La giusta transizione
La giusta transizione energetica e climatica è quella possibile – La guerra in Ucraina e le tante guerre sono tanti stop. Tempi programmatici e compatibili per evitare sia il disastro climatico sia quello sociale. Ora riaprono o si potenziano le centrali a carbone e si pone “il problema politico” di rimpiazzare gran parte del gas russo. Le discariche ultima spiaggia per smaltire i rifiuti. Il ministro Robero Cingolani è stato intervistato da Salvatore Merlo alla Festa dell’Innovazione del Foglio, 17 giugno 2022.
- Il 2035 come scadenza per la produzione di auto a motore termico
- Può sempre nascere una nuova situazione, una nuova tecnologia. Molto è cambiato con la guerra
- L’inverno dipende dallo stoccaggio del gas. Sia al 52% delle riserve. Dobbiamo arrivare al 90
- Bisogna essere consapevoli della follia speculativa del mercato energetico: un anno fa un metro cubo di gas costava 20 centesimi di euro, quindi 10 miliardi di metri cubi di gas da stoccare, che era la nostra riserva tipica, richiedevano 2 miliardi di pagamento. A un certo punto il gas è arrivato senza un motivo specifico, se non appunto per la volatilità del mercato e la speculazione, a 1,30-1,40 euro per metro cubo. Quindi quegli stessi 10 miliardi di metri cubi di gas che noi ogni anno mettiamo da parte quest’anno costano 13-14 miliardi.
- Mario Draghi preme in Europa per vincere le resistenze – in particolare di Olanda, paesi nordici e Germania, sull’introduzione del Cap price per porre un limite ai rialzi speculativi del libero mercato del gas alla borsa di Amsterdam.
Ministro, io ho sempre avuto l’impressione, ascoltando le cose che lei dice, che il problema della transizione ecologica, l’ambito del suo ministero, sia di come la si affronta. Non deve cioè trasformarsi in una forma di auto-boicottaggio. La domanda è se la data del 2035 come scadenza per le auto a motore termico non sia troppo vicina per consentire una riconversione.
“E’una tematica molto calda in questo momento. Ci sono i grandi paesi costruttori – Italia, Francia, Germania – che hanno un’implicazione sociale formidabile, perché fra Automotive e indotto si tratta di una filiera di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Questi paesi hanno chiesto una data più prudente, si è parlato del 2035 per le auto e del 2040 per i furgoni leggeri. I paesi che non producono auto hanno chiesto di alzare l’asticella: per loro è meno critico, rischiano molto poco. Al momento questa era la data più avanti possibile per accelerare il processo verso l’elettrificazione dei trasporti. Però adesso guardiamo alla sostanza di queste cose. Innanzitutto vorrei ricordare che, per quanto siano diversi i panorami dei trasporti nei paesi europei, in Italia ci sono circa 40 milioni di veicoli e una dozzina di questi, 12 milioni circa, sono veicoli inquinanti: Euro zero, uno, due, tre, quattro. Dal nostro punto di vista, la cosa più facile da fare subito, il cosiddetto “low-hanging fruit”, sarebbe quella di aiutare le persone che hanno queste auto a cambiarle con auto molto meno inquinanti. Quindi Euro sei almeno, o ibride. L’impatto che se ne avrebbe dal punto di vista dell’inquinamento sarebbe immediato e altissimo.
E nello stesso tempo ricordiamoci che a parità di autovettura, l’elettrificazione in questo momento implica circa 12-13 mila euro in più di costo sull’auto. In questo momento il mezzo elettrico rimane di nicchia. Chi se lo può permettere ci sarà sempre, ma certamente non si tratta di larga distribuzione. E da ultimo ricordiamoci che, anche se potessimo avere tutti un’auto elettrica, le batterie di queste auto si caricano con elettricità che in larga misura ancora oggi è prodotta bruciando gas o carbone. Sarebbe dunque una falsa elettrificazione.
La verità è che questi sono processi estremamente complessi, in cui l’offerta di elettricità rinnovabile verde, l’offerta di una rete di infrastrutture, di colonnine di ricarica diffuse sul territorio, e la domanda di automezzi devono essere fatte crescere insieme. Per aumentare, come stiamo facendo in maniera enorme, l’installazione di potenza di energia elettrica rinnovabile, bisogna adeguare la rete e i sistemi di accumulo. E’ una rivoluzione e prima di poter dire di averla compiuta, bisogna aver rivoluzionato anche tutta l’infrastruttura di distribuzione, ricarica, spacciamento, accumulo. Se fosse stato semplice l’avremmo già fatto: è una frase che purtroppo ripeto spesso.
Il 2035 in questo momento è l’obiettivo di una missione politica in discussione. C’è stato un voto del Parlamento europeo, preceduto da discussioni molto accese. Ricordiamoci che comunque la filiera dell’automobile a combustione smetterà di produrre motori nuovi, ma per un paio di decenni dopo il 2035 dovrà continuare a produrre pezzi di ricambio, quindi sarà comunque un phase out abbastanza lento.
Non dobbiamo ideologizzare nulla di quello che stiamo facendo: se nel 2032-33 dovessimo vedere che le cose sono impossibili perché gli scenari sono cambiati, bisognerà avere la capacità di ritornare sui propri passi e di ragionare. Al momento teniamo l’asticella alta perché altrimenti questa domanda e questa offerta di trasporto verde non proveremmo nemmeno a incrementarla. Prendiamo la parte di sfida positiva”.
E’ stata forte la sensazione di un conflitto di tipo ideologico. Mi viene in mente un’espressione del segretario del Partito democratico all’indomani del voto in Parlamento europeo sull’introduzione della scadenza del 2035: Enrico Letta ha detto che la destra aveva votato per il “fossile nero”, con un evidente riferimento politico alla destra estrema. Ci sono dei casi in cui l’eccesso di ideologismo, le mode politiche o la tendenza alla campagna elettorale permanente, in Italia ma ahimè anche altrove, danneggiano il percorso delle cose che vanno fatte?
“Credo che non sia un problema di transizione ecologica. L’ideologia è sempre e comunque contro la razionalità. Per fortuna su joule e watt si può fare ideologia fino a un certo punto, poi bisogna fare i conti con la termodinamica, con la fisica, con l’ingegneria, con l’infrastruttura e con i costi. Ricordiamoci che stiamo affrontando una sfida di una ferocia inaudita. Limitare il riscaldamento globale a un grado e mezzo nella seconda parte del secolo è cruciale per il futuro dell’umanità. Non ci siamo mai trovati di fronte sfide così grandi a livello globale, ne abbiamo avute eventualmente a livello glocal, locale con impatto globale. Si tende a trascurare molto il fatto che nel concetto di transizione ecologica sia stato aggiunto un aggettivo importante: just transition, cioè transizione giusta, questo lo dimenticano tutti. E invece la cosa più complessa è proprio farla giusta. Ogni nostra azione ha una conseguenza, per cui dobbiamo valutare tutto ciò che fanno gli stati, soprattutto gli stati guida, come in questo momento è l’Italia, dal punto di vista dell’impatto sociale. Se andiamo troppo veloci, presi dalla furia ideologica di cambiare tutto, addirittura anticipando l’adeguamento delle infrastrutture che ci consentono di essere più verdi, andiamo incontro a un disastro di tipo sociale, industriale, economico. Se andiamo lenti, se ce la prendiamo comoda, il disastro annunciato è quello climatico. Quindi è sull’asse del tempo che si gioca la sfida più grande.
Credo che il ruolo di persone come me, un tecnico prestato al governo, sia quello di non ascoltare la sirena di chi vuole andare troppo veloce o troppo lento, ma fare la cosa corretta con il giusto tempismo. Il che probabilmente scontenta tutti, perché chiede sacrifici a entrambe le parti. Ho parlato con i sindacati e ho visto la loro grande preoccupazione sull’impatto della forza lavoro: come si fa a non essere d’accordo? Ho parlato con gli ambientalisti, vedo la loro preoccupazione se per caso dovessimo fallire: come si fa a non essere d’accordo? Però sarebbe bene che ci fossero chiari due punti. Uno: serve trovare un punto di compromesso in cui il tempo della transizione sia giusto, né troppo veloce né troppo lento. Due: bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere che in qualsiasi momento può nascere una nuova situazione, una nuova tecnologia.
Guardate come è cambiato tutto con la guerra in Ucraina. quando un anno fa abbiamo scritto il Pnrr era assolutamente impensabile. In Germania la reazione è stata quella di riprendere le centrali nucleari e potenziare il carbone, cose che non si potevano neanche pronunciare. Devo dire che l’Italia ha fatto una cosa esemplare per tutta l’Europa. Noi vogliamo liberarci di 30 miliardi di metri cubi di importazione dalla Russia e in otto settimane abbiamo svolto un’operazione di diversificazione delle fonti procurandocene 25 miliardi”.
Snam ha acquistato due rigassificatori, quanto tempo ci vorrà per averli? – “Dei 25 miliardi di metri cubi di nuovo gas, la metà è allo stato gassoso che entra nelle nostre tubazioni, l’altra metà circa è gas liquido che va riconvertito attraverso i rigassificatori. Tre sono già operativi in Italia, li manderemo al 100 per cento dell’utilizzo. Ora lavorano un po’ di meno perché d’estate c’è meno consumo. E poi avremo due rigassificatori nuovi, galleggianti, quindi non strutture permanenti, ma per gli anni che serviranno. Il primo dovrebbe essere installato all’inizio del 2023 e farà circa cinque miliardi di metri cubi l’anno, il secondo nel 2024 secondo la tabella di marcia”.
Che inverno ci aspetta? Il razionamento è un’opzione? – “L’inverno dipende dallo stoccaggio. Tutti gli stati durante l’estate accumulano gas che poi viene rimesso in circolo in inverno. In questo momento noi siamo circa al 52 per cento delle riserve. Dobbiamo arrivare al 90. Due mesi fa eravamo al 30, quindi si sta andando avanti. Bisogna essere consapevoli di questa follia speculativa del mercato energetico: un anno fa un metro cubo di gas costava 20 centesimi di euro, quindi 10 miliardi di metri cubi di gas da stoccare, che era la nostra riserva tipica, richiedevano 2 miliardi di pagamento. A un certo punto il gas è arrivato senza un motivo specifico, se non appunto per la volatilità del mercato e la speculazione, a 1,30-1,40 euro per metro cubo. Quindi quegli stessi 10 miliardi di metri cubi di gas che noi ogni anno mettiamo da parte quest’anno costano 13-14 miliardi. E qualcuno li tira fuori. Quindi gli stoccaggi stanno andando più a rilento, però gli operatori si stanno impegnando. Con il 90 per cento degli stoccaggi pieni non andremo in deficit di gas nel periodo peggiore, gennaio-febbraio. Ma la cosa importante – ripeto – è che abbiamo rimpiazzato 30 miliardi di metri cubi di gas russo con 25 di gas nuovo, e che abbiamo già messo in programma che i cinque miliardi di metri cubi in meno siano sostituiti da risparmi e soprattutto da più rinnovabili. Negli ultimi sei mesi – ho gli ultimi dati di Terna – gli allacci sono cresciuti a quasi nove gigawatt: 5,3 nel 2022-23 e gli altri dal 23 in poi. Sono impianti che hanno chiesto di essere allacciati, quindi pronti, e questa accelerazione non ha precedenti”.
Esclude quindi l’ipotesi che si arrivi alla necessità di chiudere il gas, di razionarlo. – “La probabilità è bassa. Più riusciamo a completare gli stoccaggi, più potremo presentarci alla stagione fredda con una solidità sufficiente, soprattutto per i bisogni industriali. Questo non risolve il problema del prezzo energetico, sia chiaro. Il prezzo energetico è un problema gravissimo che è nato prima ancora della guerra e su cui lavoriamo con il price-cap europeo, e così via. La guerra ha creato un ulteriore problema, l’insicurezza della fornitura, che è stata un po’ la tempesta perfetta. Direi che almeno questa parte l’abbiamo affrontata meglio dei cugini europei”.
Priolo, un grandissimo polo industriale, una raffineria con 4.300 dipendenti. Che fine fa? – “E’ una faccenda molto delicata. Priolo è una filiale della Lukoil, una grande società petrolifera russa gestita da una casa madre svizzera, controllata comunque dalla Russia… un po’ di scatole cinesi. Sino ad ora non ha infranto alcuna regola, perché ha preso del petrolio Lukoil, l’unico da poter comprare perché al prezzo più basso, trasportato con navi con la giusta bandiera. Quindi non c’è stata alcuna infrazione. Ma sappiamo tutti che il problema sanzioni c’è. Ci sono diverse ipotesi su come muoverci, per esempio la nazionalizzazione, in analogia con quello che ha fatto il governo tedesco. E’ un modello che stiamo studiando. L’altra è che intervenga un compratore esterno. In ogni caso Priolo in qualsiasi momento può utilizzare petrolio non russo, perché ha le tecnologie per utilizzare diversi tipi di greggio. La stiamo osservando sia dal punto vista tecnico che dal punto di vista meramente finanziario e di acquisizione di azienda. Certo, Priolo è centrale, perché serve una serie di materiali primi, propilene, etilene e altri, che sono nella catena produttiva italiana. Quindi se Priolo dovesse fermarsi il danno sarebbe anche per altre aziende”.
Tra qualche giorno il Parlamento voterà il dl Aiuti. Al suo interno il Movimento 5 stelle ha presentato un emendamento che impedirebbe la costruzione di un termovalorizzatore a Roma, se il dl fosse approvato. Lei se la sentirebbe di dire che Roma ha bisogno di un termovalorizzatore?
“Chiariamo una volta per tutte i fatti, poi diciamo quello che ci si è creato intorno. La situazione è questa: c’è un piano nazionale rifiuti che abbiamo fatto come ministero. E poi ci sono i piani regionali rifiuti che fanno le regioni. Le regioni possono fare una serie di proposte. Le regole europee sono chiarissime. Esiste una piramide di priorità, una gerarchia dello smaltimento dei rifiuti: la cosa peggiore, e da evitare, sono le discariche. Nel futuro il 65 per cento del rifiuto dovrà essere riciclato opportunamente. Poi un 25 per cento potrà essere valorizzato in molti modi, e al massimo il 10 per cento finirà in discarica. Quindi bisogna fare un piano regionale, locale, che vada in questa direzione, altrimenti non si è compliant con l’europa. Sul 10 per cento che andrebbe in discarica, qual è la soluzione immediatamente meno peggio? La termovalorizzazione fatta con le cosiddette “Bat”, best available technologies, che sono delle tecnologie che di anno in anno migliorano. Se un ente locale fa il piano di differenziazione corretto e poi mi dice che ha una Bat per ridurre il 10 per cento in discarica, fosse un termovalorizzatore o qualunque altra diavoleria, sarebbe assolutamente coerente con quanto previsto. In questo momento io il piano della regione Lazio ancora non l’ho visto e sulle intenzioni non commento. Non ho letto nulla, non ho niente. Poi capisco anche che siano argomenti divisivi”.
Il sindaco di Roma che ha detto che vuole fare il termovalorizzatore. – “Ma io devo guardare un progetto, numeri, cose scritte. Quando arrivano ne parliamo: non posso commentare tutte le interviste che leggo”.
Non le chiedo dove abita a Roma, ma non ha la sensazione quando esce di casa che sia un po’ sporchina, come direbbe Forrest Gump? – “Ho traslocato nella mia vita 23 volte in tre continenti, la mia famiglia è succube di questi spostamenti. Ho vissuto ovunque, dal Giappone agli Stati Uniti. Se c’è una cosa che non ho mai fatto è giudicare la città dove vivevo. Ho sessant’anni, non so dove verrò seppellito perché non sono appassionato a nessuna città. Roma è una città con un grande patrimonio artistico e culturale, potrebbe essere tenuta meglio, spero che le cose vadano meglio, ma non è l’unica città al mondo che ha questi problemi. Non mi voglio nemmeno inserire in questa discussione. Sono un apolide”.
Si ricorda che quando il governo venne presentato, il Movimento 5 stelle mise la sua foto tra i ministri del Movimento 5 stelle. Ma lei si sente un ministro del Movimento 5 stelle? – “La risposta è no, ma non certo perché mi senta il ministro di qualcun altro. Non ho nessuno alle spalle, solo 40 anni di ricerca, di studio e di lavoro. Mi ha chiamato Mario Draghi, e mi ha detto cosa voleva da me. Finché io sono utile, sono onorato di fare il ministro, quando sarò inutile o inadeguato, farò un passo indietro. Non ho motivo di appartenere a qualcuno, non mi sono fatto votare, non mi farò votare, perché finito il mio incarico mi troverò un altro lavoro. Queste sono discussioni che fanno parte di un livello più politico a cui normalmente non partecipo”. FINE INTERVISTA
Il ministro Cingolani, studioso e ricercatore di lungo corso, affronta i problemi facendo gran uso dei numeri e della scansione del tempo per dare credibilità agli obiettivi posti. Spesso è preso di mira e accusato di essere un “tiepido” ambientalista, o anche peggio, perchè sostiene la “ragione dei numeri” e delle equazioni comparative. Se ad esempio fa osservare ai politici le difficoltà che esistono per estendere i pannelli fotovoltaici o che anche questi inquinano di CO2 il mondo perchè vengono prodotti in Cina con energia da fonte fossile (carbone) viene contestato di spostarsi “a destra” per il semplice fatto che queste constatazioni, oggettivamente vere, sono evidenziate anche su giornali che fanno riferimento a partiti e elettori di destra (es. Libero, vedi allegato).-
I problemi sollevati da Roberto Cingolani sono spesso ostici ai politici, ai sindacalisti, ai molti che dibattono ma non amano misurarsi con i numeri, essendo da tempo disabituati alla lettura e allo studio scientifico. Pensiamo sia utile a tal proposito ricordare il libro di Chiara Valerio “La matematica è politica” (Einaudi 2020) dove si legge “…L’elemento fondamentale che accomuna la matematica e la democrazia è che entrambe sono fondate su un sistema di regole condivise. Norme accettate collettivamente, ma non assolute, e che dunque possono essere sempre ri-discusse e modificate. Né nella matematica, né nella democrazia, esistono verità immutabili a cui si deve soltanto credere, senza poter nutrire alcun dubbio. In altre parole: sottomettendosi. Che, invece, è il tratto tipico di ogni tirannia”. Per leggere l’intervista a Chiara Valerio un clic qui https://www.huffingtonpost.it/entry/imparare-la-democrazia-con-la-matematica-chiara-valerio-ad-huffpost_it_5f706956c5b6cdc24c1a6108/
Da Conquiste del Lavoro 18-6-22 – Automotive: per la riconversione servono fondi e nuove linee di indirizzo – Non vorrei che la partita sulla transizione della nuova mobilità diventi una partita ideologica, perché c’è anche un tema di carattere geopolitico che oggi deve farci riflettere sulle scelte che stiamo facendo sul settore, la catena del valore della nuova mobilità elettrica, ma anche le materie prime necessarie sono tutte in mano a paesi extra Ue. A dichiararlo è il segretario nazionale della Fim Cisl Ferdinando Uliano. “Oggi abbiamo un problema legato alla carenza di semiconduttori, con blocchi produttivi continui nonostante gli ordini. Per questo – sottolinea Uliano – un tema d’indirizzo su dove andare con la nuova mobilità elettrica e digitale che accompagni il settore è sempre più necessaria”. Per il sindacalista ulteriori ritardi rischiano di farci rimanere fuori dalla transizione con perdite pesanti sul piano occupazionale e industriale. Sulla stessa linea Simone Marinelli, coordinatore nazionale Automotive per la Fiom-Cgil: “Il settore dell’auto nel nostro Paese – afferma – ha subito un pesante ridimensionamento passando dalla produzione di oltre 2 milioni di veicoli alla fine degli anni Ottanta a neanche 500mila nel 2021. Un effetto devastante dal punto di vista industriale che ha pesato e pesa sull’occupazione e sui salari delle lavoratrici e dei lavoratori anche per il costante utilizzo di ammortizzatori sociali”. Per tali motivi i sindacati nell’incontro del 23 giugno, giorno della convocazione del tavolo del settore automotive chiederanno scelte precise rispetto alla partenza degli investimenti nel settore e alle posizioni che il governo intende assumere in seno al Consiglio ambiente europeo. Sa. Ma.
Dal Messaggero – Crisi energetica: la stagione dei sacrifici prima del voto di Romano Prodi https://www.romanoprodi.it/strillo/crisi-energetica-la-stagione-dei-sacrifici-prima-del-voto_18829.html
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