Svoltare dal declino industriale

 “Declino industriale” è un termine che non compare nei documenti del governo e delle istituzioni pubbliche. Non fa parte del “politicamente corretto”, se utilizzato riceve anche l’accusa di “disfattismo” o dintorni. Eppure se si analizzano le vicende degli ultimi dieci anni due grandi settori della manifattura italiana (la seconda in Europa) sono in forte contrazione (automotive) o a rischio di riduzione ai minimi termini (siderurgia). Alleghiamo due articoli di ex-segretari nazionali e territoriali della Fim-Cisl (Marco Bentivogli e Claudio Chiarle) che fanno il punto sulla storia e le vicende dei nostri giorni sull’ex-Ilva di Taranto e sulla strategia di Stellantis che gradualmente si è disimpegnata da Mirafiori e dall’Italia. Il declino della siderurgia e dell’automotive in Italia sono profondamente diverse come storia e come merito. Per quanto riguarda Stellantis assistiamo alla lieta sorpresa di fine anno, con un’analisi questa finalmente unitaria per la Fim, Fiom, Uilm torinesi che, a fine dicembre 2023, rompono con coraggio politico “un tetto di cristallo” e propongono di superare il monopolio, un tempo Fiat ora di Stellantis francese, agevolando l’insediamento di un produttore cinese. Completiamo il nostro abstract con altri articoli correlati: di Mario Deaglio, Paolo Bricco, Giuliano Cirio, Luise-Zangola, Bruno Manghi, Stefano Iannaccone.e Massimo Franchi.e di Raffaele Morese con questo link https://nuovi-lavori.it/index.php/lo-sgoverno-dellindustria-e-al-capolinea/

La siderurgia è il settore primario del manifatturiero – Marco Bentivogli, su Il Foglio 15-1-24, ricostruisce nel lungo e dettagliato articolo Improvvisazione acciaio” la storia degli ultimi dieci anni dell’ex Ilva che lo ha visto tra i principali protagonisti in particolare dell’accordo sindacale unitario del 2018, in gran parte depotenziato da improvvide decisioni del governo Conte II (M5S-Pd). Ripercorre le date più significative: nel 2013 arrivò il commissariamento, nel 2015 l’amministrazione straordinaria, nel 2016 il decreto per la vendita, nel 2017 l’aggiudicazione alla cordata AM InvestCo (in concorrenza con Acciaitalia); nel 2018 l’accordo sindacale più significativo di tutta la vicenda, con oltre 4 miliardi di investimenti; nel 2022 e 2023 la produzione è crollata ulteriormente, l’impianto è quasi fermo e nuovamente insicuro; ora siamo sotto i 3 milioni di tonnellate di prodotto annuo in uno stabilimento che sotto i 6 milioni di tonnellate perde. Dopo oltre 10 “prestiti ponte” negli ultimi anni si parla solo di cassa integrazione, e nazionalizzazione.  Così inizia << La domanda di acciaio è un elemento cru­ciale perché è un buon indicatore della sa­lute dell’economia in quanto riflette la do­manda dei settori consumatori, automotive, elettrodomestici, costruzioni, cantieri­stica navale e molto altro (…). La side­rurgia è il settore primario del manifatturiero e perde­re, dopo l’alluminio, anche la produzione di acciaio si­gnifica perdere sovranità industriale. Per questo la si­derurgia italiana ha una storia importante ma che ri­flette tutte le contraddizioni del paese”…>> . L’articolo che trovate in allegato prosegue con questi capitoli:

  • Breve riassunto delle puntate precedenti
  • C’era un’alternativa ad AcelorMittal?
  • L’accordo del 6 settembre 2018
  • Dopo le europee del 2019 salta tutto
  • La decisione di Mittal
  • Lo stato “ci metterà la faccia”
  • E ora che si fà

Marco Bentivogli, sottolinea come in determinate circostanzele ventate politiche populiste e  antindustriale abbiano danneggiato la nostra economia favorendo le multinazionali più spregiudicate , infine formula qualche idea per il futuro concludendo con queste parole <<…Taranto poteva essere la cartina di tornasole di un’Italia che sa cambiare. Capace di coniugare ambiente, occupazione e ben vivere. La politica sa che è troppo faticoso. I media altrettanto. Meglio esaltare le contraddizioni che gestirle mettendo al centro la prospettiva delle perso­ne. L’llva è lo specchio di un Paese in guerra con se stesso che crede che le fabbriche non servano o non esistano più. Già di per se sarebbe un buon motivo per non gettare la spugna.>>

Ben venga un secondo produttore d’auto…anche cinese. Paolo Griseri, su La Stampa dl 30 dicembre, (vedi articolo allegato) commenta così la convergenza unitaria della Fim, Fiom, Uilm torinesi <<..L’idea che possa arrivare nella città dell’automobile una fabbrica di proprietà cinese (sono i gruppi di Pechino che in questi anni stanno cercando stabilimenti produttivi in Europa) era considerata fino a pochi anni fa, anche dai sindacati, una bestemmia.(…). Per lungo tempo Cgil, Cisl e Uil hanno accettato l’idea che il gruppo Fiat-Stellantis avrebbe garantito da solo l’occupazione e le attività della manifattura nel polo torinese. I sindacati hanno chiesto ieri alla multinazionale guidata da Tavares di assegnare nuovi modelli allo stabilimento, di garantire la sostituzione dei molti che andranno in pensione (l’età media è oggi di 56 anni) con giovani assunti, di assegnare produzioni di componenti destinati a vetture elettriche e idrogeno e di investire su Torino come polo di progettazione e ricerca. Accanto a questo appello l’apertura a trattare con altri costruttori l’insediamento in città. Una posizione unitaria, di tutti e tre i sindacati, la prima significativa a Mirafiori dove nel gennaio del 2011, in occasione del referendum voluto da Marchionne sul nuovo sistema contrattuale nella fabbrica, la rottura tra la Fiom e gli altri  sindacati era stata drammatica. Come si è giunti a questa ricomposizione? «Manteniamo differenze su alcuni punti della contrattazione ma non certo sulla necessità di salvare Mirafiori». ha detto il responsabile della Uilm, Luigi Paone. «Di fronte alla gravità delle crisi l’unità d’azione è un dovere» hanno concluso i tre segretari dei sindacati dei  metalmeccanici torinesi..>>

Claudio Chiarle, già segretario della Fim Torinese nell’era Marchione, nella sua rubrica “Scapa (nen)tavaj” sul sito lo spiffero.com,  pubblica dieci giorni dopo “Stellantis non basta più”, un articolo con molti dati, dove afferma <<.. La strategia Stellantis su Maserati va ripensata complessivamente. Il problema di Mirafiori è il problema del Paese; non c’è una visione e un piano industriale per l’auto, il ministro Urso balbetta opinioni inconcludenti ma il vero problema rimane avere un secondo costruttore di auto. In realtà c’è già: DR ha prodotto oltre 24mila vetture nei suoi stabilimenti molisani e oggi aprire a un produttore cinese è l’idea più realistica che ci possa essere. (…). La penetrazione cinese in Europa è già allo stadio avanzato, cito Volvo ma anche MG e Great Wall nonché DR e in generale i cinesi, con 405 gruppi, sono presenti a fine 2019 in 760 imprese italiane. Le politiche industriali non si fanno con l’ideologia, vale a destra come a sinistra. D’altra parte anche Stellantis sta realizzando joint venture con partner cinesi ma l’Italia non può dipendere e aspettare Stellantis e il Governo deve agire. Siamo un Paese in cui tutti criticavano Fiat, poi Fca, poi Stellantis ma alla fine tutti si accodano ancora alla monarchia senza più re, anzi con il trono in Francia. Inoltre a Mirafiori il problema del ricambio esiste con l’età media degli addetti di 56 anni ma è lo stesso problema del 2010 quando era di 55, di fatto non è cambiato nulla…>> (in allegato il testo completo)

Per aver più elementi di valutazione sul processo di deindustrializzazione in atto e qualche spunto per reagire, aprite i sette articoli correlati di Mario Deaglio, Paolo Bricco, Giuliano Cirio, Luise-Zangola, Bruno Manghi , Stefano Iannaccone e Massimo Franchi.

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