LIBIA: IL CINISMO DEL COMMERCIO D’ARMI – T.Ferigo – globalmondo 24/4/11

Gli aerei distrutti in Libia dai Mirages francesi sono gli stessi che la Francia aveva venduto a Gheddafi. La no fly zone deve impedire che decollino elicotteri italiani. La vendita di armi leggere estende all’intera zona il rischio di violenza e atti terroristici. Una diversa politica nei confronti di regimi autoritari non può prescindere dal commercio di armamenti  

Nicolas Sarkozy ,Presidente della Repubblica francese, fu uno dei primi leaders occidentali a denunciare la possibilità di un massacro a Bengasi e a richiedere un intervento militare. Lo mise in atto ,comunque,  dopo che i cittadini francesi tornarono sani e salvi dalla Libia. Parecchi di loro sono ingegner e tecnici dell’industria bellica.

Il paradosso è evidente: le armi del regime di Gheddafi che oggi vengono, giustamente eliminate, sono sovente quelle che sono state vendute da Francia, Italia e altri paesi produttori di armamenti solo poche settimane prima delle manifestazioni di Bengasi.

Tra le ragioni che facevano della Libia un interlocutore “affidabile” dopo la sua riammissione tra i paesi dell’alleanza sacra contro il terrorismo – petrolio,controllo emigrazione,affari, rinuncia alla bomba atomica , riconoscimento atti passati di terrorismo– il commercio di armi ha giocato un ruolo non secondario.

Dieci anni orsono la Libia era sottoposta ad un triplice embargo: Le sanzioni dell’ONU ( che non prevedevano il petrolio), l’embargo degli USA e l’embargo della UE che comprendeva le armi.

Le sanzioni furono progressivamente tolte tra il 2003 e 2004. Le ultime furono, non senza critiche, quelle europee sugli armamenti. A quel tempo vi era un embrione di politica europea . Javier Solana e Chris Patton ne erano l’espressione e cercavano di porre qualche criterio di “ condizionalità” al rapporto con paesi a regime autoritario. Avvenne anche per la levata dell’embargo sulle armi alla Libia. La Comunità , nonostante le pressioni di Francia e Italia, richiese alla Libia di giustificare le ragioni per una ripresa del commercio. Il genio italico e la realpolitik di Tony Blair trovarono la soluzione all’impasse. Blair accennò alla possibilità di luoghi di ritenzione e identificazione dei migranti subsahariani in Libia. Il ministro Pisanu lo seguì a ruota affermando che i libici non erano preparati per un efficace controllo delle coste e quindi avevano bisogno di navi, radar, armamento leggero, elicotteri…Quindi, caro colonnello tu ci blocchi i migranti e noi ti sblocchiamo le armi e facciamo affari.

Embargo levato la Libia tornò ad essere un mercato lucrativo per i produttori di armi del mondo intero. Altro che guardacoste ! Ogni tipo di armamento entrò nel bussenes ,dalle armi leggere agli aerei. Tony Blair, Sarkozy , il Presidente russo, più tardi Berlusconi si recarono in Libia accompagnati  dai rappresentanti dell’industria degli armamenti. Nel Novembre 2010 ,il salone dell’armamento Libdex 2010 a Tripoli attirò più di 100 imprese di 24 paesi differenti.

 Ora che l’esercito di Gheddafi è in conflitto diretto con forze della NATO, l’ironia è evidente. L’aereo di combattimento francese Rafale, in altri tempi offerto entusiasticamente alla Libia, bombarda dei carri da combattimento che una impresa italiana doveva rinnovare in base ad un contratto dell’anno passato. I Rafale devono anche impedire che decollino i Mirage F-1 venduti tempo fa e modernizzati dall’impresa Dessault e gli elicotteri italiani.

 La vendita di armi leggere –missili antiaerei,fucili d’assalto – vedono in prima fila la Russia, L’Ucraina,il Belgio e l’Italia. Queste armi non solo aumentano il rischio di violenze intense e prolungate, in Libia ma diventano un vero mercato per l’intera area: Chiad, Algeria, Mali.

Inoltre se certi prodotti come i sistemi di missili terra –aria russi S-300 e Jernas inglesi o i radar di difesa aerea francesi, fossero stati venduti, come auspicato da diversi paesi,l’imposizione di una nofly zone sarebbe stata ancor più complessa.

 Infine l’entusiasmo con cui Governi europei hanno promosso la vendita d’armi al Governo libico è anche dimostrazione del  sostegno  al regime di Gheddafi.

 Dopo la prima guerra irakena in cui Sadam Hussein utilizzò il suo arsenale bellico ,prevalentemente fornito da Russia e Francia, contro i suoi vicini e poi contro le forze ONU, la comunità internazionale riformò la sua politica nel commercio di armi. Furono stabilite linee direttive per l’esportazione e la circolazione divenne più trasparente.

 La fornitura d’armi alla Libia deve essere riconsiderata nello stesso modo. E’ un fatto politico di prima importanza. Interessi nazionali e commerciali possono rendere ciechi o esaltare il cinismo di governi con gravi ripercussioni negative ,prima di tutto il rafforzamento di regimi autoritari e repressivi e dotati di risorse finanziarie.

Come scrive  Peter Wezeman del SIPRI di Stoccolma,  la Francia in primo luogo e i paesi che hanno fatto buoni affari con la Libia e che ora sostengono  con più o meno opportunismo l’intervento, dovrebbero prendere la testa nella ridefinizione delle regole del commercio di armi. Un cambio di politica nei confronti di paesi autoritari comincia anche da questo.

 

Toni Ferigo

 PS i dati riportati sono tratti da pubblicazioni del SIPRI

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