Mandrake Arcuri per Covid e Ilva

Dal Covid all’Ilva, ma quante ore dura la giornata di Domenico Arcuri?   Nel momento più grave dell’emergenza, ci troviamo alle prese con questa domanda. Ora, il super commissario governativo per l’emergenza Covid, in quanto amministratore di Invitalia sta conducendo una trattativa serrata con ArcelorMittal per l’ingresso dello Stato nella gestione del colosso dell’acciaio da ristrutturare e riconvertire, una partita che riguarda il futuro di Taranto.

Goffredo Buccini, su Il Corriere della Sera, racconta chi è Domenico Arcuri: da Prodi e D’Alema a mascherine e vaccino, ambizioni e grane dell’uomo dai mille incarichi. Una concentrazione di potere e di funzioni sulle quali gravano palesi incompatibilità sull’aspetto funzionale, del tempo operativo, con conseguenze evidenti di ritardi rispetto le assicurazioni date a parole (esempio: i posti di terapia intensiva disponibili sono tali se oltre ai letti e attrezzature già disponibili, ci sono anche i medici, infermieri e assistenti necessari), e con probabili conflitti d’interesse. Pochi hanno sollevato il problema, dei TG nazionali solo La7 con Enrico Mentana ha espresso dubbi e riserve su tale concentrazione d’incarichi. No problem per i tanti corpi intermedi che dissertano sulla democrazia delegata e partecipata? Tutto “normale” anche per le Confederazioni Sindacali in continuo dialogo con il Governo?

Così scrive Goffredo Buccini.

(…) Piove? Chiamate Mimmo! Manca solo che gli appioppino pure il meteo, così che in caso di maltempo il governo si ripari dal malumore popolare. Tra le macerie del Covid-19 ecco s’avanza uno strano ircocervo, oggi Figaro e forse domani Malaussène: poiché questo è il destino degli aggiustatutto italici, prima invocati in ogni dove (perché decidano) e poi capri espiatori (del decisionismo).

Lui, Domenico Arcuri, reggino a forte carica identitaria («sono di Reggio Calabria e a Reggio non cambiamo idea facilmente!», tuona all’occasione), mostra abbastanza considerazione di sé da agguantare le scommesse che il premier Conte gli va lanciando senza tregua: da nuovo Uomo del Fare. A giugno, tra polemiche furiose sulla gestione della pandemia, mascherine e tamponi fantasma, reagenti e forniture introvabili, sostenne papale: «Abbiamo fatto tutto in 85 giorni. Per una volta sarebbe davvero bello se tutti ci accorgessimo che siamo stati straordinari».

Non tutti furono d’accordo. La stampa di destra lo chiama Mister Disastro, quella liberista gli dà dello statalista, una fondazione come Openpolis addirittura lo accusa di operare «col favore delle tenebre» perché può amministrare in autonomia; e comunque, tenebre o meno, è difficile non vedere il rosario di ritardi e mancanze sgranato fin qui (tra banchi a rotelle e/o dimezzati, bandi tardivi, terapie intensive virtuali).

Gli hanno appena affibbiato l’ulteriore missione quasi impossibile di distribuire i vaccini anti-Covid senza caos (la distribuzione di quelli per l’influenza è risolta dall’assenza della materia prima).

Quando è emerso l’ennesimo incarico – occuparsi della grana Ilva in quanto amministratore delegato di Invitalia – un opinionista garbato come Giorgio Meletti ha esplicitato la domanda che frulla in testa agli italiani tutti: «Ma quante ore dura la giornata di Arcuri?».  (…)

Carlo Calenda, che usa i tweet come pasquinate, ha scritto l’altro giorno che il Covid-19 «segna la crisi definitiva dello Stato». Se ha ragione, Arcuri è un epifenomeno: beato il Paese che non ha bisogno di Mandrake. (…)  Con rivendicate simpatie «di centrosinistra», Arcuri pare una versione minore di grandi boiardi d’antan, convinto che un’ordinanza possa davvero modificare la realtà. Si dice scoperto da Romano Prodichiamò all’Iri dieci di noi ben laureati della Luiss») ma molti sostengono che l’incontro decisivo sia quello con Massimo D’Alema, con cui di sicuro condivide l’avversione per giornalisti e salotti intellò. Poiché al cuore non si comanda, ha condiviso invece un lungo tratto di vita sentimentale con una brava giornalista regina dei salotti, Myrta Merlino, sua ex moglie. La loro figlia diciannovenne guardava in tv gli ospiti del talk materno che massacravano la gestione sanitaria e, cambiando canale, il babbo che la rivendicava in conferenza stampa.

La difesa di Arcuri poggia sullo status quo ante: «Non avete idea di cosa abbiamo trovato», sostengono i suoi collaboratori, rovesciando la sciarada di cifre e accuse. E, guardando all’attuale teatrino dei presidenti di Regione, pare plausibile.

A marzo, ragione dell’incarico ad Arcuri è stata del resto la palese difficoltà della Protezione civile, regionalizzata dopo gli anni di Bertolaso e paralizzata da un morbo diffuso negli uffici: la fuga dalle decisioni per timore di conseguenze giudiziarie (Bertolaso docet). Forse così si spiega l’ossessivo ricorso a un ambizioso kamikaze («in giro non ce ne sono molti», ricordate?). Forse, l’altra faccia di protagonismi ed eccessi è questa palude che tutto inghiotte. Insomma non si può escludere che esista un’Italia peggiore di quella con Arcuri. Quella senza.

Per la lettura completa dell’articolo di Buccini, di quello correlato di De Francesco su Il Giornale e dell’ultima dichiarazione di Arcuri sulla terapia intensiva che non sarebbe in pressione, fate un clic su questi link

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