La leva dimenticata
La leva dimenticata- Si fa presto a dire Neet. Non studiano e non lavorano: sono tre milioni. tutt’altro che sdraiati. fragili, preda del crimine, disoccupati e sfiduciati. dossier di una generazione dimenticata.
Un giovane su tre nella fascia tra i 25 e i 35 anni non ha alcuna prospettiva per il futuro, avvertono Action aid e Cgil. E Garanzia giovani si rivela un flop. Ancora una volta, dopo tanti seminari e talkshow che ne hanno discusso, questo grande problema del creare strade al lavoro per i giovani non rientra nell’agenda prioritaria del governo, ieri di unità nazionale, prima di giallo-verde e giallo-rosa, ora delle tre destre. E neppure i sindacati, dopo le citazioni, pongono altri temi come prioritari, in primis le pensioni.
Gloria Riva pubblica il dossier “La leva dimenticata” su L’Espresso n.44 del 5 novembre. Così inizia < Non mi hanno rinnovato il contratto», la voce di Gaia trema. Sono passati cinque mesi da quando l’azienda di moda l’ha sostituita «con una stagista neppure retribuita», ma ancora non si dà pace. Per lei, che ha 25 anni, quel tirocinio era il riscatto di una vita di sacrifici. I suoi sacrifici, certo, ma soprattutto quelli della madre, cassiera in un supermercato di Cormano, periferia Nord di Milano. Andrea di anni ne ha 17, vive a Tor Bella Monaca, frazione di Roma, c’è n’associazione che sta provando a coinvolgerlo in un progetto teatrale, per riportarlo a scuola. Ma in quale scuola se il quartiere ha tassi di dispersione scolastica da record? Poi c’è Fatima, 33 anni, eritrea d’origine, ha tre figli, parla poco italiano, non esce quasi mai di casa e al lavoro neanche ci pensa. Gaia, Andrea e Fatima non hanno granché in comune. Gaia ha in tasca una laurea triennale e a lavorare c’ha provato, anche se l’essere stata respinta alla prima occasione l’ha demoralizzata; Andrea pensa che la strada sarà la sua scuola e fa spavento perché lì comanda un microcosmo autarchico in mano alla rete criminale dello spaccio; Fatima non ha mai sognato un futuro per davvero, guarda il mondo dalla finestra di una casa popolare di Verona. In comune hanno l’emarginazione dalla società, della scuola, dal lavoro. Il che li rende identificabili fra i tre milioni di Neet italiani, acronimo di Not engaged in education, employment or training. (…) per proseguire aprire l’allegato.
Chiara Saraceno in “Flessibilità non precariato-Circuito perverso da spezzare”, se Espresso n.44, così inizia « Neet sono una popolazione eterogenea. Se non avere un’occupazione è un fattore di vulnerabilità per tutti, c’è poco in comune tra un laureato alla ricerca del primo lavoro, un suo coetaneo che ha lasciato precocemente gli studi e ha smesso di cercare un’occupazione, una giovane uscita dal mercato del lavoro all’arrivo del primo figlio. Così come c’è poco in comune tra un giovane senza occupazione in un contesto dinamico e uno che deve fare i conti con un mercato del lavoro caratterizzato da poca domanda qualificata.
Questa eterogeneità nelle circostanze per cui un giovane può trovarsi nella categoria Neet non può essere trattata allo stesso modo. Chi è nel processo di transizione dalla scuola al lavoro e in cerca del primo impiego, ha bisogno di essere accompagnato, possibilmente già prima del termine degli studi tramite la collaborazione tra scuola e università, da servizi per l’impiego efficaci, per orientarsi nel mercato del lavoro a trovare le opportunità più corrispondenti alla propria formazione e possibilità di apprendimento. Ha anche bisogno di aziende capaci di attrarre e valorizzare giovani senza esperienza ma formati e disposti ad apprendere, imprese capaci di investire sul capitale umano all’ingresso e nel corso della vita lavorativa. Vale per i laureati e i diplomati. Richiede strategie imprenditoriali lungimiranti, orientate all’innovazione e alla cura del capitale umano, ancora troppo rare e che, per questo, non riescono a essere competitive. Lo scarso investimento nel capitale…» per proseguire aprire l’allegato
“Prendere paola”, tramite il suo presidente Savino Pezzotta, ha inviato nel corso della campagna elettorale di settembre, una Lettera aperta ai segretari confederali Cgil, Cisl,Cisl indicando proposte per due categorie sociali di chi sta peggio e poco partecipa al voto: gli anziani non autosuffienti e i giovani con la voro precario e povero. Per superare la precarietà e consentire una flessibilità sicura e ben retribuita è stata indicata questa proposta:
< Siamo sindacalisti anziani e conosciamo, anche per esperienze dirette, la situazione drammatica in cui si ritrovano moltissimi giovani e anziani, una questione sociale intergenerazionale che dura da tempo e si proietta nel futuro. Per prospettare a loro – sono milioni i giovani senza lavoro o con lavoro povero, altri milioni gli anziani senza o con scarsa assistenza – un futuro con un radicale cambiamento, suggeriamo all’attenzione delle Confederazioni quanto segue:
1– A distanza di 25 anni dalla “legge Treu”, abrogata da leggi successive, è possibile individuare quell’anello mancante per una flessibilità normata, che ha spesso trasformato la necessaria flessibilità nei sistemi produttivi e nei servizi, in precarietà, in lavori brevi, in lavoro sottopagato e senza diritti.
Già il pensiero di Marco Biagi segnalava questo rischio. In seguito studiosi e economisti, hanno sottolineato che la flessibilità deve significare “non quel posto di lavoro ma un altro lavoro”, “ un lavoro anche in più aziende” purché quel lavoratore flessibile sia coperto da un contratto di assunzione a tempo indeterminato stipulato con un’Agenzia che gestisce la domanda-offerta della flessibilità.
I giovani che non cercano più lavoro (i cosiddetti Neet) sono il 24% del totale dei giovani (la classificazione di giovani è ben ampia: da 15 a 34 anni!), sono oltre tre milioni. Persone fuori dall’asse produttivo economico e sociale proprio nell’arco di tempo in cui si costruisce il proprio futuro di vita, si pensa alla famiglia, ai figli. Sono ignorati dalle azioni concrete dei governi e sono lontani dal sindacato. La gran parte di essi sono lontani dalla politica-partitica e dalle competizioni elettorali.
Il sindacato confederale, unitariamente, può proporre un patto credibile per superare la precarietà e il lavoro povero. Suggeriamo di tenere concatenati tre punti per costruire quell’anello mancante alla flessibilità normata:
- la prima – creare un’agenzia nazionale pubblico-privata, articolata territorialmente, che – trasformando la normativa del lavoro in somministrazione – offra contratti a tempo indeterminato con buoni stipendi ai lavoratori disponibilità alla flessibilità, ovvero a spostarsi in questa o quell’azienda per periodi a tempo delimitato. Buoni stipendi da erogare sempre anche nei periodi di formazione professionale per acquisire nuove abilità indispensabili per gestire le richieste di flessibilità e contratti a tempo.
- la seconda, strettamente correlata, la definizione dei salari minimi dando validità erga omnes a quanto definito dai contratti nazionali sottoscritti dai sindacati più rappresentativi, il che presuppone una verifica, da un soggetto terzo, della loro rappresentanza: certificazione di iscritti reali e voti delle Rsu.
- la terza, l’abolizione della norma che consente le gare per gli appalti al massimo ribasso (causa dei bassi salari in tante cooperative); in specifico per il settore edile modificare la norma che consente di iscriversi alle Camere di Commercio come imprenditori aprendo semplicemente una partita Iva., spalancando la porta a prestanomi per i tanti sub – appalti, con molte infiltrazioni mafiose e camorristiche.. > – in allegato il testo completo della letetra aperta alle Confederazioni, per la quale non abbiamo ricevuto alcuna risposta.
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