QUANDO SI DEVE CERCARE UN PADRONE – A.Serafino – sindacato & occupazione 12/4/11

Pensando all’ex-Bertone. Di fronte ai fallimenti aziendali il sindacato, alla minaccia di abbandono di un "padrone" i sindacati ed  i lavoratori hanno da sempre dovuto fare i conti con il minor spazio di manovra e di negoziato pensabili, anche quando hanno potuto disporre di grandi manifestazioni e di forme di lotta unitarie. Sarebbe utile ripercorrere la storia, in particolare quella torinese. Anche con le occupazioni o le assemblee permanenti, come il sindacato le definisce, il primo imperativo diventava “Avere un padrone, cercare un nuovo padrone”. Una piattaforma rivendicativa ben diversa da quelle che si governa con negoziato bilaterale e lotta sindacale aziendale. Si può ben immaginare come si ridimensioni a questo punto il potere negoziale. Il «prendere o lasciare» appare e scompare come un fiume carsico. Anche quando si dispone di forza e di unità si punta a conservarla per farla valere in tempi in cui l’azienda abbia ripreso il suo normale funzionamento, sia dentro il mercato.

Con la globalizzazione e le multinazionali le situazione del prendere o lasciare si moltiplicano sempre più per l’asimmetria tra « capitale e lavoro», ovvero la possibilità del primo di potere scegliere nel mondo più luoghi in cui insediare la stessa produzione, e del secondo a subire tali decisioni o accettare proposte che spesso – come afferma Pierre Carniti – non sono così lontane da un ordine di servizio direzionale. Tempi difficili per il sindacato ed i lavoratori che si trovano sotto «schiaffo» di questa pesante asimmetria. Di certo non serve granchè alla causa della salvaguardia degli accordi che in sindacati si dividano «appellandosi » al pensiero, all’opinione dei lavoratori. Anche il referendum non è poi lo strumento migliore in simili situazioni.I lavoratori in tale frangente hanno meno strumenti di valutazione dei sindacati se questi sapessero spogliarsi in parte delle rigide identità che li portano a confrontarsi, spesso, come i tifosi allo stadio. Inoltre i lavoratori, in situazioni da anni in Gig, hanno anch’essi una unità d’intenti dfficile da ricostruire. Di certo la contrattazione bilaterale, Azienda-Sindacati, per situazione in cui la posta in gioco è dove far planare un investimento ( una delocalizzazione nel o fuori dal nostro paese) è uno strumento improprio: per tali problemi economici-produttivi al tavolo debbono esserci e giocare un ruolo non secondario gli Enti Locali ed il Governo. E’ la concertazione? Non importa il nome se i riferimenti storici non sono stati convincenti. L’importante che si definisca presto una strategia che consenta al sindacato di giocare un ruolo che sia non “accomodante” o non sia “indisponibile”. E’ necessaria però la pre-condizione: rimettere in funzione l’unità d’azione, e ciò difficilmente inizia dai comizi o dalle assemblee popolari. Ci deve essere un prima per chi si presenta a tali assemblee.

Nei giorni scorsi è stato pubblicato un articolo su La Stampa di Torino a firma di Raphael Zanotti, ripreso Lunedì 11 aprile da Il Foglio di Ferrara. Chiama in causa l’operato della Fiom che deve fare i conti con una propria strategia di movimento che non trova approdo alternativo a quello che valuta come “presunta deriva” degli altri sindacati “sempre disponibili all’assenso” a Marchionne. Comunque siano gli intendimenti dell’articolista, per quanto possa risultare provocatorio il titolo, quanto è scritto può servire per una riflessione coraggiosa per scegliere una via d’uscita dall’attuale empasse rischiosissima per tutti, per primi i lavoratori della ex-Bertone.

In allegato

“Alla ex Bertone hanno capito che stare con la Fiom ti fa chiudere” di R.Zanotti La Stampa del 6 Aprile

Allegato:
Alla ex Bertone hanno capito che.doc

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