MENO ATOMICHE PIU’ ARMI CONVENZIONALI – A.Tridente – globalmondo 20/4/10

La soddisfazione per la riduzione delle armi nucleari e l’allarme per l’aumento delle armi convenzionali. Si potrebbe sintetizzare così la situazione attuale dopo i risultati dell’accordo Usa-Russia sulla riduzione degli arsenali militari nucleari e il Vertice mondiale sul disarmo nucleare nel corso del quale molti paesi si sono accordati ad applicare gli appelli del Segretario Generale dell’Onu. Ma, non dimenticando che in contro corrente vi è un indecente aumento delle spese militari e della esportazione di armi convenzionali.

Tendenza preoccupante, per non dire deprimente, per via dello spreco di risorse necessarie a programmi alternativi contro la fame, malattie e il sotto sviluppo, aggravatesi con  lo scoppio della crisi economico-finanziaria che ancora percuote duramente miliardi di persone nel mondo.

E i dati confermano questa preoccupazione. I dati del Sipri di Stoccolma, l’istituto di ricerca che puntualmente registra cosa avviene nel mondo delle spese militari e della esportazione di armi, ci indica i paesi che spendono di più in armamenti ogni anno.               

Nel 2008:

      1.   Usa               607       miliardi di dollari

      2.   Cina               84

      3.   Francia           65,74

      4.   G.Bret.           65,35

      5.   Russia            58,6

      6.   Germania        46,87

      7.   Giappone       46,38

      8.   Italia               40,69

Ma non basta. Nel quinquennio 2005-2009 è aumentato il volume d’affari (quello ufficiale) dalla vendita di armi del 22%, e che nello stesso periodo l’Asia si è confermata come la maggiore importatrice  con una quota del 41% del totale.

Gli Stati Uniti si dividono oltre la metà del mercato mondiale e non sono da meno gli altri paesi europei, Francia, GB, Italia, Paesi Bassi e Spagna che di dividono il resto, per non parlare della neutrale Svezia che vende quanto la Cina.

 



Non meno grave e sorprendente è il Sudamerica, che acquista meno del 10% del totale, ma che ha aumentato le proprie importazioni del 150% rispetto al 2004!

Seppure con l’importazione di un modesto 7% del mercato mondiale, anche l’Africa sub-sahariana, ultimo dei continenti nella graduatoria, alimenta conflitti locali di paesi instabili come Sudan e Ciad. Le stesse restrizioni a paesi come Eritrea, Somalia, Costa d’Avorio e Congo, sono spesso aggirate e la cifra degli acquisti prima indicata, afferma il Sipri, potrebbe non essere veritiera.

Per venire all’Italia, ricorda ancora il Sipri, la spesa miliare dell’Italia è 1,8% del Pil ma il costo pro-capite per ogni italiano raggiunge i 689 dollari, una delle maggiori del mondo e che per il quinto anno consecutivo supera la Germania (568), e da molti anni quello della Russia (413) e del Giappone (361).

Osserva ancora il Sipri che in un anno, nonostante la crisi finanziaria, la spesa militare è aumentata del 4%, raggiungendo nel 2008 la cifra sbalorditiva di 1.464 miliardi di dollari (oltre 1.000 miliardi di euro), quanto speso alla fine degli anni della guerra fredda, con un aumento del 45% nell’ultimo decennio, cifra corrispondente al 2,4% del prodotto interno lordo mondiale!

Per concludere, va ricordato che la Finmeccanica, grazie al sostegno del governo, rappresenta, per il valore del fatturato esportato, uno dei dieci maggiori paesi esportatore del mondo, in continuo sviluppo con acquisizioni di importanti imprese americane del settore, come ad esempio la DRS Technologies.

Insomma, a conclusione di questa breve nota, ci può star bene il riferimento a quell’ironico film con Alberto Sordi che impersonava il mercante di armi. La pellicola denunciava errate convinzioni, spesso profondamente radicate, che le armi, sono un prodotto come gli altri, e che la loro destinazione d’uso non riguarda chi lo produce e lo vende, governi, imprese e lavoratori.

Lo slogan “finchè c’è guerra c’è speranza”, detto ironicamente da Sordi nel film non è solo cinico e spregiudicato per le imprese che le armi producono ed esportano, ma è anche, e purtroppo, di parte di lavoratori che ci lavorano in queste imprese.

 
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