MEMORIA CONDIVISA / MEMORIA CONTESA – G.Marchetto – sindacato 5/9/10

Memoria condivisa e memoria contesa: questo è il titolo dell’interessante incontro sulle vicende Fiat del passato svoltosi Giovedì 2 Agosto al Cinema Romano*. Ho molto apprezzato l’intervento di Franco Aloia e di Susanna Camusso. Meno le parole di Carlo Callieri (ai tempi responsabile del settore Fonderie e Fucine della Mirafiori, quando ero operatore FLM alla lega Mirafiori) perché non ha mai fatto cenno a cosa si produccesse in quella grande fabbrica, alla qualità dei prodotti di quel periodo, in genere scarsina non per responsabilità dei lavoratori. Se fossi stato un argentino, o un australiano, seguendo il filo dei ragionamenti di Callieri avrei pensato che circa 60mila lavoratori, ogni giorno si alzassero chi alle 5 chi alle 4,  non per recarsi nelle officine a lavorare, a fare i "tocchi" come si diceva in gergo,  ma per organizzare  scioperi, e cortei dando la “caccia” a chi non aderiva.

Non è stato così e quella descritta da Callieri non è solo una forzatura ma una deformazione della realtà.Non è andata come descrive l’ex-dirigente Fiat ma la sua “vulgata” ha trovato nel tempo molti consensi.

Io c’ero in mezzo a quegli eventi. E’ vero la FIAT specie nei secondi anni ’70 era in crisi e parecchio nel gestire il processo produttivo, per via del contro-potere dei Delegati che aveva smussato l’arbitrio delle gerarchie di officina (e meno male!), per via del nefasto fenomeno del terrorismo (sul quale la FIAT disse ben poco per lunghi anni pur essendo presenti nei reparti di produzione non solo “controllori” Fiat ma anche agenti in incognito della DIGOS).

E certamente vero che in diversi episodi, a Mirafiori, la FLM ed i delegati non riuscirono a bloccare le proteste “oltre la misura” verso capi e crumiri. Non poche volte la situazione sfuggi di mano pur operando in tempi relativamente brevi il recupero alla normalità. Sono certo che la somma di errori, di disattenzioni vistose sul problema dell’uso della “forza organizzata” – ed il corteo interno era una di queste modalità- compromise non poco la strategia dichiarata dalla FLM per coinvolgere tecnici, impiegati e non avere l’ostilità delle gerarchie aziendali..

Carlo Callieri ha dedicato il 90% del suo intervento a descrivere le violenze di un corteo  e poi dei danni dell’equalitarismo che avrebbe compromesso il merito e quindi la qualità del lavoro alla Fiat. Di cos’era la produzione, il mercato dell’auto e la concorrenza in quegli anni neppure una parola, una !

Dai vecchi compagni conosciuti in FIAT avevo imparato a guardare nelle bacheche dell’azienda per vedere le varie offerte che la FIAT operava nei confronti dei propri dipendenti sulle auto che produceva. I compagni mi avevano detto: “quando vedi delle offerte sui prezzi delle auto, significa che quell’auto non va bene, non trova mercato”.

Nella seconda metà degli anni ’70 i vari modelli che la FIAT produsse e mise sul mercato si erano rivelati una serie di “bidoni”: dalla Argenta (mi pare fosse l’ammiraglia), alla 131 (la “Mirafiori”, che altro non era che il rifacimento della vecchia 125), alla prima Panda, dov’era troppo sbilanciato il rapporto tra potenza del motore e il peso della vettura – era il vecchio motore della 500 (in più entrava acqua dappertutto).

Alla Ritmo, anche qui un profilo di novità per questa vettura, ma anche qui un rapporto tra peso-vettura e potenza del motore del tutto squilibrato. L’unica vettura in attivo con la quale passò il tornante degli anni ’80 fu la 127 (con il vecchio motore della 600 riveduto).

Erano tutte cose che si leggevano appunto nelle bacheche della FIAT!

Ci fu eccome la pressione del conflitto e la presenza del controllo dei lavoratori e dei loro CdF, ma eclissare, togliere dal contesto, gabbare la competizione sui prodotti Fiat per mettere al centro solo la produttività e la disciplina dei lavoratori è francamente troppo. La Fiat non vendeva perché c’erano troppi scioperi ma perché i prodotti erano di bassa qualità.

La FIAT entrò in crisi principalmente per gravi deficienze sulla progettazione dei prodotti ( per rispondere ai clienti)  e sulle modifiche all’organizzazione del lavoro per rispondere alle istanze dei lavoratori che avevano alzato la testa. Non riuscì ad avere una strategia vincente sui prodotti. Perché non ricordare e confrontare il successo, allora, della Golf della Volskwaghen crispetto la Ritmo della FIAT!

La preoccupazione non fu mai troppa per il gruppo dirigente FIAT (e per Romiti in testa) abituato com’era, fin dalla fondazione, a non fare mai i conti con il mercato: tanto ci avrebbe pensato lo Stato con la Cassa Integrazione, con le varie commesse che riusciva ad avere in tutta un’altra serie di settori: “dalla terra, al mare, al cielo” come diceva la pubblicità del gruppo FIAT.

Ci volle la produzione della UNO per risalire la china. Siamo però già al 1982 e il protagonista fu quell’Ing. Vittorio Ghidella, progettista e poi amministratore delegato Fiat, uno che non amava gli operai e tanto meno i sindacati, ma sapeva fare il suo mestiere: progettare delle auto di qualità e sapeva organizzare le officine. Un protagonista della rinascita Fiat a metà degli anni’80 che fu liquidato in seguito da Cesare Romiti.

Per questo ritenfgo strumentale la riflessione fatta da Carlo Callieri, il quale estrae da una storia complessa come quella della Mirafiori ha estratto un fatto vero d’intimidazione verso gli impiegati  – un corteo di operai si recò alla Palazzina a Mirafiori, nel 1969, per “fare paura ai crumiri incalliti”, un episodio raccontato da Liberato Norcia nel libro “Io garantito” – per affermare che quel comportamento divenne la regola, non osteggiata nei fatti dalla FLM. È vero quello che Callieri dice a proposito degli operai meridionali propensi a forme di lotta ( il corteo verso un obiettivo-nemico) eridate dai conflitti nelle campagne del Sud contro latifondisti e municipi. Però la sua generalizzazione diventa una caricatura della storia sulle lotte e la conflittualità degli anni 70 a Mirafiori.

E cosa mai fece la FIAT per far acquisire una cultura industriale a chi proveniva dalle campagne del Sud? Prese forse esempio dall’esperienza della Olivetti dove la formazione era una strategia fondamentale per riconoscere e valorizzare la persona prima del lavoratore? La FIAT, a me pare, i suoi “contadini” li voleva ubbidienti in fabbrica come erano sottomessi normalmente al latifondista, tranne nelle eccezioni in cui esplodeva la rabbia per le ingiustizie ed angherie subite oltre misura.

E già Gramsci ebbe modo di dire che: “la classe operaia porta con sé tutti i difetti della borghesia che la comanda”. Se la borghesia la riduciamo alla direzione FIAT la cosa si capisce al volo.

 

* Nota – Giovedì 2 settembre al Cinema Romano, nell’ambito della Festa Nazionale del PD, si è svolto un interessante dibattito, con proiezioni di filmati tratti dall’archivio Cinema Fiat e dell’Istituto Gramsci, che ne possiede 800 in gran parte della Fiom.

I Filmati Fiat sono finalizzati alla propaganda però costruiti su un concetto base “Il Lavoro è un valore”. Sono stati proiettati, il giorno dopo per mancanza di tempo, una sintesi dei seguenti montaggi:

 “Sotto i tuoi occhi” del 1931 per la presentazione della Fiat 522, seguendo la sua costruzione nello Stabilimento Lingotto fino al collaudo sulla pista sul tetto.

“Quel primo giorno in fabbrica” del 1972 che stante il clima di quei tempi non fu presentato al pubblico.

“Presentando robot” del 1982 per descrivere o stabilimento di Cassino.

“L’automazione” alle Grandi Presse, alle Fonderie, a Mirafiori 

“L’autobigrafia di un velivolo: G 91.

Vedendo quei filmati si può ben capire come sia cambiato il lavoro in fabbrica e quindi anche il termine “sfruttamento” dovrebbe essere declinato con più articolazione.

Ne hanno discusso Franco Maggi (Youdem TV9, Giancarlo Pelucchi (Web Tv Ggil Lombardia); Sergio Scamuzzi (Gramsci) Sergio Toffetti (Archivio Cinema d’Impresa Ivrea), Maurizio Torchio (Archivio Fiat) e poi i testimoni degli anni 70-80 Franco Aloia (Fim), Giorgio Benvenuto (Uilm Naz), Susanna Camusso (Cgil Conf) e Carlo Callieri (Fiat).

Le quattro testimonianze hanno descritto quattro “spaccati” diversi dei quanto è avvenuto dall’autunno caldo alla sconfitta del 1980, i 35 giorni.
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