ROTTAMARE I RITI NON IL CONFRONTO – N.Cacace – democrazia e rappresentanze –

Rottamiamo i riti, ma non il dialogo. "L'importante è salvare la concertazione, quello che è fatto rimarrà, l'economia si è rafforzata, l'inflazione è stata battuta ed i mercati ce ne stanno dando atto anche in questi giorni di difficoltà politiche". È Ciampi, il ministro dell'economia del governo Prodi, che parla (Corsera, 23.7.'97), lo stesso che da premier, aveva siglato l'importante accordo di concertazione del '93 che metteva fine ad anni di stagnazione economica e di lotte sindacali dirompenti con la politica dei redditi. Ed i risultati non mancano, nel biennio '94-'95 l'inflazione si riduce e il Pil cresce del 3% medio annuo, dopo la crescit a zero del triennio '91-'93.

Da allora molte cose sono cambiate e la concertazione è stata più occasione di ritualità e perdite di tempo che di risultati reali. Non che questi siano mancati del tutto, basterebbe ricordare la riforma Dini delle pensioni, è che il rapporto costi/benefici non è più stato soddisfacente. Renzi ha ragione! Ed è legittimo che oggi voglia imporre uno stile di governance diverso, cancellando la concertazione, ma non può cancellare il dialogo sociale. Non è giusto neanche attribuire alla concertazione, come fa Renzi, responsabilità che non ha "aver messo l'alt alle riforme strutturali" e tanto meno ridicolizzare il passato di una tecnica tuttora presente in paesi socio economicamente avanzati come la Germania dei miracoli.

In scenari velocemente mutevoli come gli attuali si può anche accettare la cancellazione di una tecnica di negoziazione a tre, come la concertazione, quello che non si può accettare è la "cancellazione del dialogo sociale" e, soprattutto una delegittimazione frontale dell'intero mondo sindacale e degli altri organismi intermedi di rappresentanza sociale.

Una scena cui non avremmo voluto assistere: Il segretario di un sindacato operaio che accusa il governo di centrosinistra di "distorsione democratica" ed il segretario di un partito di sinistra e premier che ribatte "la musica è cambiata". Al di là delle battute, entrambe poco felici, molti si interrogano preoccupati sul significato di questo "scambio di doni avvelenati".

Accusare di distorsione democratica la fine della concertazione e l'avvio di una legge del lavoro più permissiva – naturale in periodi di crisi acuta – appare eccessivo ed ingiustificato. Come eccessiva ed ingiustificata appare la reazione di Renzi "la musica è cambiata".

Qual è la nuova musica? Il pericolo maggiore di questa disfida è quello di dar l'idea di voler approfittare di un periodo di difficoltà dei sindacati, derivante dalla crisi, dalla globalizzazione e dalle modifiche dell'organizzazione delle imprese, da grandi a sempre più piccole sino al lavoro individuale e precario, per delegittimarne la stessa esistenza.

La legittimazione del sindacato come diritto dei lavoratori di associarsi per pareggiare il potere del capitale, è conquista democratica recente e viene dopo secoli di lotte operaie e contadine anche sanguinose e di lavoro liberato dalle catene degli accordi individuali. Guai a favorire le spinte, mai sopite di un ritorno al passato.

Però, anche il sindacato deve cambiare se vuole evitare le ricorrenti profezie che ne prevedono il declino o la scomparsa, attuando quei cambiamenti statutari ed organizzativi necessari per svolgere la sua funzione storica nella società della terza ondata e della conoscenza, post industriale e dei servizi, così come in pa ssato ha saputo adeguarsi al passaggio dall'economia agricola a quella industriale. Bene cambiar musica, attenti allo spartito! Matteo, libera nos a malo!

 

1 commento
  1. GIOVANNI DI NINO
    GIOVANNI DI NINO dice:

    Ho la vaga impressione che il sig. Renzi ed il suo “gabinetto” vogliano cancellare dalla Storia del movimento sindacale tutto ciò che di positivo ha prodotto in questi lunghi anni. E’ la stessa idea, ricorrente, del liberismo berlusconista che, più volte, ha tentato di ridurre a zero il potere contrattuale del sindacato (che, ricordiamolo sempre, rappresenta milioni di lavoratori iscritti) e giungere a quel “contratto individuale” tanto caro al pregiudicato di Arcore ed ai suoi soci in affari. Il sig. Renzi che, mi sembra, non ha poi tante esperienze da lavoratore dipendente, vede il “lavoratore” solo come elemento integrato nel posto di lavoro, nulla più: non ha interessi sociali, casa, figli, pensioni, sanità, scuola. Nulla: una matricola aziendale amorfa e, perciò, configura il sindacato in un recinto tutto suo, fuori dal quale gli è vietato mettere il naso. Ecco, questa mia vaga impressione mi porta ad una sola conclusione: il sig. Renzi è degno successore del pregiudicato di Arcore e, come diceva il mio compaesano Flaiano, “se tutto va bene, siamo rovinati”!
    Giovanni Di Nino

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