, giudicò l’allargamento un errore fatale, opinione condivisa anche da Zbigniew Brzezinski, ex consigliere di Carter e di Obama. I rapporti tra Usa e Russia si sono complicati col tempo, portando a una crescente presenza silenziosa degli Stati Uniti in Ucraina per contrastare le pressioni russe e gli elementi russofili. Ha commentato Morin: «L’intero processo che ha portato all’invasione dell’Ucraina non può essere isolato da questa dialettica, che ha visto il gioco tra la Russia, gli Stati Uniti e le nazioni confinanti con la Russia trasformarsi gradualmente in una contrapposizione».

Gli accordi di Minsk (2014-2015) sul Donbass non sono mai stati applicati: la Russia non ha mai effettivamente riconosciuto il proprio ruolo nel conflitto, e Kiev ha sempre rifiutato il dialogo con i ribelli filorussi. Poi sappiamo che nel 2019 Kiev inserì nella Costituzione una legge per garantirsi «l’acquisizione della piena adesione all’Unione europea e all’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico». «L’Ucraina nella Nato – ha scritto Putin in un articolo nel luglio 2021 – sarebbe come un’arma di distruzione di massa usata contro di noi». Segno della paranoia imperialista di un leader che ha voluto la guerra, e anche della sua relativa comunicazione politica, ben esemplificata dai periodici insulti di Dmitry Medvedev, ad esempio. Ma questa era una paranoia ben prevedibile, alla quale non è stata garantita alcuna vera terapia diplomatica.

Si è avuto molto tempo per capire le frustrazioni della Russia e provare a farle convergere con le ragioni della pace. La nostra indifferenza alle richieste di Mosca ha influito sulla sua deriva verso l’autocrazia neo-zarista? È legittimo pensarlo. Resta il miraggio di una Russia integrata in una visione europea che va dall’Atlantico agli Urali, quella che sognava san Giovanni Paolo II. Invece, risolvere tutto con la favola di Cappuccetto Rosso, afferma il Papa, ci mette a rischio di non capire, di non voler risolvere, di non trovare il filo della pace. —

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