LA DIVISIONE DEL SINDACATO ITALIANO – E.Friso – …come se fosse nel Dna..-

La divisione sindacale è un dannoso non senso di Enzo Friso. Appare evidente che la divisione sindacale creatasi in Italia nel periodo della guerra fredda, ai nostri giorni rappresenta un autentico nonsenso e va contro gli interessi dei lavoratori e della democrazia. Infatti, se è vero che senza democrazia non c’è sindacato, è altrettanto vero che senza il sindacato non c’è democrazia: un Sindacato forte ed efficiente contribuisce ad assicurare un’equa distribuzione della ricchezza e la giustizia sociale, valori senza i quali un paese non può definirsi democratico.

Il Sindacato in Italia, come altrove, è stato indebolito da disoccupazione e lavoro precario, ma, non c’è dubbio alcuno che da noi vi abbia contribuito anche la sua divisione. C’è da domandarsi se questa anomalia non sia dovuta in buona parte alla circostanza che, con un’eventuale unificazione, i segretari generali e relative strutture ai vari livelli organizzativi, si riducono da tre a uno. Infatti, le differenze tra le diverse Confederazioni sindacali italiane non sono di certo superiori a quelle esistenti in altri Paesi, dove il Sindacato è unitario, e dove esse sono superate con il sano sistema democratico: la minoranza si adegua alla volontà della maggioranza.

Secondo gli ultimi dati del Dizionario Economia e Finanza, il tasso di sindacalizzazione in Italia (percentuale degli iscritti a un sindacato sul totale dei lavoratori occupati e con esclusione, quindi, dei pensionati) che aveva raggiunto nel 1975 la dimensione considerevole del 50%, si è ridotto nel 2010 al 35% e il trend al ribasso rimane costante.

Nei paesi europei là dove il Sindacato non soffre di divisione alcuna, il tasso di sindacalizzazione rimane elevato. Dati della Commissione europea (anno 2008), indicano che la Svezia primeggia con il 76% di sindacalizzazione, seguita da Finlandia, Danimarca con percentuali superiori al 50%. Questi sono anche i Paesi dove il tasso di disoccupazione è il meno elevato.

Un sindacato unitario, forte e responsabile, favorisce lo sviluppo perché ostacola con successo quel il liberismo, che fu tanto caro alla signora Margaret Thatcher, il cui obiettivo era di far perdere al Sindacato il ruolo di protagonista della vita economica e politica, conquistato nel Novecento e riaffermatosi nel secondo dopoguerra. E con uno Stato che si limita unicamente a garantire la libertà del mercato, riducendo i lavoratori allo stato di merce senza alcun rispetto per la loro dignità propria della persona umana.

Sta di fatto che, nel mondo del lavoro, il tema dell’unità sindacale non è più all’ordine del giorno ormai da tempo, come se la divisione fosse nel DNA del sindacalismo italiano. È un vero peccato.

Non deve, quindi, sorprendere che l'Italia si trovi tra i paesi dell’Unione europea che registrano le maggiori disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse.

 

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