I giovani senza voto
Michele Serra in “La sinistra dei giovani delusi” su L’amaca” della Repubblica, 1 settembre, commenta il sondaggio di Swg Swg per Italian Tech. Tra i neo elettori la prevalenza dell’universo valoriale democratico e progressista, dentro le urne, non prende forma. Di seguito il testo.
< Un sondaggio è solo una fotografia, risente della sua istantaneità e non può dare atto della complessità dello scenario circostante. Ma – come ogni fotografia – qualcosa mette a fuoco, qualcosa definisce, qualcosa “dice”. Nello studio della Swg sul voto giovanile, per esempio, a parte alcune conferme quasi scontate (la disaffezione per la politica, e il sentirsene esclusi come causa), ci sono alcuni dati che rimangono impressi.
Questa immagine è possibile ingrandirla aprendo il file allegato “I giovani senza voto” di Riccardo Luna
Il primo è che, tra i ragazzi dai 18 ai 24 anni che non andranno a votare, la percentuale di coloro che si dichiarano “di centrosinistra” è doppia rispetto a quella degli astenuti che si dichiarano “di centrodestra”. Il tasso di delusione, tra i giovani elettori di sinistra, sarebbe dunque decisamente più alto, e la crisi di rappresentanza della sinistra politica più percepita dal suo potenziale elettorato.
Difficile dire se questo dipenda dalle maggiori aspettative politiche dei giovani elettori di sinistra rispetto a quelli di destra (più alto è l’investimento sulla politica, più alte le aspettative, più facile rimanere delusi); oppure dal fatto che l’offerta politica dei partiti di destra è più rispettosa della volontà del proprio elettorato e più fedele a quel mondo valoriale. Probabilmente, è l’intreccio tra i due fattori.
Resta il dato crudo, non nuovo e non limitato all’elettorato giovanile: l’esercito dell’astensione, ormai da diversi anni, sembra essere in maggioranza “di sinistra”, perché maggiore è la delusione dell’elettorato di sinistra.
Diversi altri dati del sondaggio valgono come conferma di quanto sopra. I temi politici che stanno maggiormente a cuore all’elettorato giovanile nel suo complesso sono l’ambientalismo e la parità di genere, almeno sulla carta temi “progressisti”; e anche il breve identikit del campione di ragazzi intervistati sembrerebbe decisamente più orientato verso ciò che convenzionalmente chiamiamo sinistra.
Ai primi quattro posti della piccola hit-parade valoriale ci sono questi attributi, nemmeno troppo vaghi: ambientalista, progressista, europeista, antifascista. “Moderato” e “liberista” sono al settimo e al nono posto. Ma nelle intenzioni di voto questa prevalenza dell’universo valoriale democratico-progressista non prende forma, e la coalizione di centrodestra rimane in vantaggio, se pure di poco, rispetto al centrosinistra nel suo complesso.
Sono passati molti anni dall’invocazione morettiana “dì qualcosa di sinistra”, al tempo stesso ingenua e profonda. Ma è probabile che il problema sia ancora e sempre quello: una identità sbiadita che in molti, e con intenzioni spesso molto difformi, cercano di ravvivare, o di reinventare, con risultati molto confusi anche quando l’intenzione sia generosa.
Impossibile riassumere in poche righe il complicatissimo, annoso guazzabuglio, con tratti “liberali” e “socialisti” che si contendono un volto non più presidiato da connotati certi. Forse possiamo capire meglio il problema con un esempio semplice, forse troppo semplice e troppo “psicologico”, e però abbastanza eloquente.
Salvini propone la reintroduzione del servizio militare di leva. È una proposta schiettamente “di destra”, che parla senza tentennamenti all’elettorato di destra e comunque apre un varco potenziale anche tra i molti elettori non di destra che hanno qualche dubbio sull’eclissi del concetto di “dovere”. Anche a sinistra, da parecchio tempo, si discute di un obbligo di leva, sì, ma per il servizio civile. La proposta, fondamentalmente carsica, emerge a tratti per poi sprofondare nuovamente nell’underground del dubbio.
La sinistra, si sa, è più pensosa della destra, e dunque ecco subito le incertezze sulla fattibilità economica di una proposta del genere; su come reagirebbe il terzo settore; su come reagirebbero i ragazzi; sugli eventuali malumori che la parola “obbligo” potrebbe comportare.
Il risultato è che la destra, o perlomeno il suo esponente più esplicito (esplicito fino alla brutalità) dice ad alta voce: dobbiamo ripristinare la naja.La sinistra avrebbe avuto tempo e modo per avanzare una proposta radicalmente differente: servizio di leva, sì, ma per aiutare il prossimo, risanare l’ambiente, dare assistenza a chi è in difficoltà.
“Qualcosa di sinistra”, facilmente comunicabile a patto di non complicare in partenza una proposta politica che suonerebbe orgogliosamente identitaria. Tutti la capirebbero, i favorevoli come i contrari. Ma la sinistra non se l’è sentita, e chissà quando se la sentirà. Preferisce un mancato rischio a un rischio che potrebbe rimetterla al centro della scena. È un po’ il riassunto della sua storia recente.>
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