Ezio Manzini, presidente di Desis, su Domani, in “Il futuro sostenibile dalle città dei 15 minuti” , pone al centro del suo articolo la sfida dell’abitare, considerando che  una buona parte dei fondi che arriveranno saranno canalizzati su progetti che avranno le città come terreno di applicazione. Così inizia.  

Si dice spesso che il Pnrr, Piano nazio­nale di ripresa e resilienza, è un’occa­sione storica per cambiare l’Italia. Ma verso dove? Le due “r” del titolo indica­no solo che, con questo piano, l’econo- mia dovrà riprendersi e diventare più resiliente. Il che è una condizione ne­cessaria per andare avanti ma, di per sé, non propone un’idea di futuro. Rilevare questa mancanza non è una critica al Pnrr in sé. È invece una critica al fatto che, intorno a esso, partiti e so­cietà civile, media e università non ali­mentano una conversazione sociale sul dove si vorrebbe andare con questa massa di finanziamenti. Senza visioni condivise, senza la loro capacità di ca­talizzare risorse sociali e orientarne le azioni, l’occasione storica di disporre di una quantità di fondi mai vista pri­ma andrà sprecata. Prendiamo l’esempio del futuro delle città. Una buona parte dei fondi che ar­riveranno saranno canalizzati su pro­getti che avranno le città come terreno di applicazione. Certamente in questi mesi un gran numero di uffici tecnici di comuni e di altre agenzie stanno preparando proposte o, più spesso, ti­rando fuori dai cassetti proposte già preparate. Ma che città ne verrà fuori? Non si può sapere perché, in modo con­sapevole o meno, è in atto uno scontro tra diverse idee. Dipende da quale vin­cerà. E oggi, in particolare, da quale sa­prà trarre più vantaggio dal Pnrr. Per cui la conversazione sociale che man­ca è quella che dovrebbe rendere più chiari e confrontabili i diversi scenari oggi in competizione. Cioè le diverse idee di città che essi propongono, le motivazioni su cui si basano, e le impli­cazioni di un loro effettivo sviluppo. (…) per proseguire aprire l’allegato

Cosa può significare per i lavoratori e il sindacato la città dei 15 minuti? Quindi minuti dalla propria abitazione per avere in prossimità i servizi essenziali della Pubblica Amministrazione, del Sistema Sanitario Nazionale Pubblico. Un tempo si utilizzava il termine “decentramento” , ora ribattezzato in “prossimità”. Ad esempio, un nuovo sistema sanitario pubblico non solo ospedale-centrico ma con distretti di prossimità nei quartieri, centri di pluriservizi con un nuovo ruolo dei medici di base incorporati a pieno tempo nel servizio pubblico e non già convenzionati come liberi professionisti. Ad esempio, centri di coworking raggiungibili in 15 minuti a piedi per svolgere attività di smartworking, sedi moderne e adeguatamente attrezzate, dando così anche nuove prospettive alle periferie. Ad esempio, scuole a tempo pieno con tutto quanto ne consegue, collegato al potenziamento e alla diffusione territoriale delle biblioteche civiche. Il movimento sindacale nel suo insieme può fare molto in tal senso, se pone obiettivi concreti popolari ai servizi raggiungibili in 15 minuti. Cambia il volto delle città, cambia il modello di sviluppo in quanto servizi universali a tutela della salute, della formazione diventerebbero, anche nel linguaggio e nella percezione comune, settori fondamentali di una nuova economia.

Cambiare il modello del vivere in una città è fondamentale ben sapendo che entro il 2050 i due terzi della popolazione mondiale vivranno nelle città, una tendenza trainata principalmente da tre Paesi – India, Cina e Nigeria – con Delhi che a partire dal 2028 diventerà la metropoli più abitata al mondo. Oggi il primato spetta a Tokyo, capitale del Giappone, che ha 37 milioni di abitanti. È quanto emerge dal dossier dell’Onu https://tg24.sky.it/mondo/2018/05/17/popolazione-mondiale-citta-2050

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