Nel secondo articolo della Legge delega per la riforma fiscale si legge che i decreti attuativi ( di competenza del governo e non del Parlamento, solamente consultato, dovranno “..stimolare la crescita economica e la natalità attraverso l’aumento dell’efficienza della struttura dei tributi e la riduzione del carico fiscale, anche al fine di sostenere famiglie, lavoratori e imprese”. Si è convinti che la riduzione delle tasse sia lo strumento necessario per stimolare la crescita economica, produttiva, occupazionale e della natalità. Uno stato meno gabelliere – termine in voga nel populismo di ampi settori della destra – favorirebbe l’iniziativa imprenditoriale, quella dell’iniziativa dal basso, che la premier Giorgia Meloni ricorda nei suoi interventi come “favorire il lasciare fare”. Un orientamento politico opposto a quello che espresse un tempo Paolo Schioppa sul valore, il significato e l’utilità  delle tasse per assicurare coesione sociale, servizi e sviluppo.

Cesare Delpiano

Negli anni ’70 quando il sindacato confederale unitario, la Federazione Cgil-Cisl-Uil, mise in campo una strategia di riforme (rivendicando specifici obiettivi per conquistare il Servizio Sanitario Nazionale, per modificare il sistema pensionistico, per la scuola, per i trasporti e per i diritti sindacali e costituzionali) molto si discusse sulla priorità della riforma fiscale, ribattezzata allora da alcuni leader sindacali dell’epoca come la “Regina delle riforme” o “La riforma delle riforme”. Tra i più convinti e tenaci sostenitori di questa strategia – con molti altri sindacalisti del tempo – si distinse in in particolare Cesare Delpiano – segretario della Fim e della Ust Cisl Torinese, segretario della Cisl Regionale del Piemonte e poi segretario confederale con Pierre Carniti – che recentemente è stato ricordato nella sua terra natale,  https://www.cislpiemonte.it/cuneo/la-cisl-di-cuneo-ricorda-cesare-delpiano/

Le grandi riforme degli anni 70 furono avviate in deficit ( iniziò da allora la crescita esponenziale del debito pubblico, si pagarano forti interessi sui Bot) perche la “riforma delle riforme”, quella fiscale, rimase a metà strada. Anche con lo storico protocollo Ciampi, 23 luglio 1993, un vero atto di concertazione tra governo e parti sociali con l’obiettivo di fare parte dell’area euro fin dal suo avvio, la questione fiscale (politica dei redditi) rimase incompiuta: i sindacati firmarono per la moderazione salariale e il superamento della scala mobile in cambio della politica di tutti i redditi e del riconoscimento del diritto alla contrattazione di secondo livello. La fase 1 della “moderazione salarialòe ” fu rispettata e lo è ancora, non così per la cosiddetta la fase 2, la “politica di TUTTI i redditi e degli investimenti. Alcuni studiosi hanno stimato che nei successivi 20-25 anni una quindicina di punti di Pil si sono trasferiti dai salari alla rendita. La contratatzione e la strategia sindacale misero in evidenza tutti i loro limiti.

Siamo sempre più convinti, per come si presenta la realtà, per le ipotesi di “patto sociale” che di tanto in tanto si rilancia (in particolare in casa Cisl), che l’assunto degli anni ’70 siano ancora più urgente e veritiero oggi: senza la priorità alla “regina delle riforme” la piattaforma presentata al governo da Cgil,Cisl e Uil (già datata) rimarrebbe una lista di richieste senza risposte o al meglio come già per le pensioni, rinviate a tempi migliori.

Un credibile patto sociale si concretizza solamente con la premessa di una riforma fiscale ben diversa, anzi opposta alla flat tax e alla “pace fiscale” messa in campo dal governo.

“Non ci sono soldi” afferma il governo. E’ vero e servono più entrate per il bilancio dello stato che deve fare i conti con un debito pubblico da rifinanziare periodicamente che, ora,  paga per gli interessi 65 miliardi con la previsione di salire a 100, in conseguenza del rialzo dei tassi deliberato dalla BCE, con l’intento di frenare l’inflazione. Ma  per ora il Governo rinuncia a “disturbare” i suoi elettori ai quali ha fatto promesse di “pace fiscale” di un certo tipo. Come pure il governo Meloni è meno pressante di quello di Draghi verso i superprofitti. Se queste tendenza sarà mantenuta sarà impossibile recepire le richieste più qualificate della piattaforma Cgil,Cisl,Uil.

Sul DEF alleghiamo un commento di Ferruccio De Bortoli. Sull’urgenza di una grande mobilitazione sociale alleghiamo una dichiarazione di Savino Pezzotta. Vedi anche l’articolo: Università i sindacati suonano la sveglia al governo.

In questi giorni, con una certa sorpresa la presidente della BCE, Christine Lagarde, ha accusato le imprese di aver alimentato l’inflazione: hanno aumentato i prezzi in misura superiore all’incremento dei costi di produzione; i loro superutili sono così diventati il principale fattore del caro-vita, mentre i salari sono ancora fermi al palo. Nel 2022 le imprese europee quotate in Borsa hanno distribuito 230 miliardi di euro di dividendi ai loro azionisti. In Italia le cedole pagate ai soci hanno toccato i 15,5 miliardi. Si tratta in entrambi i casi di somme senza precedenti e ancor più straordinarie se si considera l’impennata dei costi di materie prime, energia e trasporti.(in allegato l’articolo)

Serve una progressività più accentuata delle imposte – sul reddito, sulle rendite, sul patrimonio, sui superprofitti, come il contrasto all’evasione e all’elusione fiscale (dove primeggia la voce dell’IVA) per allargare la base contributiva – è la condizione primaria per un patto sociale, “…poiché sono il mezzo attraverso cui si raccolgono le risorse per pagare il welfare pubblico, la sanità, l’istruzione, gli investimenti pubblici, a livello nazionale come locale..”.

Serve una progressività più accentuata significa anche la possibilità di ridurre l’imposizione fiscale a specifici settori di contribuenti a basso reddito (esempio è la rivalutazione automatica delle detrazioni fiscali)  e nel contempo incrementare le entrate affinché lo Stato e gli Enti pubblici possano ottemperare a tutte le funzioni necessarie per garantire i diritti universali (scuola e sanità in primis).

Ridurre di cinque punti il cuneo fiscale per i redditi fino a 35.000 euro è certamente un passo significativo se reso permanente (cosa per ora non prevista dal governo). Comunque è importante riflettere che il beneficio medio per un lavoratore si aggira sui 15 euro mensili, annualmente è pressoché “assorbito” da una visita specialistica ricorrendo al settore privato poichè il servizio sanitario pubblico la prescrive ma la eroga solo dopo settimane o mesi, a causa delle lunghe liste. Per la sanità non sono previsti nell’anno miglioramenti in quanto il finanziamento nazionale, al netto dell’inflazione, e minore dell’anno precedente, pur essendo nominalmente superiore. Per essere tutelati dal tasso elevato dell’inflazione che incide pesantemente sui redditi medio-bassi serve molto garantire l’erogazione dei servizi pubblici.

Conoscendo l’abilità di Luigi Sbarra, e la disinvoltura a sfilarsi dall’unità d’azione con la Cgil e la Uil, preoccupa una sua recente dichiarazione alquanto ottimistica “ ..sul fronte fiscale c’è ”una buona notizia fortemente rivendicata dalla Cisl: la volontà del Governo di mettere 3 miliardi aggiuntivi, in corso d’anno, sul taglio del cuneo..”, mentre si sottace sulla scelta taglia 50 milioni al fondo nazionale per gli sfratti quando questi crescono e per il 90% sono per morosità incompevole, mentre sempre il governo dimostra grande disponibilità verso l’evasore per necessità che non incorrerà in nessun tipo di sanzione o penalità. Così uno dei tanti cittadini “amico” dell’evasione potrà continuare ad evadere sapendo che se “beccato” pagherà al futuro quanto dovuto in passato, senza aggravi supplementari.

Come interpretare l’iniziativa della Cisl che, giovedì 20 aprile, ha depositato  presso la cancelleria della Corte di Cassazione la proposta di legge popolare “La Partecipazione al Lavoro, su cui la Cisl avvierà da maggio (quando è in atto la mobilitazione unitaria) la campagna di raccolta firme su tutto il territorio nazionale. La proposta punta a dare piena attuazione all’articolo 46 della Costituzione, promuovendo e incentivando la democrazia economica e la partecipazione gestionale, finanziaria, organizzativa e consultiva dei lavoratori alle imprese. E’ questo il tempo? Non è una materia tipica di un confronto nell’opportuna sede del Cnel per promuoverla con ampie convergenze unitarie sia sindacali sia imprenditoriali? Altrimenti si trasforma in un diversivo. Utile a chi? (vedi documentazione e commento con questo link )  

La Cgil, la Cisl e la  Uil hanno avviato la mobilitazione di primavera (vedi in allegato il programma e la piattaforma unitaria presentata al governo). Si afferma di volere “…contrastare le disuguaglianze con una riforma fiscale fondata sulla progressività costituzionale; puntare sul lavoro stabile e di qualità; rilanciare un nuovo ed esteso Stato Sociale…; Riforma del fisco, con una forte riduzione del carico su lavoro e pensioni, maggiore tassazione degli extraprofitti e delle rendite finanziarie…”. Sono frasi che esprimono obiettivi sociali di grande valore, elencati con più dettaglio al capitolo FISCO, molto meno per la SANITA’; sono però privi di richieste quantitati e di tempi per realizzarli, (eppure il sindacato ha risorse per coinvolgere esperti in materia). Con questa indeterminatezza diventa forte il richio di divisioni a fronte di risposte anche molto parziali del governo: in altre parole la bottiglia può essere giudicata “mezza piena” – con grande soggetivismo di chi conduce le trattative – anche nel caso in cui il governo stanzia – su specifiche voci – qualche centinaia di milioni di euro quando per gli obiettivi rivendicati servirebbero decine di miliardi, come ad esempio per la sanità.

Senza discutere sui contrasti che insorgono nella società quando si propone di modificare le tasse, del  conflitto sociale che insorge tra ceti abbienti e quelli a reddito medio-bassi, se mancherà un franco confronto e si svolgeranno comizi, anche a forte tono, per elencare il titolo delle richieste poste, allora queste risuoneranno come …promesse da marinaio, ricordando il detto popolare di un tempo. Se, invece, si svolgeranno tante assemblee, anche nel grande  arcipelago delle piccole aziende, se emergerà una consapevolezza sulla priorità per la Regina delle riforme (ci saranno odg per riproporre la riforma del catasto, per fare le gare e far pagare il giusto per le aree balneari, provvedimenti già bloccati dal centro-destra con il governo Draghi!) e la conseguente selezione degli obiettivi, se nelle assemblee il confronto sarà chiaro e franco anche per spostare l’opinione dei tanti lavoratori che  simpatizzano più per il governo che per i sindacati, allora può essere possibile un risultato più positivo di quanto successo alla fine del 2021 nel confronto con il governo Draghi. E’ certo difficile ma non impossibile!   

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  1. […] “Siamo nello stesso mare ma con barche differenti” e con questi link . https://sindacalmente.org/content/la-regina-delle-riforme/ […]

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