SSN:flop assistenza territoriale
I principi fondamentali su cui si basa il SSN dalla sua istituzione – avvenuta su proposta del ministro della sanità Tina Anselmi (Governo Andreotti IV) con la legge n. 833 del 23 dicembre 1978 – sono l’universalità, l’uguaglianza e l’equità. Significa l’estensione delle prestazioni sanitarie a tutta la popolazione. Sostituì il sistema mutualistico con decorrenza il 1° luglio 1980. E’ stata una delle più importanti riforme conquistate negli anni ‘70, ma alcune mediazioni politiche e categoriali (tra queste la non assunzione dei medici di famiglia come dipendenti del SSN ma professionisti autonomi con partita IVA) si sono poi rivelate un freno per completare l’evoluzione di quel sistema pubblico rallentando processi e investimenti riguardanti la prevenzione della salute e dei rischi, la medicina e l’assistenza territoriale, l’informatizzazione e l’operare in rete con fascicoli elettronici dei pazienti, per l’accorciamento delle procedure burocratiche e delle liste d’attesa. Per decentrare l’attività dei pronto soccorsi. Con la pandemia Covid i nodi irrisolti hanno ingigantito i problemi e nell’ultima Legge di Bilancio 2023 si è INCREDIBILMENTE ritornati al taglio di risorse per la Sanità. Senza finanziamenti pubblici, ovvero indicando tasse fortemente progressive di scopo, il SSN abdica il proprio ruolo alla sanità privata che è proibitiva – per i suoi costi – ai cittadini in povertà o con basi redditi.
La Stampa di Torino ha pubblicato negli ultimi tempi reportage e articoli (qui facciamo riferimento a quelli di Paolo Russo e Francesca del Vecchio del 5 gennaio) che descrivono un quadro della sanità pubblica, dimenticata, grave e preoccupante.
In Italia sono circa 80 mila i camici bianchi attivi nel SSN: la metà medici di base, poi ex guardie mediche, pediatri, specialisti delle Asl. Il loro orario contrattuale è inferiore a quello degli ospedalieri. La rete territoriale non fa filtro ai Pronto soccorso e il fascicolo elettronico dei pazienti, ripetutamente promesso, non decolla. Così si compromette, si rompe il patto con i pazienti
- L’urto del covid – La prima linea dei medici di base durante la pandemia è stata travolta dalle richieste di assistenza che arrivavano dai pazienti malati, soprattutto anziani
- Le lista di attesa sono sempre lunghe. In altri paesi i medici di base fanno anche accertamenti di primo livello, come ad esempio le ecografie.
- Gli specialisti ambulatoriali delle ASL sono finiti a coprire la carenza d’organico delle corsie degli ospedali
- Le ex guardie mediche intervengono senza alcun contatto con il medico di famiglia essendo fermo il fascicolo elettronico
- Un decreto dell’ex ministro speranza puntava a finanziare ospedali di comunità
Scrive Paolo Russo su La Stampa del 5 gennaio < Nell’agosto del 2019 il numero 2 della Lega, Giancarlo Giorgetti, la Caporetto dell’assistenza domiciliare dell’annus horribilis 2020 l’aveva a modo suo preannunciata, quando scatenando le ire dei diretti interessati disse: «Nei prossimi cinque anni mancheranno 45mila medici di base, è vero. Ma chi va più da loro? Oggi nel mio paese vanno a farsi la ricetta, ma chi ha meno di 50 anni va su internet a cercarsi lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico di famiglia, quella roba li è finita». Parole coerenti con quello che proprio il Carroccio ha perseguito nei suoi numerosi anni di governo della Lombardia, dove si è puntato forte sui super ospedali e poco sul territorio…> Nell’articolo del 7 gennaio “Fino a due anni per un esame, un italiano su 10 rinuncia alle cure“ inizia così < Il sistema sanitario più universalistico del mondo, quello che offre gratis a tutti tutta l’assistenza di cui si ha bisogno, si infrange contro il muro delle liste d’attesa. Perché quando si arriva a dover attendere un anno o più per un esame diagnostico e mesi per una visita specialistica le alternative sono due: ricorrere al privato pagando di tasca propria o rinunciare del tutto alle cure. La prima strada l’ha percorsa il 54% degli italiani spendendo qualcosa come 37 miliardi di euro nel 2021, alla rinuncia sono invece stati costretti in 5, 6 milioni. Erano poco più della metà solo due anni prima….> . Per leggere i testi completi aprire gli allegati.
Francesca Del Vecchio nell’articolo ”Il medico in trincea” intervista un medico di famiglia della Lombardia che racconta come si opera in quelle strutture pubbliche.:
- Si perde il rapporto medico-paziente, aumenta il lavoro di segreteria “La cosa più frustrante è quando un paziente chiama solo per avere la prescrizione di un esame che gli ha indicato uno specialista, privatamente, senza che il medico di famiglia sia stato informato. Così il nostro diventa un lavoro di segreteria..”.
- 1.800 è il tetto massimo di pazienti, alzato dall’ultima convenzione in Lombardia
- 5.500 sono i medici di base in Lombardia dove ci sono circa 9 milioni di pazienti over 14
- La giornata con un dottore di famiglia a Milano che segue 1650 pazienti, inizia con le chiamate dalle 8, e dopo le 20 la burocrazia per rispondere alle e-mail (una trentina al giorno) e altro.
- Dopo le telefonate inizia l’orario delle visite ambulatoriali che non vanno mai al di sotto delle cinque ore al giorno.
- «Le scartoffie sono la cosa che più ci fa perdere tempo: durante le settimane clou di somministrazione del vaccino antinfluenzale è una enorme perdita di tempo che moltiplicata per il numero degli assistiti diventa un vero e proprio lavoro aggiuntivo». Dati ripetuti che la Sanità già dispone.
- Per ogni assistito, il compenso mensile è di 3.44 euro, per gli over 75 circa un euro in più. «Anche la burocrazia che svolgiamo ci viene retribuita, ad esempio i certificati di invalidità, quelli per la patente. Ma farei volentieri cambio: meno burocrazia, più pazienti, stesso stipendio. Avremmo il tempo di visitare le persone come una volta».
Per proseguire aprire l’allegato. Al termine dell’intervista si può meglio comprendere perché un laureato in medicina non sia più attratto dal SSN. Così si ricorre ai medici a gettone oppure a quelli da Cuba come in Calabria (vedi allegato)
Aldo Celestino dopo la lettura di due libri sul welfare e sulla sanità ci ha inviato una sintesi su “Dieci argomenti per difendere la sanità pubblica” ( vedi in allegato) . I due libri di riferimento sono quelli di: Nerina Dirindin, “E’ tutta salute”, Ed. Gruppo Abele, 2018 e di Chiara Sareceno , “Il welfare”, Ed. Il Mulino, 2021
Silvio Garattini, nella camapagna elettorale di settembre 2022, nell’articolo “La buona sanità che serve all’Italia” aveva posto tre domande ai partiti, tutt’ora attualissime, che potete leggere con questo link https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/tre-domande-a-tutti-i-partiti
Articolo correlato https://www.laportadivetro.com/post/arcipelago-sanit%C3%A0-crisi-di-idee-pi%C3%B9-che-di-risorse
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