Paolo Russo  in “La fuga dal volontariato”, La Stampa 6-6-23, commenta dati Istat sul volontariato e raccoglie dichiarazioni di chi è all’interno di questo mondo. Il sindacalismo italiano ha mai sviluppato una vera strategia verso il volontariato mettendo al centro il potenziamento e la qualificazione del Servizio Civile Universale, oggi stagnate. Di contro i partiti del centro-destra presentano in Parlamento progetti di legge per un servizio civile riformato sotto la direzione del ministero degli interni o della difesa. Si propone anche il ritorno al servizio di leva obbligatorio. Il sindacato è disattendo e pensa che ci siano problemi ben più urgenti da affrontare. Di seguito l’articolo.

<< Paralizzati dall’incertezza di un futuro gravido di incognite, schiacciati dalla precarietà di un lavoro spesso senza orari che lascia poco spazio ad altro, scoraggiati da una burocrazia che a volte vanifica l’impegno verso il prossimo, i giovani sono sempre più in fuga dal volontariato. Dal 2015 ad oggi, complice anche la pandemia, il loro numero è sceso del 15,7%, ovvero 900 mila volontari in meno. Al di sotto del livello del 2011, certifica l’ultima rilevazione dell’Istat, che ne conta pur sempre tanti: 4 milioni e 661 mila.

Tant’è che, basandosi sui numeri della Confederazione delle Misericordie, su 71.550 posti a disposizione per sostenere progetti che vanno dall’assistenza ai fragili alla tutela dell’ambiente, quasi la metà, oltre 30 mila, sono rimasti scoperti.

Una forbice tra chi fa domanda per partecipare a un’attività e chi poi effettivamente la svolge che pone più di un interrogativo, non solo sul futuro del terzo settore, ma anche sulle inquietudini della Generazione Z. «A pesare non è tanto l’assenza di valori quanto l’incertezza sul futuro. Minacce come la guerra o i cambiamenti climatici disincentivano a investire su impegni a medio e lungo termine», riflette Laura Milani, che è anche responsabile del servizio civile nella Comunità Papa Giovanni XIII, «dove purtroppo oltre la metà dei giovani non si sono presentati al momento di dare vita ai nostri progetti».

«Ma non parlerei di disaffezione verso il mondo dell’associazionismo, perché a incidere in realtà sono i cambiamenti nel modo di socializzare che hanno reso più complesso il relazionarsi con gli altri», afferma a sua volta Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum nazionale terzo settore. Che punta anche l’indice contro la precarietà del lavoro, «con orari che rendono complicato trovare tempo per dedicarsi ad attività come quelle del volontariato». E poi, è inutile negarlo, «la cultura civica ha perso smalto, a causa anche della crisi dei corpi intermedi, partiti politici in testa, documentata dall’astensione alle urne».

E se i cambiamenti sociali generano la fuga dal volontariato, le associazioni no profit finiscono per ingrossare le schiere dei propri dipendenti, tanto che dal 2015 al 2020 se ne contano 82 mila in più. Con il rischio di rendere più burocratiche le istituzioni no profit. Anche se la burocrazia che allontana i volontari «è quella che obbliga i giovani a tutta una serie di adempimenti senza poter avere un contatto diretto con l’Ente presso cui vorrebbero prestare la loro opera», rivela sempre Laura Milani. Non di meno pesano le sacche di inefficienza della macchina pubblica con la quale devono interfacciarsi tanti volontari. Come Luciano Corti, da 22 anni alla Misericordia di Poggibonsi, nel cuore della Toscana. «Tutto è diventato complesso e questo – afferma – crea grande esasperazione. Succede spesso di portare una persona al pronto soccorso e di aspettare ore in coda, con le ambulanze ferme. Si crea tensione con il paziente, i familiari, il personale e fra i volontari. Persone di turno 8-14 sono tornate a casa alle 18. Così finiamo per allontanare tanti giovani».

Resta il fatto che continuando di questo passo rischia di andare in crisi uno dei pilastri non solo del nostro welfare ma dello sviluppo economico in genere. Basta leggere i numeri del rapporto Istat per farsene un’idea.

Le istituzioni che operano grazie al contributo dei volontari si concentrano infatti nei settori delle attività culturali e artistiche, sportive, ricreative e di socializzazione, che insieme aggregano il 65,2% delle istituzioni no profit. Ma pesano anche i settori dell’assistenza sociale e della protezione civile con il 10% di istituzioni, oltre che quello della Sanità con il 4,4%. Per non parlare del fatto che i giovani acquisiscono così competenze utili a trovare in seguito un lavoro, mentre intanto con il servizio civile ricevono un rimborso di 439 euro mensili.

Per ridare appeal al Terzo settore gli enti che lo sostengono hanno cominciato a ragionare con il ministro per lo Sport e i Giovani, Andrea Abodi. Si parla di rendere economicamente più appetibile il servizio civile, diminuire i giorni nei quali si deve prestare servizio, far pesare questa attività nei punteggi per i concorsi, consentire di fare servizio civile anche a chi lo ha già fatto.

«Credo che sia opportuno e necessario – dice il presidente delle Misericordie, Domenico Giani – creare presso la Presidenza del Consiglio un dipartimento per il Terzo settore. Perché il volontariato oggi in Italia ha un valore stimato in 80 miliardi di euro l’anno. Senza contare l’incalcolabile valore morale. È un mondo che non può essere lasciato solo. Siamo costretti a chiudere il servizio del 118 in diverse parti d’Italia, non riusciamo ad assistere tutte le famiglie in povertà che intercettiamo nei territori. Mettiamoci insieme a ragionare. È urgente».

Lo è per il nostro sistema economico. Ma soprattutto per la Generazione Z, alla ricerca di un nuovo modo di vivere una passione civile che attende solo di essere indirizzata meglio di quanto oggi non accada. —>>

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