Gli invisibili dei campi

L’INCHIESTA – Gli invisibili dei campi, la vita di chi ci sfama, pagata tre euro l’ora – I caporali, i ghetti e le morti sotto il sole per la fatica Il lavoro senza diritti di migliaia di stagionali agricoli. La filiera del cibo è tra le più occultate. Serve lanciare l’idea di un “primario avanzato”, di una nuova agricoltura che al supporto della tecnologia affianchi quello della cultura dei diritti e del lavoro ben retribuito. Postiamo l’articolo “I diritti non vanno in vacanza” di Michele Serra.

Non si chiamano più “braccianti”, nome antico e per niente eufemistico che definiva chi, per vivere, poteva contare solo sulle proprie braccia: e quelle dava in affitto al padrone.

Stagionali agricoli nei campi di Villa Literno (CS)

Si chiamano operai agricoli, o lavoratori stagionali. Ma pochi lavori, pochi ruoli sociali, poche vite sono rimaste così simili nel tempo, una generazione dopo l’altra.

Con una differenza: che per i braccianti ottocenteschi di Pellizza da Volpedo e quelli novecenteschi di Di Vittorio valeva un’idea di redenzione politica, e di emancipazione sociale, che oggi sembra essersi dissolta, o comunque viaggia a ranghi dispersi, senza la compattezza “di classe” del socialismo degli avi.

Non dappertutto, e non ovunque allo stesso modo, le braccia in agricoltura sono ancora la macchina più utilizzata ma anche la più trascurata. La più preziosa e la meno pagata, la più versatile e la meno custodita. E la grande disponibilità di manodopera immigrata, spesso indifesa, incosciente dei propri diritti, ricattabile, ha enormemente infoltito i ranghi delle braccia a basso costo.

Si parla di salari che possono toccare il fondo dei tre euro all’ora, e il fondo, sia chiaro, non è solo per chi li percepisce. È anche per chi li paga, reso miserabile e tirchio pure lui da un’economia miserabile e tirchia; è per una società intera che vede la sua patina di modernità e di progresso traballare su fondamenta così arcaiche, incredula di contenere nel suo profondo (il primario, la produzione del cibo) condizioni umane e paesaggi sociali da secoli passati.

La meccanizzazione ha fatto molto, la tecnologia altro farà, ma la fanteria, sul fronte del cibo, è ancora l’uomo, specialmente in certe fasi (le potature, la pulizia, i trattamenti, la raccolta) in cui la presenza sul campo è indispensabile, e nessuna macchina, nessun drone può surrogare le braccia, le gambe, gli occhi, l’esperienza. Il corpo umano è una macchina frutto di centinaia di migliaia di anni di evoluzione e sperimentazione: non è un brevetto che la robotica e l’automazione possano illudersi di rendere obsoleto d’un tratto. Perché dunque lo trattiamo così male?

Definizione che si scontra, almeno in apparenza, con la grande quantità di materiali (giornalistici, istituzionali, politici, sindacali) sui lavoratori stagionali nelle campagne italiane, e sulla principale piaga che li affligge, che è il caporalato. Ovvero l’intermediazione illegale di mercanti di uomini che da un lato speculano sulla tratta delle braccia, dall’altro esercitano un odioso controllo sociale sui braccianti: spesso ambedue le cose per conto delle mafie.

È un “modello”, quello del caporalato, che secondo la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni del lavoro nel nostro Paese ha preso piede anche nelle città, in particolare nella logistica e nel facchinaggio. (…) per proseguire aprire l’allegato

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