Inganni e arroganza di Trump
Trattare con Trump è necessario, altrettanto importante contrastare il decisionismo e l’arroganza del presidente americano. Vale sempre quel conio sindacale “si tratta anche con i diavolo”, quando le controparti negavano diritti e dignità ai lavoratori. Il Trump dei nostri giorni esprime principi non solo conservatori ma reazionari, diffonde notizie false o ingannevoli, agisce con prepotenza, offende gli interlocutori con un linguaggio inaccettabile (“parassiti”) e triviale come l’espressione “..sono pronti a baciarmi il culo” verso chi chiede un incontro per trattare sui dazi.
Sull’inganno dei dati e delle tariffe, sulle tante presunte barriere discriminatorie verso l’esportazioni degli Stati Uniti in Europa, alleghiamo cinque articoli (Alessio Capacci e Carlo Cignarella sul sito CPI, Valentina Iorio su Corsera e quello di Carlo Cottarelli su L’Espresso, di Emily Chamblee-Wrigth sul sito The Unpopulist, e di Franco Chittolina sul sito apiceuropa.com) che espongono lo stato delle cose ricordando le norme esistenti. Di questi contenuti bne poco, a volta nulla, si ritrova nelle relazioni e nei documenti dei Congressi Cisl in corso. L’assenza di un pronunciamento unitario del sindacato confederale italiano è un fatto preoccupante e grave. Ci sarà un Primo Maggio unitario, anche se con modalità diverse dal passato: su questi problemi ci sarà una valutazione unitaria?
L’ articolo di Alessio Capacci e Carlo Cignarella così inizia << Gli Stati Uniti hanno pubblicato un rapporto che elenca le azioni dei Paesi dell’Unione Europea che sono percepite come barriere alle esportazioni americane verso l’Europa. Le barriere tariffarie sono modeste. Tra quelle non tariffarie, meno di un quinto sono vere misure di discriminazione a danno delle imprese extra-comunitarie: la più importante forse è il parziale “buy European” nel settore della difesa. Il resto consiste in regolamentazioni più strette di quelle a cui sono abituate le imprese americane, ma che toccano ugualmente le imprese UE e non UE. Non sembra impossibile arrivare a una riconciliazione su diversi di questi punti. In alcuni casi, rimuovere certi vincoli ed efficientare le pratiche delle amministrazioni europee farebbe bene anche alle nostre imprese. (…)

Nella sezione del rapporto dedicata all’Unione Europea (da pag. 129 a pag. 162), la parte sui dazi è molto breve. Si criticano i dazi sui prodotti agricoli, 10,8% in media, e su alcuni prodotti non-agricoli: 26% per pesce e prodotti di mare, 22% camion, 14% biciclette, 10% veicoli passeggeri e 6,5% per fertilizzanti e plastica. (vedi testo in inglese con questo link). Quasi tutte le barriere sono “non-tariffarie”, e includono regolamenti, ostacoli burocratici e prassi che secondo gli USA limitano le loro esportazioni verso l’UE. Nel documento se ne contano 58. Si possono classificare in due gruppi.(…) >> Vedi allegato
Valentina Iorio in Quell’inganno su cifre e tariffe, sul Corriere della Sera, così inizia << Sui dazi voluti da Donald Trump attenti all’inganno dei dati. Non c’è alcuna reciprocità nei dazi di Donald Trump e il presidente americano non ha ragione di sostenere che l’unione europea abbia «sfruttato» gli Stati Uniti attraverso pratiche commerciali per loro sfavorevoli o che il deficit commerciale degli Usa sia necessariamente frutto di presunte barriere. Con l’aiuto dell’economista Antonio Villafranca, vicepresidente per la ricerca dell’ispi, vediamo perché la narrazione del 47esimo inquilino della Casa Bianca non ha alcun fondamento economico e i dazi, in assenza di pratiche sleali, fanno male sia a chi li subisce che a chi li impone. Motivo per cui l’europa deve pesare bene le contromisure. (…).
L’articolo prosegue dando risposta a queste cinque domande che potete leggere nell’allegato.
- 1- Come ha spiegato la stessa amministrazione Trump, i dazi sono stati calcolati dividendo il deficit commerciale degli Stati Uniti verso un Paese per il totale delle importazioni da quel Paese. Cosa significa?
- 2 – Sulla base di questo calcolo, Trump sostiene che l’ue impone dazi del 39% agli Stati Uniti, ma non è così. Cosa dicono le cifre reali?
- 3 – Tra le barriere che Trump contesta a Bruxelles ci sono anche standard e norme che, a suo dire, danneggiano gli Usa. Esiste davvero questo squilibrio?
- 4 – Questo ha danneggiato Big Tech?
- 5 – Quali sono i rischi dei dazi?
Nota – Il dazio costituisce uno strumento di protezione di alcuni settori economici nazionali, quando questi non possono competere con la concorrenza estera. L’uso sistematico di questo strumento si chiama protezionismo. Nella maggior parte dei casi il dazio viene riscosso attraverso una dichiarazione doganale, pagata dall’importatore. Esiste un consenso quasi unanime tra gli economisti sul fatto che i dazi siano controproducenti e abbiano un effetto negativo sulla crescita economica.
Carlo Cottarelli in “Le discriminazioni contro gli States le vede solo Donald“, su L’Espresso n.15, così inizia: << L’amministrazione Trump ha segnalato la disponibilità degli Usa a discutere passi concreti che l’Ue potrebbe prendere per ottenere una riduzione dei dazi annunciati nel Liberation Day. È una buona notizia, in teoria. Gli Stati Uniti si sentono discriminati nel loro commercio con l’Unione e hanno elencato le loro lamentele in un documento del loro Rappresentante per il Commercio (Jemieson Greer). La lettura del documento (2025 National Trade Estimate Report on Foreign Trade Barriers; da pagina 129 a pagina 162 la parte che riguarda l’Ue) suggerisce però che le discussioni potranno essere parecchio complicate e molto influenzate da aspetti politici. Perché?
Le lamentele riguardano quasi interamente barriere non tariffarie (la parte sui dazi è brevissima), ossia presunti ostacoli posti alle esportazioni delle imprese americane verso l’Ue. Tuttavia, una gran parte delle cose di cui si lamentano le imprese americane non le discriminano rispetto a quelle europee: sono vincoli che incidono in modo uguale su tutte le imprese che operano in Europa. Il fatto è che sui due lati dell’Oceano si applicano standard diversi. Per esempio, a pagina 138 si nota che l’Ue limita l’uso di ormoni e altri prodotti chimici per promuovere la crescita degli animali da macellazione. Questo vale nello stesso modo per le imprese europee e americane. Perché dovrebbe essere l’Ue ad adeguarsi agli standard americani e non viceversa?(…) >> Per proseguire aprire l’allegato
Emily Chamblee_Wright in “I dazi di Trump danneggiano anche la democrazia americana”, così conclude il suo articolo : << (…) Quando un presidente può avviare una guerra commerciale con il Canada, il Messico o l’Unione europea – senza un voto, senza un’udienza, senza nemmeno una base razionale per le tariffe imposte – non si tratta semplicemente di un problema commerciale. È una crisi di consenso. Nel suo opuscolo rivoluzionario “Common Sense”, Thomas Paine presentava una visione di una Repubblica che avrebbe interagito con il mondo tramite lo scambio libero, non con l’invasione imperiale. «Il nostro piano è il commercio», scriveva, «e, se ben curato, ci garantirà la pace e l’amicizia di tutta l’Europa». Per Paine, il commercio era una forza di pace, non di conquista. Era l’espressione economica della virtù repubblicana.>>
Quella visione è ormai sbiadita nella memoria. Se vogliamo davvero guidare il mondo libero, dobbiamo tornare ad agire come un popolo libero, governato dallo stato di diritto, non dagli slogan. Questo significa restituire al Congresso il suo ruolo costituzionale nella politica commerciale. Significa rifiutare la falsa promessa del protezionismo per decreto. E significa ricordare ciò che gli Fondatori della Repubblica americana sapevano: la libertà e la libertà di commerciare sono inseparabili, e la prosperità che portano è uno dei doni più grandi della libertà. Il Congresso dovrebbe riprendersi ora la sua prerogativa e impedire a questo o a qualsiasi futuro presidente di oltrepassare la propria autorità e infliggere danni economici al proprio popolo. Questo articolo è stato pubblicato originariamente sul sito di The Unpopulist e riprodotto sul sito linkiesta.it https://www.linkiesta.it/2025/04/trump-democrazia-americana-stati-uniti/
Franco Chittolina in “Se nell’UE si confondono dazi e regole di civiltà” sul sito www.apiceuropa.com così inizia << Nonostante che in questi ultimi tempi l’oceano Atlantico si sia molto allargato e gli scambi tra i due Occidenti siano sospesi al ricatto dei dazi, questo non impedisce che correnti tumultuose veicolino confusione e qualche complicità tra le due sponde. Ne sa qualcosa l’uso improprio che della parola-chiave “dazio” qualcuno fa in Europa, in particolare nella “nazione” Italia, da parte di forze di governo impegnate ad alzare polveroni di propaganda destinate a truccare le carte nel confronto politico. Come quando si chiama “dazio” il programma di transizione ecologica, il “green deal”, o il patto di stabilità o, ancora, le regole adottate di comune accordo per contenere gli abusi del mercato (…) >> per proseguire un clic qui
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