Tre obiettivi concatenati

Stop al lavoro povero – Il lavoro povero e il salario minimo sono stati nelle settimane scorse al centro di molti interventi, al Festival dell’economia di Trento, di Torino e nella relazione del Governatore di Bankitalia Visco – vedi con questo link .https://www.il9marzo.it/?p=9466 . Molti hanno sottolineato la necessità di un salario minimo erga ommes con una norma legislativa. Non così il governo, la premier Meloni ha ribadito più volte i motivi del No. Come Prendere parola, l’Associazione presieduta da Savino Pezzotta, ne abbiamo fatto oggetto di una prolungata discussione ora in fase conclusiva. Sul questo sito abbiamo già pubblicato articoli che collegano il lavoro povero a tre cause principali: l’assenza di un salario minimo erga omnes, troppi lavori a tempo determinato in nome della flessibilità che determinano una precarietà con basso salario annuo, gare al massimo ribasso che determinano sub appalti con contratti di facciata e buste paghe povere. In questo articolo riassumiamo questi testi e la premessa di riferimento.

La nostra premessa – Le nostre considerazioni hanno tenuto in debito conto i seguenti punti.

1 –  Il Regolamento Ue 1700/2019 per i rilevamenti statistici sull’occupazione è entrato in vigore in vigore in Italia dal 2021,  e  considera:  a) occupato un soggetto, tra i 15 e gli 89 anni, che nella settimana del rilevamento statistico ha lavorato almeno un’ora; (ndr. pochino!) b) occupato chi non supera i tre mesi consecutivi di assenza dal lavoro – escludendo malattia, ferie, congedo –  anche se lo si è per via di una cassaintegrazione, mentre prima lo erano se mantenevano una retribuzione almeno uguale al 50% dello stipendio pieno. Conseguentemente con questa novità statistica i rientri dalla Cig vengono conteggiati come nuovi occupati e ciò determina dati statistici da record occupazionali  ma non già di nuovi posti di lavoro.

2 – I dati sugli occupati raramente fanno riferimento al numero di ore lavorate, che rimane l’indicatore più affidabile per capire, con un’analisi più precisa, la crescita o meno dell’occupazione è quello delle ore lavorate nei quadrimestri e nell’anno. Ma di questo poco si parla e non è semplice risalire ai dati che pure esistono. Dario Di Vico in “Occupati da record -Spunti da un’Italia che la Cgil non vede”, Corsera del 2 giugno, (vedi allegato)  commenta i dati ufficiali senza fare riferimento a quanto segnalato in questi due punti presi da noi a riferimento.

3 – I numeri, oltre alle idee, sono un riferimento importante per la democrazia partecipata, per meglio comprendere la realtà per trasformarla, per individuare cosa si può fare in un dato tempo. Ci è stato di grande aiuto il Dataroom di Milena Gabanelli sulla precarietà del lavoro e il lavoro povero e rileggere le ragioni del Sì e del No espresse da Arturo Scotto (Articolo Uno) e da Oscar Giannino (giornalista) – (v.allegati).  

4 – Altro riferimento è stato la lettera aperta di Prendere parola inviata, nel corso del campagna elettorale del 2022 alle Segreterie Confederali e altri indirizzi di organismi categoriali e territoriali (vedi allegato)

Tre obiettivi concatenati per una modalità di flessibilità che annulli la precarietà: Sì al salario minimo (TEC) erga omnes, Sì alla flessibilità, No al precarietà.

Dalla grande crisi finanziaria del 2008 in poi ci hanno insegnato che capitalismo e massimo profitto non sono compatibili con le gravi questioni sociali e ambientali che si profilano dinanzi a noi…E’tempo di una nuova critica al capitalismo abbandonando quelle visioni ottimistiche che il liberismo di mercato ha alimentato e a cui non abbiamo saputo rispondere…Va respinta la logica dell’austerità per orientarsi invece verso la sobrietà e far diventare questo un tema centrale del dibattito democratico[1].  Questa riflessione vale sia per il campo politico sia per il sindacato. La Cisl, in particolare, deve sapere rinverdire e aggiornare quanto s’insegnava molti anni fa al Centro studi di Firenze, ovvero che il conflitto industriale è il “principio dinamico di ogni sistema di relazioni industriali”… che chi è incapace di conflitto (e capace vuol dire prima di tutto sapere quando serve e quando è sbagliato), è incapace di rappresentanza.[2]

Un primo campo dove il sindacato deve dimostrare la sua capacità di “risveglio” – recuperando credibilità tra i lavoratori e nel paese – è quello del lavoro povero e della precarietà, dove ha conoscenza e rilevante responsabilità contrattuale.  La contrattazione in determinati campi, per come si è trasformato il lavoro e la società, per come è organizzato il sindacato, non risolve -da sola- problemi complessi quali: i bassi salari, il lavoro povero e precario, la discriminazione salariale per le donne a parità di mansione, dove registriamo  primati negativi in campo europeo pur vantando la maggior copertura contrattuale. Ci fermiamo qui. La Cisl, in particolare, deve prenderne atto e adeguare al mutato contesto socio-econonico la sua strategia: la legislazione di sostegno sorregge e consente di espandere la contrattazione e non viceversa. Contrapporre i due strumenti è un non senso, gli esempi non mancano sia in Italia sia in Europa.  

A distanza di 25 anni dalla “legge Treu”, abrogata da leggi successive, è possibile –  seppure con un grave ritardo! – superare le distorsioni (normative e di mercato) che hanno trasformato la flessibilità, necessaria al sistema produttivo e dei servizi, in precarietà, con tipologie di rapporti di lavoro precari, sottopagati, con pochi contributi previdenziali e diritti. Già il pensiero di Marco Biagi segnalava questo rischio. In seguito studiosi e economisti, hanno sottolineato che la flessibilità deve significare mantenere stabile un contratto, un rapporto di lavoro a tempo indeterminato “non per quella data postazione, quel posto di lavoro ma per un altro lavoro, un’altra mansione”. A volte anche un contratto a tempo indeterminato stipulato con un’Azienda-Agenzia che preveda prestazioni lavorative temporanee in diverse aziende, per gestisce la domanda-offerta della flessibilità  in modo corretto e con ampia tutela del “lavoratore flessibile”.

I giovani che non cercano più lavoro (i cosiddetti Neet) sono circa un quarto del totale dei giovani (la classificazione di giovani è ben ampia: da 15 a 34 anni!), oltre tre milioni. Persone fuori  all’asse produttivo economico e sociale proprio nell’arco di tempo in cui si costruiscono progetti del proprio futuro, e quando si pensa alla famiglia, ai figli. Il lavoro come la casa sono i piedistalli per dare  cittadinanza sociale alla persona, per costruire la propria identità e propri sogni.

Il sindacato confederale, solo se agisce unitariamente iniziando dal settore dove può avere più titolo e forza di mobilitazione, può proporre un patto credibile per consentire la flessibilità e nel contempo contrastare la precarietà e il lavoro povero tenendo concatenati tre obiettivi:

  • Il primo, la definizione dei salari minimi prendendo a riferimento, settore per settore, il trattamento economico complessivo (TEC) definito dai contratti sottoscritti dalle organizzazioni più rappresentative, dando ad essi la validità erga omnes per tutti i lavoratori (dipendenti, parasubordinati, cooperative, voucher) il che richiede una norma legislativa (legislazione di sostegno alla contrattazione) che comprenda la verifica, da parte di un soggetto terzo, (e non già l’autocertificazione!) dell’effettiva  rappresentanza, certificando gli iscritti reali, i voti delle RSU, l’accesso pubblico ai bilanci. Vale per i sindacati come per le associazioni dei datori di lavoro.  
  • Il secondo, definire una norma che incentivi l’aggregazione delle oltre 100 Agenzie[3] di somministrazione (ex-interinali) creando un’agenzia nazionale pubblico-privata per la flessibilità, articolata territorialmente, che assuma lavoratori – con contratti a tempo indeterminato, con buoni stipendi e periodica formazione professionalizzante – disponibili alla flessibilità, ovvero a spostarsi in questa o quell’azienda per brevi periodi. Buoni stipendi da erogare sempre da parte dell’Agenzia anche per i periodi di formazione retribuita per acquisire nuove abilità indispensabili nel variegato mondo della flessibilità. Attività di formazione sostenuta anche con risorse pubbliche.
  • Il terzo, modificare quella specifica norma (è sufficiente un solo breve articolo alla normativa vigente) che consente le gare per gli appalti al massimo ribasso (causa dei bassi salari in tante aziende e cooperative); in specifico per il settore edile modificare anche la norma che consente di iscriversi alle Camere di Commercio come imprenditori aprendo semplicemente una partita Iva, spalancando la porta ai prestanomi per i tanti sub-appalti a cascata senza controlli, con infiltrazioni mafiose e camorristiche.

[1] Vedi articolo “Il mio viaggio con Sturzo verso il Pd” di Savino Pezzotta su L’Unità del 25 Maggio 2023

[2] Vedi articolo “L’Italia che è fuori dall’Europa”  del 31-3-2923 su www.il9marzo.it

[3] Agenzie per il lavoro – Per far parte della rete Anpal e operare nel campo dei servizi per il lavoro è necessario essere iscritti all’Albo informatico nazionale delle Agenzie per il lavoro. L’iscrizione all’albo certifica l’autorizzazione a operare legittimamente nel mercato e costituisce una tutela per cittadine e cittadini.  Si dividono in: 1. Agenzie di somministrazione di tipo generalista:svolgono attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale. 2. Agenzie di somministrazione di tipo specialista: possono somministrare lavoratori solo a tempo indeterminato. 3. Agenzie di intermediazione: svolgono attività di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. 4. Agenzie di ricerca e selezione del personale: attività di consulenza per l’individuazione delle candidature su incarico del committente. 5. Agenzie di supporto alla ricollocazione professionale: attività finalizzata alla ricollocazione nel mercato del lavoro di prestatori di lavoro

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