MEDIO ORIENTE;OBAMA NON E’ BUSH: T.FERIGO – globalmondo -19/05

 Non manca il coraggio politico nel discorso di Obama sul Medio Oriente. La visione è ampia e le proposte sono inserite in un quadro ben diverso da quello del suo predecessore alla Casa Bianca. Certo alcune parti suscitano perplessità e anche disaccordo ma le novità positive prevalgono. Un discorso che ci ricorda che Obama non è Bush: non solo nel tono.

Le cose positive. La condanna di regimi autoritari, alleati degli USA da lungo tempo, nell’Africa settentrionale e l’impegno di sostenere i movimenti democratici. Ha evitato l’ipocrisia denunciando l’emiro del Bahrain e il Presidente dello Yemen per la repressione nei loro paesi. Ha, per la prima volta pubblicamente sostenuto la proposta “due popoli, due stati” indicandone i confini, quelli del 1967. Ha indicato nel disagio dei giovani e all’avidità di ristrette elite le cause della Primavera araba. Ha sottolineato l’importanza del ruolo della donna, dei suoi diritti e dei diritti delle minoranze cristiane e sciite.

Il termine coraggio non è sproporzionato.  La reazione di Re Abdullah (Arabia Saudita) lo testimonia. Il monarca saudita è arrabbiato, non risparmia le battute salaci richiamando la giovane età del Presidente americano. Considera un grave errore aver abbandonato Hosni Mubarak per le conseguenze che potrebbe avere sulla stessa Arabia Saudita. Re Abdullah è anche furioso per la critica aperta della repressione messa in atto dal Re saudita del Barheim contro la comunità sciita, (58% della popolazione dell’emirato).

Obama è stato anche onesto e tagliente nella sua implicita critica al Governo d’Israele, al suo atteggiamento ostruzionista nei colloqui con l’Autorità palestinese e la colonizzazione della Cis giordania. Di fatto rendendo quasi impossibile la creazione di uno Stato palestinese. Obama si giocò un bel pezzo del suo prestigio due anni fa facendo ripartire le negoziazioni . Sforzo reso inutile in primo luogo dall’intransigenza di Netanyau. L’inviato di Obama, l’ex senatore G. Mitchell diede le dimissioni per disperazione mescolata al disgusto.

Tra le cose di “destra” nel suo discorso risalta la vera e propria ossessione di Washigton nei confronti dell’Iran. Vedere l’opera dell’Iran dietro ai fatti siriani è addentrasi nella dietrologia. Il Partito siriano Baath represse nel sangue il dissenso nel 1982 (Assad padre era al comando) quando non era alleato con l’Iran. Il figlio non ha bisogno dell’aiuto iraniano per ripetere l’esperienza. Non c’è prova di complotti iraniani in Bahrein, e sulla questione del nucleare basta leggere el B.ahradei. E’ probabile che quest’ attenzione eccessiva sul rischio rappresentato dall’Iran nella regione sia per bilanciare le critiche a Israele e Arabia saudita ma l’Iran è importante solo in due contesti , Irak ( grazie a Bush) e Libano (dove Israele non manca di responsabilità). Altro punto debole è l’accusa ai palestinesi dell’uso della violenza: e i coloni armati nella Cisgiordania ? Il bombardamento di Gaza? Il caso flottiglia?

Infine l’aiuto promesso a Egitto e Tunisia va nella direzione necessaria, ma è troppo poco. La situazione economica dei due paesi richiede ben di più.

Un discorso più forte avrebbe dovuto annunciare il ritiro della base navale in Bahreim, il sostegno aperto per il riconoscimento di uno Stato palestinese all’ONU e l’auspicio di una maggiore democratizzazione in Arabia.

Comunque è stato un buon discorso, coraggioso che pone Obama  dalla parte giusta quella dell’Avenue Burghiba, Piazza Tahir, Bengasi e Deera. La parte del futuro possibile. Gli ideali sono lì. In quanto alla politica nel reale è difficile prevedere. Ma almeno Washigton finalmente non blocca la via a chi domanda cambiamenti nella regione.

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