Berlinguer: eredità controversa
Il 36° anniversario della morte di Berlinguer è stato ricordato da molti con accenti di emozione e di devozione. Per qualcuno, la sinistra è finita con la scomparsa del leader comunista. (…)
Mario Dellacqua scrive: (…) Giova comunque ricordare agli smemorati, ai disattenti, agli orfani dei santi e agli acquirenti di miti, che l’eredità di Berlinguer è controversa: negli anni Ottanta, alle grandi difficoltà della sinistra, Berlinguer rispose offrendo strategie contestate all’interno del suo stesso partito e che divisero profondamente la sinistra e il movimento sindacale.
Finita la stagione della solidarietà nazionale, in una memorabile intervista del luglio 1981, il segretario comunista accusò i partiti di essersi ridotti a “macchina di potere e di clientela”, e di dedicarsi solo alla spartizione delle poltrone e all’occupazione dello Stato. Erano già trascorsi sei anni dall’avanzata rossa e dall’insediamento nelle Regioni delle Giunte di sinistra. Anche i comunisti, insieme con i socialisti (già ben avanti), non avevano sempre dato prova di integrità e trasparenza nella gestione pubblica delle ingenti risorse disponibili. Berlinguer vide quel pericolo, ma lo denunciò con l’obiettivo di scaricare su altri la responsabilità della metamorfosi che stava mutando volto e pelle del suo partito, diventato sempre meno il partito delle fabbriche e dei quartieri e sempre più il partito degli Amministratori.
Sollevando la questione morale, Berlinguer sventolò la bandiera della “diversità comunista”: la causa principale dello “sfascio morale del paese” era “la discriminazione contro il Pci” che bloccava il sistema politico e impediva l’alternanza al governo fra conservatori e progressisti. Non si escludeva lo scambio politico, purchè a concludere il negoziato sui problemi della politica economica con il governo non fosse abilitato il movimento sindacale – questo non era “il suo mestiere” -, ma un regime di autorizzazione e di controllo garantito dal Pci. E riservare al Pci il ruolo di decisore di ultima istanza nella rappresentanza del movimento operaio trasferì sulla Cgil un deficit di autonomia che impedì l’avanzata di ogni progetto di unità sindacale. (…) per continuare aprire l’allegato
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