CARNITI : DELIRI SU ART 18, RIDURRE L’ORARIO – intervista – economia & lavoro 29/12/11

«Puro delirio. Paranoia di alcuni politici e imprenditori che a tratti si acutizza, sa come funzionano le fissazioni, no? Abbandoniamo le formule esoteriche e parliamo dei problemi, non si può dare spazio all’ennesimo diversivo per non aprire una discussione seria sul lavoro, di cui invece non parla nessuno. Uno dei difetti di noi italiani è proprio questo: spostare l’attenzione per evitare la realtà».

Pierre Carniti, una vita da leader Cisl, deputato europeo per i socialisti prima e per i democratici di sinistra poi, parla dell’ultima digressione sull’articolo 18 su cui anche il governo Monti è inciampato parlando di lavoro, anche se ora ha chiarito non essere una priorità.

La realtà, allora: qual è?

«Il lavoro non c’è per tutti, né ci sarà nel prossimo biennio almeno. Anzi, l’occupazione continuerà a diminuire: secondo Confindustria tra il 2012 e il 2013 spariranno altri 800mila posti. Per creare lavoro c’è solo la crescita, e questo è un Paese in recessione, come dice pure l’Istat, che certo non si risolleverà a breve».

Quindi, tutti poveri e disoccupati? Quali sono le ipotesi possibili?

«O si redistribuisce il poco lavoro disponibile con una drastica riduzione degli orari, oppure decidiamo per l’assistenza a milioni di disoccupati, la flexsecurity di cui parla qualcuno. A parte che per quest’ultima opzione ci vogliono un sacco di soldi che non abbiamo, io sono per la ripartizione del lavoro, che è ancora un fattore di identità nell’immaginario individuale e collettivo. Lo spiegava già Keynes nel 1930: nell’arco di un secolo, diceva, gli orari di lavoro si sarebbero dovuti ridurre, rimanendo comunque sufficienti a produrre quello di cui abbiamo bisogno. In Germania l’hanno fatto, dopo la crisi globale del 2008, arrivando ad una media di 32 ore, per poi riprendere a ritmi più sostenuti quando il Paese ha ricominciato a crescere. Perché è una misura flessibile, temporanea. Se anche in Italia, tra 3-4 anni, dovesse esserci una ripresa, se ne potrebbe ridiscutere».

Chi dovrebbe decidere? Pensa ad un patto tra imprese e sindacati, sostenuto dalla politica?

«Una diversa organizzazione del lavoro la dovrebbero gestire imprese e sindacati, sì. Quanto alla politica, il suo compito sarebbe di mettere in campo idee, ipotesi, alternative, innanzitutto disvelando la reale natura dei problemi da affrontare. A partire dal fatto che l’articolo 18 non c’entra assolutamente nulla col tema “ridare impulso all’occupazione”: del resto, già non viene applicato all’85% delle imprese italiane, che restano sotto la soglia dei 15 dipendenti, eppure il lavoro non c’è.

I contenziosi relativi all’articolo 18 riguardano meno di 70 casi l’anno, le pare questo il problema? Se poi per ragioni teologiche a me ignote fosse considerato da qualcuno un freno allo sviluppo, si potrebbe anche discuterne, sostituendolo con una remunerazione adeguata, un indennizzo che abbia come riferimento il trattamento dei top manager. Se c’è gente che ha delle fissazioni, se le tolga a pagamento».

Una discussione di questo genere in Italia non è all’ordine del giorno: anzi, se guardiamo alla Fiat, la direzione seguita sembra quella opposta.

«Perché quello che non è all’ordine del giorno in Italia è il tema dell’aumento dell’occupazione, è questo il problema. E alla Fiat, infatti, succede l’esatto contrario di quello che dovrebbe. Se va avanti così, non farà che gestire il suo declino, e sarebbe ora che si aprisse anche questo, di dibattito: come salvare la Fiat dalla Fiat stessa».

Lavorare meno per lavorare tutti aprirebbe però un grosso problema di reddito.

«Infatti si tratterebbe di capire come redistribuirlo. Del resto oggi al Sud abbiamo il 40% di disoccupazione giovanile e il 50% femminile, credo che riaprire il discorso occupazione migliorerebbe il contesto. Negli ultimi 10 anni i redditi fissi hanno perso qualcosa come due mensilità all’anno, eppure non è stata messa in atto alcuna iniziativa per correggere questo corso che, anch’esso, ha contribuito a creare recessione. E l’ultima manovra non aiuta. Di sicuro non redistribuisce la ricchezza, anzi».

Allude alla riforma delle pensioni?

«Ho un grande rispetto per il ministro Fornero, ma quello delle pensioni è solo un furto con destrezza. Non stiamo parlando di spesa pubblica, ma di risparmi privati, ancorché obbligatori: questo è un prelievo puro e semplice. La riforma delle pensioni è altra cosa. Immaginiamo tre pilastri: uno basato sul sistema contributivo, uno sulla pensione complementare, e uno nuovo che invece si sostanzia di una pensione pubblica, una quota base finanziata con le imposte dei contribuenti. Quello che è stato fatto è tutt’altro e non ha nulla a che fare con le giovani generazioni di cui tanto si parla. Le loro prospettive non sono cambiate di una virgola rispetto a prima. Purtroppo».

 

Intrevista di Laura Matteucci   su L’Unità del 22 dicembre 2011

 

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