POLITICA DELLA CASA ED EMERGENZA – G.Baratta – welfare & territorio 11/01/012

Diritto alla casa, la crisi economica e le politiche di welfare. Berlusconi è andato, se valutiamo le politiche abitative operate dal suo governo non possiamo che dire: “meno male”. E’ presto per giudicare l’operato del governo di tecnici guidato da Monti, c’è ancora il tempo per prendere decisioni, ma dobbiamo dire che per ora il problema casa non è nemmeno apparso nelle dichiarazioni programmatiche. L’unico segnale positivo sono le detrazioni fiscali per interventi di ristrutturazioni e risparmio energetico che sono state confermate.  sindacati inquilini, SUNIA SICET UNIAT, il 13 dicembre scorso hanno organizzato una giornata di mobilitazione nazionale con presidi sotto le prefetture di 50 città italiane per chiedere la proroga del blocco degli sfratti, anche quelli per morosità incolpevole, ma anche per chiedere che la politica abitativa entri a tutti gli effetti tra le politiche di welfare. La proroga degli sfratti, senza quelli per morosità, l’abbiamo ottenuta, le politiche no.

Perché la situazione rimane pesantissima, anzi peggiora.

268.000 sentenze di sfratto emesse in Italia negli ultimi 5 anni, di queste ben 216.000 sono per morosità, con la crisi occupazionale che perdura non è irrealistico prevedere altri 100.000 provvedimenti nei prossimi 3 anni, le famiglie sfrattate sono cresciute del 61,7% dal 2001 al 2009, di queste l’83’9% è stata sfrattata per morosità, a Torino le famiglie sotto sfratto arrivano a 3.000.

Il 70% delle famiglie che vivono in affitto hanno un reddito che non supera i 30.000 € lordi all’anno.

I bandi fatti nelle città italiane per l’assegnazione di una casa popolare hanno visto la partecipazione di 650.000 famiglie, pochissime tra queste avranno un alloggio pubblico. A Torino ci sarà a fine gennaio un nuovo bando per le case popolari, circa 10.000 famiglie hanno partecipato all’ultimo bando del 2007, solo un migliaio di queste si vedranno assegnare un alloggio.

Sul fronte dell’acquisto della casa, unica politica incentivata in questi ultimi venti anni, la situazione non è migliore; le compravendite di alloggi e case nel territorio nazionale sono passate da 816.308 nel 2006 a 617.286 nel 2010, 200.000 in meno e le ragioni sono evidenti e dimostrate dai numeri perché se nel 1965 una famiglia con redditi medio bassi acquistava una casa con 9 anni di stipendi, nel 2011 quella stessa famiglia deve prevedere di usare gli stipendi per 21 anni. La durata dei mutui è passata da 19,5 anni medi del 2004 a 23,2 del 2010, è del tutto evidente che non possono pensare all’acquisto le famiglie e/o persone che debbano prevedere un’ incidenza del mutuo superiore al 30% del reddito, sicuramente i tantissimi giovani con lavori precari.

 

Non è vero che non si può fare niente, che ciò che accade è ineluttabile come la pioggia.

Il governo Berlusconi infatti ha scelto di favorire le grandi proprietà immobiliari e i ricchi, la scelta di introdurre la cedolare secca ha significato un trasferimento di risorse sotto il titolo, “meno tasse” pari a 1,5 miliardi di €. Parallelamente è stata deliberata una pesantissima riduzione del fondo sostegno affitti, che serviva alle famiglie povere in affitto. Ad esempio, per il Piemonte questo taglio ha significato una riduzione dei trasferimenti nazionali che è scesa dai 24 milioni di € del 2010 a 819.000 € del 2011.

 

Questo dimostra che si possono fare scelte.

Da tempo i sindacati inquilini propongono decisioni diverse, le hanno già chieste anche al nuovo governo. Chiedono la riforma della legge 431/98 che regola le locazioni decidendo che gli affitti siano regolati su tutto il territorio nazionale dal solo canale concordato per la stipula dei contratti, con una forte fiscalità di vantaggio, questa scelta consentirebbe di fare incontrare con maggiore facilità la domanda e l’offerta su canoni di locazione più bassi, quindi più accessibili e consentirebbe di immettere sul mercato, utilizzandoli, i moltissimi alloggi vuoti presenti nel nostro paese, 120 abitazioni ogni 100 famiglie.

 

Non bisogna abbandonare la politica di sostegno economico alle famiglie povere in affitto. E’ poi necessario avere delle norme urbanistiche che prevedano uno “scambio” con i costruttori: la concessione di alcune agevolazioni in cambio di alloggi in affitto per le fasce sociali a basso reddito, naturalmente bisogna continuare a incrementare il patrimonio di edilizia residenziale pubblica che, com’ è noto, nel nostro paese è a livelli minimi.

 

E’ decisivo che il governo, ma anche le regioni e i comuni per le loro competenze, competenze importanti perché i piani regolatori sono “affari loro”, ma anche i partiti, i sindacati, le associazioni, comprendano che le politiche abitative sono una parte insostituibile delle politiche di welfare, e come tali vanno inserite nei progetti di sostegno ai cittadini più deboli.

 

Non sappiamo se sarà capito e soprattutto se sarà finalmente fatto, la nostra preoccupazione, che diventa ogni giorno che passa una certezza, è che su questo fronte assisteremo a forti tensioni sociali e a forme di lotta inedite come quelle che sono iniziate in Spagna a Madrid e a Barcellona dove gli “indignados” stanno supportando e organizzando le famiglie senza casa a causa di sfratti e/o pignoramenti, per occupare stabili vuoti di proprietà di banche e assicurazioni.

 

Forse, se non ci saranno risposte politiche, i sindacati inquilini e confederali dovrebbero prendere in considerazione e avere il coraggio di farsi promotori di forme di lotta simili, certamente eclatanti e inusuali ma probabilmente più efficaci.
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