Ora Stellantis-Amazon
Carlos Tavares annuncia, da Las Vegas, un patto a breve con Amazon e la cooperazione già in atto con Foxconn, la multinazionale taiwanese, la più grande produttrice di componenti elettrici ed elettronici, con 1.290.000 dipendenti. Delinea la nuova strategia di Stellantis nell’intervista rilasciata a Alberto Simoni, che La Stampa titolo con “ Patto con Amazon sull’auto del futuro per la svolta elettrica servono incentivi”. Così inizia. Il tempo della pianificazione è finito, ora si va «a tutta velocità in modalità esecuzione». Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis, festeggia alla Ces di Las Vegas l’anno di vita della società nata dalla fusione (16 gennaio 2020) di Fca e Psa annunciando una partnership con Amazon che proietta l’azienda in una dimensione nuova, fra cloud, intelligenza artificiale e applicazione di infotainment al mondo delle quattro ruote. E dà appuntamento al primo marzo: «Quel giorno presenteremo la nuova strategia del gruppo che ci darà la visione del futuro».
«L’industria automobilistica è nel mezzo di una rivoluzione. E Stellantis è impegnata in un viaggio ambizioso, stiamo reinventando il futuro della mobilità», evidenzia l’ad del gruppo che preannuncia altre partnership in futuro che andranno a sommarsi a quelle già operative fra le altre con la cinese Foxconn (per la produzione di semiconduttori) e di Samsung (batterie al litio). Ma è soprattutto il concetto che ora è tempo di passare all’azione, in «modalità esecutiva», quello Tavares sottolinea più volte nel colloquio con La Stampa e altre testate internazionali in cui delinea le sfide della mobilità del domani, fatta di veicoli elettrici e della sfida nell’abbattimento dei costi di produzione per renderli accessibili a una fetta sempre più ampia della popolazione. (…) per proseguire aprire l’allegato.
L’amministratore delegato di Stellantis dichiara di voler valorizzare e salvaguardare le risorse e gli stabilimenti torinesi. Sarà come già avvenuto per i progetti precedenti da Sergio Marchionne in poi? Investimenti continuamente rinviati e tanta cassa integrazione. Oppure il bilancio sarà più pesante per l’occupazione, in particolare nel torinese? Stante il quadro di riferimento sull’automotive mondiale che si ricava dagli articoli qui allegati.
Vincenzo Comito in“La componentistica auto verso il crollo, in Italia e in Europa”, Il Manifesto,così inizia.Transizione e crisi. Qualche tempo fa la Ue ha avanzato la proposta di bloccare la produzione di auto a propulsione tradizionale a partire dal 2035. Intanto, il mercato europeo è in rilevanti difficoltà, con vendite in calo in relazione a problemi logistici, al covid, alla carenza di chip nonché di adeguati incentivi, all’aumento dei prezzi di molte materie prime, alle incertezze dell’economia. (…) Così, già nel luglio del 2021 al primo incontro di un gruppo di lavoro, presso il ministero dello sviluppo, tra i produttori di componentistica e i sindacati è emersa la preoccupazione per la possibile perdita di 60.000 posti di lavoro. Nei primi giorni di dicembre Carlos Tavares, AD di Stellantis, ha poi lanciato un appello drammatico contro la decisione di Bruxelles, sottolineando le gravi conseguenze di un approccio “impositivo dall’alto” nel passaggio ai veicoli a batteria, parlando di costi insostenibili, di un settore al limite e del fatto che qualcuno fallirà. Dopo che comunque il Governo, dopo alcune esitazioni, ha deciso di aderire allo stop ai motori termici di Bruxelles, anche la Confindustria Nord ha espresso sconcerto e preoccupazione, dichiarando che l’orizzonte temporale al 2035 è inattuabile, con perdite di posti di lavoro fino a 70.000 addetti. Intanto il 6 dicembre anche l’associazione dei componentisti europei ha suonato l’allarme, affermando che se si mantenesse il limite al 2035 circa 500.000 posti di lavoro salterebbero entro cinque anni, mentre si creerebbero soltanto 226.000 nuovi posti. (…) per proseguire aprire l’allegato
Ugo Bertone in “La guerra dell’auto elettrica tra Asia, Stati Uniti ed Europa”, su Il Foglio, così inizia. L’ultima a cedere è stata Toyota. Il colosso dell’auto giapponese ha annunciato la scossa: entro il 2030 usciranno dalle fabbriche del gruppo trenta modelli elettrici per 3,5 milioni di pezzi, ovvero un terzo della produzione con un balzo del 75 per cento sui piani precedenti.
In questo modo Akyo Toyoda, l’erede dell’impero, ha deciso di rispondere all’offensiva di Volkswagen che investirà 89 miliardi di euro per strappare il, primato nell’elettrico alla Tesla di Elon Musk. Una conversione forzata perché i giapponesi, i pionieri che hanno imposto il modello ibrido, non nascondono le loro riserve sul modello tutto elettrico, comunque difficile da imporre in Sud America o in Africa. Ma nell’attesa dell’idrogeno il mondo dell’auto, in piena emergenza ambientale, ha ormai scelto la strada dell’elettrico, pur costellata di sfide politiche, finanziarie e ancor prima sociali. Una gara a ostacoli che, ogni giorno, si arricchisce di nuove complicazioni. La sfida più vicina arriva dagli Stati Uniti. A giorni il Senato di Washington esaminerà il disegno di legge “Build Back Better” che, in un paragrafo malandrino, prevede che gli acquisti negli Stati Uniti di auto a batteria e ibride godano di un credito d’imposta di 12.500 dollari. Ma su questa cifra 4.500 dollari andranno solo a chi acquisterà un’auto prodotta in aziende Usa in cui siano presenti le strutture del sindacato. (…) per proseguire aprire l’allegato
Filomena Greco in “Filiera dell’auto alla svolta, 65% in ritardo sull’elettrico”, su Il Sole, sottolinea “…La transizione verso la mobilità elettrica è una realtà non solo di mercato ma anche industriale per le imprese dell’indotto automotive Made in Italy. L’approccio al tema della transizione, però, è assai diversificato, con un fronte avanzato che sta già investendo in ricerca e sviluppo e in nuove produzioni e una parte, consistente, di produttori che invece è ancora indietro.
L’ultima rilevazione sul tema curata dall’Università di Ferrara, in collaborazione con Anfia, Motus-E, Anie, Confindustria e Ancma, interessa le imprese della Motor Valley emiliana e si allarga ad un campione di aziende italiane. L’indagine restituisce un dato importante: per due produttori italiani su tre operanti lungo la filiera auto, cioé il 65% del campione, la mobilità elettrica non è, ancora, una priorità. Complice anche la forte esposizione dell’indotto auto sulle lavorazioni legate al powertrain tradizionale, con le imprese di minori dimensioni che fanno più fatica a voltare pagina…” per proseguire aprire l’allegato.
Il nuovo quadro che si delinea deve sollecitare una riflessione profonda a partire dai sindacati per ritrovare una proria strategia unitaria senza la quale anche le buone idee si fermano alla pubblicità della singola immagine di organizzazione. La stessa necessità si avverte per gli Amministratori dei territori in cui esistono stabilimenti Stellantis. Diversamente gli indispensabili confronti con il Governo si risolveranno in una sommatoria di auspici per le sfide che Stellantis porterà avanti in totale autonomia al netto dei prezzi sociali pagati da questo o quel territorio. Ci sarà una riflessione sulle aspettative che erano maturate un anno fa con l’incorporazione di Fca in Psa? Si è avverato quanto si temeva? I fatti dimostrano che PSA ha “acquistato” Fca, Il Presidente di Stellantis John Elkan con la sua Exfor ha fatto cassa (come pure gli azionisti di Fca) ma le decisioni sono del gruppo francese e di Tavares? Le aspettative di un anno fa ora sono ancora più a rischio. Ci sarà la volontà e la capacità di approfondire l’analisi sul semi-flop della strategia industriale di Segio Marchionne per Torino e il polo del lusso (Mirafiori-Grugliasco)? Su Mirafiori che assembla carrozzerie ma non costruisce più motori? Al tempo del grande negoziato di Sergio Marchionne con GM il centro ricerche motori powertrain fu ceduto alla multinazionale di Detroit, anni dopo è subentrata la società belga Punch che ora sperimenta, nell’area del Politecnico, con oltre 750 ingegneri e tecnici, i motori del futuro a idrogeno (vedi allegato). Pure le batterie sono state cedute con la Marelli. Eppure motore e batterie sono “il cuore” di un’auto.
A Torino si può ripetere che abbiamo testa e eccellenze…ma è pur necessario dare risposte sul perchè molti progetti per l’area TNE di Mirafiori sono stati presentati con molte credenziali per svanire in poche settimane. Chiedersi perchè gli imprenditori piemontesi e internazionali non scelgano di investire a Torino. Perchè non fanno “presa” i tanti appelli, anche sottoscritti da rinomate firme del Politecnico e dell’Università, che descrivo le potenzialità e le capacità torinesi e sabaude? Ci sarà pure un perché da indagare risvegliando il senso critico. FCA ha ottenuto dalle banche un prestito di 6 miliardi, garantito dallo Stato, per sostenere la filiera automotive. Non è ragionevole “battere cassa” allo stato per sostenere la transizione ecologica (auto elettrica) se nel contempo la cassaforte Exfor del Presidente di Stellantis, John Elkan, orienta gli investimenti altrove (v.allegato) anche in settori come quello editoriale e catena di media (Gedi controlla 12 testate e più) che determinano oggettivamente conflitti d’interessi. Ripetiamo il refrain: gli azionisti Fca e Exfor hanno incassato molto in questi anni ma quelle risorse sono state impegnate non per un potenziamento e riconversione dell’automotive e relativa filiera. Avere fiducia nell’interlocutore è un valore per le relazioni industriali, ma per quanto fin qui accaduto si rischia di credere nelle favole di questo o quell’altro amministratore delegato, belle ma che restano nell’immaginario. Il risveglio deve nascere dal sindacato: come primo atto ridando senso ai periodi di Cig con veri progetti di formazione per la riqualificazione dei lavoratori accompagnata da progetti reali di mobilità su nuovi posti di lavoro.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!