Il diritto internazionale contro le barbarie

Dopo l’orrore e le atrocità della seconda guerra mondiale, in particolare contro la popolazione civile e le città, si avvertì nella comunità internazionale la necessità e l’urgenza di adottare nuove regole per completare il diritto internazionale umanitario (DIU) e, soprattutto, estenderlo a protezione dei civili. Il 12 agosto 1949 a Ginevra, grazie ad un gran lavoro preparatorio svolto dai giuristi dalla Croce Rossa, su invito del governo svizzero si riunirono  numerosi Stati che adottarono quattro Convenzioni, che sono ancora uno dei maggiori successi della cooperazione tra Stati.

In questo periodo storico in cui si assiste a una polarizzazione del pensiero, in cui il nemico è demonizzato e disumanizzato, in cui dilagano giudizi superficiali che reclamano soluzioni estreme, questo sistema giuridico, oggi ripetutamente violato sia dagli aggressori sia dagli aggrediti, resta più che mai necessario, una diga contro gli orrori della guerra. Rispettare i diritti umanitari significa pensare al presente e al futuro, dopo ogni guerra, infatti, occorrerà ricostruire rapporti con il nemico, avere meno risentimento reciproco, tenere conto di quella parte di ragione che sta anche in chi ha torto. Una scommessa che l’umanità dei popoli vincerà contro l’orrore delle guerre.

Bandiera dell’ONU

Al riguardo vi proponiamo la lettura dell’articolo di Maurizio Delli SantiLe armi del diritto internazionale umanitario contro le barbarie della guerra”, su Domani, che così inizia << Il dramma delle morti e delle distruzioni causate dal criminale bombardamento dell’ospedale pediatrico Okhmatdyt di Kiev, dove erano in cura anche bambini malati di cancro, è solo l’ennesima conferma di un elemento comune all’escalation delle guerre in corso in Ucraina e nella Striscia di Gaza: il diffuso e macroscopico coinvolgimento delle popolazioni civili con morti e distruzioni di edifici non militari, e questo nonostante il moderno diritto internazionale di conflitti armati stabilisca vincoli tassativi per limitare gli effetti della violenza bellica sulla popolazione civile.

Secondo stime ufficiali la guerra in Ucraina ha comportato dall’inizio del conflitto più di 11.000 vittime civili, di cui almeno 600 minori, mentre i feriti sarebbero più di 22mila. Questi dati danno anche il senso della sproporzione delle vittime civili palestinesi che (secondo il ministero della Salute palestinese e diverse agenzie indipendenti) in dieci mesi di bombardamenti e raid israeliani indiscriminati avrebbero causato 40mila morti e 90mila feriti.

Beninteso non va neppure dimenticata la causa scatenante di questo eccidio: il vile attacco terroristico di Hamas, che il 7 ottobre ha causato fra gli israeliani la strage di 1300 vittime, prevalentemente civili, con morti e aggressioni compiute fra scempi e sevizie indicibili persino nei confronti di neonati e bambini, oltre che la cattura di 250 ostaggi.

Lo scetticismo imperante

Non sono mancate le incriminazioni per crimini di guerra e contro l’umanità della Corte penale internazionale. Eppure scetticismo e riserve sono state espresse anche per questi strumenti della giustizia internazionale, che per quanto ancora sia in work in progress rimane la sola arma per affermare principi basilari del diritto internazionale e un senso comune di umanità.

Nondimeno sulle scene di roghi, distruzioni e della disperazione dei familiari trasmesse dai telegiornali incombe il rischio di essere destinate presto agli archivi, sino alla prossima tragedia. Il tema della esasperazione della violenza bellica è stato appena sfiorato anche nelle manifestazioni delle università, che non sono andate al di là dell’Immaginario ideologico della protesta anti- israeliana.

Eppure è ancora dalle università e dai giovani studenti che potrebbe essere rilanciata l’attenzione su questo insistente coinvolgimento della popolazione civile nei conflitti, un dato che non può assolutamente essere considerato inevitabile.

La sede dell’Onu a Ginevra

L’auspicio è che se ne parli presto in tutti i prossimi appuntamenti internazionali: ancora al G7 a guida italiana, ma soprattutto in un possibile evento di più ampia portata. Un primo step potrebbe essere il dibattito in una Assemblea Generale straordinaria delle Nazioni Unite, da cui potrebbe essere anche rilanciata l’idea di una Conferenza internazionale sulle Convenzioni di Ginevra.

Si tratterebbe in altri termini di fermarsi per riflettere, e di fare un passo indietro: occorrerebbe riproporre quel clima di condivisione universale che si realizzò su valori fondanti quando fu varata la prima Convenzione di Ginevra del 1864. Se si determinasse su queste iniziative una maggiore sensibilità dell’opinione pubblica probabilmente i governi e le diplomazie saprebbero anche trovare le soluzioni.

Il segnale da Foreign Affairs

La necessità di una riflessione sul tema sembra emergere nel mondo accademico degli Usa. Sull’influente rivista Foreign Affairs, Oona A. Hathaway, docente di diritto internazionale alla Yale Law School, ha pubblicato due contributi dai titoli molto eloquenti: “Guerra senza limiti: Gaza, l’Ucraina e il crollo del diritto internazionale”, e “Non andare in guerra contro la Corte penale internazionale. L’America può aiutare Israele senza attaccare la Cpi“.

Hathaway in particolare ha esortato gli Stati Uniti a disciplinare con più rigore i principi di proporzionalità e di precauzione nel Law Of War Manual del Dipartimento della Difesa, e ha invitato gli Usa a riconoscere la Corte penale internazionale, con una argomentazione efficace: «Attaccare la Cpi dimostra che gli Usa sostengono la giustizia globale solo quando viene applicata ai loro avversari. Così facendo, suggerisce che l’impegno degli Stati Uniti per lo stato di diritto si estende solo fino a quando il loro nudo interesse personale a breve termine lo consente. Non c’è modo più sicuro per erodere l’ordine giuridico globale». Il tema della escalation della violenza bellica nei conflitti armati e della sua regolamentazione è dunque diventato centrale: chiama anche a una precisa responsabilità la comunità internazionale.  (…) per proseguire aprire l’allegato.

Articolo correlato – Le quattro Convenzioni di Ginevrahttps://www.eda.admin.ch/eda/it/dfae/politica-estera/diritto-internazionale-pubblico/diritto-internazionale-umanitario/convenzioni-ginevra.html

Gaza – civili con bandiera bianca

Due fari di democrazia oggi fievoli o spenti! Abbiamo richiamato le Convenzioni del diritto internazionale umanitario per ribadire che quelle norme sono ripetutamente violate dalle grandi potenze, comprese quelle occidentali considerate tutt’ora – lo sono state nel passato – “faro della democrazia”. Il principale valore della democrazia occidentale rimane la libertà di pensiero e l’esplicitazione del senso critico. Ci sentiamo di dire con chiarezza che alla Nato non spetta di dettare la linea politica all’Europa com’è avvenuto in questi mesi e nel recente vertice di Whashington (vedi allegati) dalla quale dissentiamo con forza per la politica di riarmo che vuole imporre ai paesi aderenti. Siamo per tenere alti i valori dell’Occidente e per questo vediamo con profonda inquietudine le manifestazioni politiche e sociali, improntate al nazionalismo più esasperato – che incorpora suprematismo razziale, razzismo fascistoide – che si diffonde nelle popolazioni, sia negli Usa e sia Israele. Due fari di democrazia oggi fievoli o spenti: la libertà di pensiero, manifestata con fermezza in ogni paese dell’Occidente, può contribuire a riaccenderli, mettendo in angolo il conformismo e altro. Può servire a riaprire percorsi di negoziato per porre fine alle terribili guerre in atto, in Ucraina e a Gaza dove si sperimenta con le nuove tecnologie di guerra lo sterminio di massa, per rendere invibile ai palestinesi quella strizia di pochi Km (vedi allegati).

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