ART. 67 E SALTI DELLA QUAGLIA – costituzione e parlamento –
Articolo 67. Cambiare la Costituzione o più semplicemente il Regolamento del Parlamento? L'Articolo 67 della Costituzione della Repubblica italiana recita: « Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato» . Questo articolo fu scritto – dopo la dittatura fascista e del partito unico – per garantire la libertà di espressione e di voto ai membri del Parlamento Italiano. Per questo fine sacrosanto i costituenti ritennero opportuno specificare che ogni parlamentare non fosse vincolato da mandati che limitassero la libertà di pensiero, di espressione e di voto. Che non rispondesse solamente agli interessi del partito in cui si militava, al collegio elettorale in cui era stato eletto ma in primo luogo agli interessi generali del paese definiti nel parlamento stesso. Neppure la disciplina di partito poteva imporsi su questo interesse nazionale e sulla libertà di coscienza. In Italia la disciplina di partito era allora alquanto ferrea. L’intendimento dei costituenti era cosa ben diversa dall’utilizzo fatto nei decenni a seguire di storia parlamentare con i tanti “salti della quaglia” e la vasta schiera dei “voltagabbana”. Se ritorniamo allo spirito originario si può ben interpretare che il “divieto del mandato imperativo” è stato definito anche per salvaguardare dal vincolo del voto di scambio nel proprio collegio ( allora si votava con la rigida proporzionale con liste elettorali con molti candidati) del tipo “ se mi voti ti prometto di…”, un mandato vincolato da un impegno elettorale-privatistico.
La libertà di voto e di espressione è riconosciuta nei regolamenti parlamentari di Camera (art. 83, 1° comma del regolamento e Senato (art. 84, 1° comma del regolamento che permettono la possibilità di autonoma iscrizione a parlare per quei parlamentari che vogliano esprimere posizioni dissenzienti rispetto al gruppo di appartenenza. Di fatto, però, la disciplina dei gruppi parlamentari rimane un deterrente a tale libertà di espressione, visto che il comportamento "ribelle" di un eletto può essere oggetto di sanzioni disciplinari che arrivano fino all'espulsione dal partito o alla non ricandidatura alle successive elezioni. Si ritorna al problema di fondo, la materia privatistica della disciplina di partito, antidemocratica per i “ribelli o severi critici” sia nel caso del M5S sia dei partiti storici, quelli nuovi e finanche le organizzazioni sindacali grandi o piccole che siano.
I “salti della quaglia” e l’attività dei “voltagabbana” non possono rientrare in un’interpretazione allargata dell’articolo 67 che ne deformerebbe il significato. In altri paesi tale comportamento politico non è possibile. Ad esempio, in Germania, dopo la competizione elettorale non possono essere costituiti nuovi partiti nel Parlamento. In Italia il deputato che non si ritrovi più nella linea del partito in cui è stato eletto dovrebbe semplicemente dimettersi o accedere al gruppo misto. Sono problemi che si risolvono con la modifica dei Regolamenti e non già con il lungo iter della modifica di articoli della Costituzione. Questo è il nocciolo della questione al di là del linguaggio che si usa per esprimere la contrarietà al deputato di fare ciò che meglio “gli serve”.
Allegato
- Le democrazie occidentali, assenza di vincolo di mandato e le derive da www.wikepedia.it
Allegato:
democrazie_occidentali_e_sue_derive.doc
L’art. 67 della Costituzione è fondamentale principio democratico riconosciuto in tutta Europa, credo faccia eccezione la sola Russia. Se dovesse passare, viceversa, il principio dell’obbligo di fedeltà nel voto, tanto varrebbe ridurre il parlamento ai soli capi gruppo. Certamente non è attraverso la modifica di questo articolo che può passare la soluzione del problema costituito dai cambia-casacca e dai politici corrotti, come si vede in queste ore. Concordo del tutto sulla opportunità di modificare i regolamenti interni delle camere.
UN SEGGIO IN PROPRIETA’?
Attribuire a Grillo una volontà di controllo autoritario dei suoi parlamentari rischia a mio avviso di apparire ridicolo. Forse lui è attraversato da tentazioni leaderistiche, ma la vita democratica alla quale ci hanno abituato Pd e anche rifondazione o le confederazioni sindacali non era forse fondata sulla cooptazione e sul silenzio degli aderenti, invitati a parlare solo negli organismi dirigenti per omaggiare il capo e per salvarsi il posto (vedi Bonanni) e subire l’espulsione (“allontanamento”) in caso di dissenso esplicitato e praticato? La disciplina di partito (l’obbligo di votare in aula come stabilito dal gruppo parlamentare) è stata introdotta proprio per combattere l’uso esclusivamente proprietario del seggio parlamentare e per aggirare il divieto del mandato imperativo. Dietro la libertà di coscienza agivano infatti liberamente protetti gli Scilipoti e i Turigliatto. Ma il dissenso va rispettato o solo rispettato in certi casi?
Ricordo una discussione del 1982 a Livorno in Dp. Luigi Ferrajoli proponeva il mandato imperativo per vincolare i rappresentanti a rispettare i deliberati degli organismi territoriali che li avevano espressi. Ferrajoli voleva combattere il fenomeno degenerativo di posizioni che si capovolgevano in seguito a mediazioni di potere non controllate dalla base. E non era certo un improvvisato ribelle di passaggio. Fu però battuto da Massimo Gorla che convinse l’assemblea a respingere la proposta. “In questo modo – disse – si possono fare tranquillamente le riunioni per telefono senza discutere. Basta dare un sì’ o un no, come negli uffici di corrispondenza della Seconda Internazionale. Ma se si adotta questa prassi, gli organismi dirigenti sono svuotati di qualsiasi potere di discutere e di fare sintesi e si riducono a fare il conto dei favorevoli e dei contrari”.
Dobbiamo prendere atto che i5stelle chiedono cose che il centrosinistra e la sinistra avrebbero dovuto introdurre motu proprio: respingere i rimborsi elettorali e non considerare gli incarichi una proprietà privata. Ma siamo stati incapaci di un’autoriforma interna. Incapaci di motu proprio. Raccogliamo la tempesta che abbiamo seminato. Direi che ci sta bene e allora è saggio non gridare al pericolo di un imminente ’22. Meglio accettare il disordine nuovo e parteciparvi incoraggiandone un’evoluzione democratica. No scomuniche.
Ciao e grazie Mario Dellacqua