ANALISI DEL VOTO SU 26 COMUNI E 11 PROVINCE – F.Astengo – politica 21/5/11

Amministrative 2011:un’analisi empirica “vecchio stile”. L’attesa, nel momento in cui scriviamo è tutta per i ballottaggi che segneranno l’esito definitivo di questa tornata elettorale amministrativa 2011: il ritorno dei “ballottaggi”, fra l’altro, dopo qualche anno di oblio appare indicativo di una situazione elettorale sicuramente tornata in movimento. Abbiamo così pensato di utilizzare questo intervallo per sviluppare una analisi, sicuramente empirica e basata su dati fortemente discutibili dal punto di vista dell’esame scientifico dei dati elettorali, ma che riteniamo di un qualche interesse al fine di valutare il “trend” reale delle forze politiche, al netto del peso delle coalizioni e delle candidature personali che sono state in gioco, e lo saranno ancora in certi casi, nei confronti diretti per l’elezione a Sindaco o a Presidente della Provincia.

Sono stati, così, analizzati i risultati relativi ai Comuni capoluogo e alle province (un totale di 4.492.505 voti validi per 26 comuni capoluogo, esclusa Villacidro, e 11 province: un test sicuramente più probante dei sondaggi abitualmente usati per sondare la temperatura “politica” del Paese, anche perché la dislocazione geografica delle città in cui si è votato ha interessato praticamente tutta l’Italia esclusa la Sicilia. In Sicilia si voterà a parte per alcuni elezioni comunali e si tratterà di un “test” assai probante essendo l’Isola, in questa fase, probabilmente il test politico più interessante).

 

L’analisi di questi risultati ha interessato le nove formazioni politiche che possiamo definire di dimensione “nazionale”, virtualmente in grado cioè di conseguire il “quorum” alla Camera anche in caso di presentazione al di fuori dalle coalizioni (il 4%) e precisamente: PD, SeL, IDV, FdS, UDC e FLI(calcolati assieme nonostante diverse presentazioni separate), PDL, Lega Nord, Movimento Cinque Stelle.

 

Nei casi presi in esame queste forze politiche, complessivamente, hanno raccolto il 72,03% dei consensi, lasciando a liste minori, locali (magari espressione delle stesse coalizioni come le liste di appoggio di tipo “civico” ai candidati Sindaci, oppure frutto dell’impegno di imprenditori politici “minori” e, ancora, di forze politiche come i Socialisti o i Verdi presentatisi in forme differenziate) il 27,97% dei suffragi.

 

Considerato che la partecipazione al voto è ormai assestata al 70%, in questi casi (sarà interessante vedere, in eventuali e future, elezioni politiche di quanto questa percentuale potrà elevarsi) possiamo affermare che , in questo momento, le 9 formazioni politiche indicate rappresentano, sommate assieme, circa il 60% dell’intera platea elettorale: un dato che indica, senza bisogno di grandi commenti, l’articolazione esistente nel rapporto politica/società e le difficoltà del sistema politico in quanto tale; difficoltà che accomunano, a nostro avviso, sia quanti scendono nell’arena per governare, sia quanti si misurano in funzione della cosiddetta “antipolitica”.

 

Allora veniamo ai dati, valutati per l’appunto “vecchio stile”, alla Celso Ghini per intenderci, cioè nel più puro spirito “proporzionale” (almeno sotto l’aspetto dell’analisi).

E’ vero che qualcosa si sta muovendo, certamente di non definitivo come indirizzo di fondo, ma un certo tipo di “trend” pare essersi invertito: il PD, pur non decollando, si assesta in percentuale nelle situazioni che abbiamo indicato al 24,98% (più o meno la quota che viene indicata dai sondaggi sul piano nazionale complessivo); arretra invece il PDL (che soffre probabilmente della presenza di tante liste e listarelle di contorno che, magari, alle elezioni politiche confluiranno sotto il capace ombrello del maggior partito). La “performance” del PDL in quanto tale è del 19,53%: un dato che, lo si giri come si vuole, indica -appunto – un segnale di sicuro arretramento.

 

Per quel che riguarda la Lega Nord (presente in 13 capoluoghi e 9 province) la percentuale complessiva è del 7,22% (quindi al di sotto di quel 10% che la Lega ottiene nazionalmente da tempo, grazie alle alte percentuali del Nord e in questo caso c’erano Milano, Pavia, Treviso, Novara, Mantova, Trieste, Torino): davvero non si è realizzata quella “strategia delle sinedocche” cui accenna sulle colonne di Repubblica Ilvo Diamanti.

 

Abbiamo esaminato unitariamente i dati di UDC e FLI che assommano (con diversi tipi di presentazione) al 5,32%: l’impressione è che l’operazione FLI sul piano elettorale morda molto poco e che i rischi per il “Terzo Polo” siano molto alti.

 

Egualmente occorre molto cautela nel valutare il dato di SeL (c’è una sola località pugliese: Barletta e la percentuale non è esaltante). SeL si assesta al 4,50%, più o meno la metà di quanto si trova accreditata dai sondaggi di dimensione nazionale: si apre, in questo caso, come in quello dell’IDV ( collocata al 4,23%) il tema del rapporto tra partito personale, candidature emblematiche (vedi per quel che riguarda l’IDV, ovviamente, il caso di Napoli), costruzione del soggetto politico; un tema urgente da affrontare, in particolare per SeL, se questa pensa di rappresentare il punto di riferimento di una nuova aggregazione a sinistra oppure puntare ad essere “laboratorio” di una concezione “alternativa” sul terreno della personalizzazione della politica, da considerare quale fattore pressoché esaustivo in quadro di azione quasi esclusivamente svolta sul piano elettorale.

 

A rendere, paradossalmente ma non troppo, difficile la risoluzione del nodo per SeL, troviamo il risultato della Federazione della Sinistra che si colloca al 3,96%, ben oltre quanto era stata stimata dai sondaggi, a dimostrazione di una presenza territoriale diffusa e sufficientemente consistente (certo passi ne sono stati perduti in questi anni, ma da lì a sparire completamente come era apparso ad alcuni commentatori dopo il congresso del PRC seguito alle elezioni del 2008 con la successiva scissione, ce ne corre).

Il dato di SeL e FdS indica come resti sul tappeto, a

nostra giudizio, il tema della ricostruzione unitaria di una soggettività politica rappresentativa della sinistra italiana, fuori da steccati e pregiudizi, in grado di offrire una idea alternativa non soltanto sul piano della progettualità (come dovrebbe essere ovvio, anche se la discussione di fondo non è stata ancora aperta) ma soprattuto sul terreno dell’agire politico: i dati forniscono la sensazione che le due formazioni, SeL e FdS, non risultino ciascuna per sé stessa autosufficiente per quel salto di qualità a sinistra che il PD non appare proprio in grado di compiere, sia per collocazione politica complessiva, sia per la forza dei numeri che lo confermano sicuramente il primo partito dell’opposizione, ma non nella dimensione tale da poter proporre una convinta egemonia (un ritorno alla “vocazione maggioritaria” in questo momento apparirebbe poi un vero disastro).

 

Infine le “5 Stelle”, né di destra, né di sinistra, come stanno confermando i suoi esponenti in queste ore di ballottaggio (vedremo, però, come risponderà l’elettorato): il movimento raccoglie il 2,29% complessivamente, ma non essendo stato presente alle elezioni provinciali, la percentuale deve essere rapportata alle sole elezioni comunali e diventare, quindi, correttamente del 3,77%. Una quota che indica come la scalata al Parlamento potrebbe essere possibile anche in forma autonoma.

 

Queste, dunque, alcune indicazioni ottenute attraverso valutazioni del tutto empiriche ed anche attraverso qualche forzatura metodologica, che non ci è abituale: nella convinzione, però, che si tratti di dati sui quali le forze politiche possano un poco meditare.
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