Trattare col diavolo

“Trattare anche con il diavolo..” è un modo di dire per porre fine ai conflitti più difficili, per ricercare confronti e compromessi con avversari  e nemici. Vale ancora di più per i conflitti armati, per i teatri di guerra, per la tragedia Ucraina dove la strategia della “guerra di logoramento” produce sempre più danni materiali,civili e morali nonché risultare perdente sul piano militare. Deve preoccupare anche quanto avviene sul piano istituzionale in Ucraina dove le epurazioni continue e massicce denotano pericoli golpisti, come racconta nel suo reportage Francesca Mannocchi.  

UN PRIMO PASSO …. Nello storico palazzo Dolmabahce di Istanbul è stato finalmente sottoscritto, il 22 luglio, l’accordo che consentirà il passaggio di 35 milioni di tonnellate di grano ucraino attraverso il Mar Nero. A porre le firme Turchia, Nazioni Unite ma sopratutto Ucraina e Russia. Le parti hanno aderito alla proposta di costituire un centro di coordinamento a Istanbul, che con la partecipazione di delegati di Russia, Ucraina, Turchia e Nazioni Unite monitori e tracci il percorso della navi in uscita. Decisivo per l’intesa definitiva è stato il bilaterale tra i presidenti di Turchia e Russia, Recep Tayyip Erdogan e Vladimir Putin, che ha avuto luogo due giorni fa a Teheran.

Henry Kissinger insiste e invita gli Stati Uniti a chiudere la guerra entro due mesi per non esserci trascinati dentro.  Ennio Remondino  in Caoslandia” peggio di Mosca e di Pechino sul sito www.remocontro.it così inizia. In sintesi: Kissinger teme Caoslandia più di Mosca. E a quanto pare anche di Pechino. Un ordine mondiale complicato dall’apparente mancanza di codici condivisi, dal carattere globale e non europeo del sistema, dal gran numero di potenze in ascesa o rientranti nella storia. La lezione di Kissinger è che nonostante tutto occorre provarci. Per non abbandonarsi al nichilismo. E non scivolare in una guerra totale. Già a maggio, lo storico Segretario di Stato Usa, 99 anni, era stato il primo a lanciare il dibattito pubblico su come terminare il conflitto in Ucraina e su quale posto assegnare alla Russia nel dopoguerra.

Henry Kissinger, 99 anni

Lo ha fatto in almeno tre occasioni: World Economic Forum di Davos (23 maggio), FTWeekend Festival (7 maggio), Strategic Investment Conference (9 maggio). Ora Limes pubblica il primo intervento e alcuni passaggi dagli altri due, per capire meglio. (…)  per proseguire un clic qui https://www.remocontro.it/2022/07/15/kissinger-invita-gli-stati-uniti-a-chiudere-la-guerra-entro-due-mesi-per-non-esserci-trascinati-dentro/

Caoslandia  – Quante dicotomie ci sono nel mondo? giorno e notte, luce e ombra, freddo e caldo, vita e morte. Ordine e Caos. l mondo diviso in due. Non Occidente e Oriente, non Nord e Sud. Ma Ordine e Caos. Anzi, Caoslandia, il mondo dei conflitti, del terrorismo, dei conflitti etnici e religiosi. Che, guarda caso coincide con il mondo della povertà, dell’allontanamento scolastico, dei grandi flussi migratori, della produzione di sostanze stupefacenti. Poi c’è Ordine, dove sono diretti i flussi migratori e le droghe di Caoslandia, c’è Ordine dove comandano le potenze che spesso mettono bocca o partecipano più o meno ufficialmente ai conflitti di Caoslandia, c’è Ordine che sfrutta le ricchezze naturali – quelle poche che sono rimaste – dei Paesi di Caoslandia. Insomma, tutto fa pensare, che Ordine abbia molti interessi che Caoslandia resti così. Caoslandia è una mappa tratta dal numero di Limes 4/18 Lo stato del mondo  http://www.limesonline.com/sommari-rivista/lo-stato-del-mondo Per più notizie Lucio Caracciolo qui  https://www.youtube.com/watch?v=ZWIvsbDzI5Y 

Anche Federico Fubini in “ I messaggi di Kissinger a Kiev”, su  Il Corriere della Sera, riflette sul dilemma di  Zelensky. Quando negoziare con Mosca la tregua? E scrive (…) Kissinger ha poi aggiunto una frase che sembra un invito a Kiev a rinunciare alla Crimea e alle pseudo-repubbliche di Donetsk e Lugansk: «Idealmente la situazione dovrebbe tornare allo status quo ante (il 24 febbraio, ndr). Credo che perseguire la guerra oltre quel punto la trasformerebbe in una guerra non per la libertà dell’Ucraina, ma contro la Russia». Gerry Kasparov, il grande oppositore russo, ha risposto che quell’idea si è già dimostrata sbagliata: concedere territori al Cremlino «non è sostenibile, perché alla lunga i dittatori hanno bisogno del conflitto». E davvero avergli lasciato la Crimea nel 2014 non ha fatto che acuire la sete di aggressione di Putin. (…)  Eppure Kissinger la settimana scorsa è tornato sul tema con Luigi Ippolito del «Corriere». Va sconfitta l’invasione dell’Ucraina, ha detto, «non la Russia come Stato» e si deve «tornare al corso storico per cui la Russia è parte del sistema europeo». E a proseguito: «Stiamo arrivando a un momento in cui bisogna affrontare la questione della fine della guerra in termini di obiettivi politici altrettanto che militari. Non si può semplicemente continuare a combattere senza un obiettivo».

Trattare anche con il diavolo….

Che voleva dire Kissinger? Senza dubbio vede anche lui le difficoltà nella quale si trova ormai l’Ucraina. L’esercito russo è tornato alla tattica zarista di fare terra bruciata con l’artiglieria e solo dopo avanzare con la fanteria; il Lugansk è espugnato e ora sta penetrando nel Donetsk. È possibile che gli ucraini tentino una controffensiva a Sud con i lanciarazzi arrivati dagli Usa. Intanto però le missioni aree russe, fra 40 e 50 al giorno, distruggono quantità notevoli di armi fornite dagli occidentali e infliggono perdite all’esercito di Kiev: secondo alcune stime fino al 40% dei soldati sarebbero morti o non più in grado di combattere (altre centinaia di migliaia di uomini nei corpi d’ordine pubblico avrebbero bisogno di addestramento per la guerra). (…)  Per proseguire aprire l’allegato

Bernardo Valli, anch’esso over 90, giornalista di grande esperienza internazionale, nell’intervista rilasciata a Francesca Sforza, su La Stampa Se l’Ucraina perde il Donbass la pace diventerà impossibile” così inizia. Si ritrova il passo del grande inviato nelle considerazioni che Bernardo Valli, storica firma di Repubblica, accetta di condividere nel corso della nostra conversazione sulla guerra in Ucraina. «Una guerra vecchio stampo», dice, che forse anche per questo consente l’emersione di ricordi che sono piccoli gioielli: «Non sono in molti a sapere che nel Donbass, durante la seconda guerra mondiale, furono tantissimi gli italiani che rimasero fra i prigionieri», né che tra le caratteristiche della leadership ucraina «si ritrova la forza di quegli ebrei che sfuggirono ai nazisti, poi ai comunisti, e persino agli stessi avversari interni che ne volevano l’eliminazione, una cosa che sa di rivincita, ma anche di compensazione».

Ci troviamo di fronte a una guerra di attrito, con grande impiego di uomini e mezzi. Bernardo Valli, come si esce da una guerra così? – «Prima di tutto bisognerebbe capire come ci si è entrati, in questa guerra. La fila di carrarmati che nelle fasi iniziali premeva alle porte di Kiev riassume la situazione in modo plastico: i russi dovevano occupare Kiev e compiere così un gesto decisivo, invece quella colonna si è dispersa, la guerra si è frantumata, ed è chiaro che da allora c’è stato un cambio di strategia, da parte russa, sia sugli obiettivi che sulle conseguenze. Il problema è che né gli uni né gli altri sono ancora molto chiari».

Quali sono? – «Innanzitutto: la Russia vuole occupare tutta l’Ucraina o mantenere quel 20 per cento di popolazione nel Donbass? La mia impressione è che dopo quello smacco iniziale, i militari – con cui Putin è legato a doppio filo da tempi molto remoti – siano entrati in confusione, e per un verso non abbiano perdonato a Putin quell’invasione generalizzata, che aveva il fine di annettere l’Ucraina con un colpo di mano. E poi non sono stati in grado di gestire quella diversa Ucraina che si sono trovati di fronte: gli schemi usati fino a quel momento per interpretare gli stratificati rapporti complessi tra i due Paesi non funzionavano più. È evidente che il governo di Kiev non può essere disposto ad accettare una mutilazione, né può esserlo l’Occidente, dopo un simile dispiego di mezzi».  (…) per proseguire aprire l’allegato.

Le guerre, contrariamente alla retorica diffusa,  deteriorano il tessuto sociale e morale di un paese, in particolare paga il prezzo maggiore il più debole dei guerreggianti. E’ quanto sta succedendo in Ucraina?

Francesca Mannocchi nel reportage, per La Stampa,  racconta in “Il pugno  di Zelensky”. Così inizia.  –  Karkiv – «Ho deciso di rimuovere il procuratore generale e di rimuovere il capo del servizio di sicurezza dell’Ucraina». Così l’altro ieri Volodymyr Zelensky ha parlato alla nazione. Una notizia che ha stupito poco gli analisti ma molto i cittadini. Una comunicazione stringata, fatta di severità e numeri: 651 procedimenti penali di alto tradimento e attività di collaborazione di dipendenti di procure e altre forze dell’ordine. Più di 60 dipendenti della Procura e della SBU (i servizi segreti) che nei territori occupati lavorerebbero contro l’interesse dell’Ucraina. «Ogni domanda aperta da queste accuse – ha concluso Zelesnky – dovrà avere delle risposte».

Ieri i cittadini ucraini erano increduli, non tanto per Bakanov – amico d’infanzia del presidente e da molti considerato non all’altezza del ruolo che gli era stato affidato – quanto per la Venediktova che negli ultimi mesi è diventata per larga parte della popolazione l’icona della ricerca di giustizia e della ricerca delle prove per punire chi si è macchiato di crimini di guerra.

Lunedì 18 luglio, il vicecapo dell’Ufficio del presidente Zelensky, Andriy Smirnov, parlando alla televisione ucraina, ha aggiustato il tiro sulla rimozione di Bakanov e della Venediktova, ha spiegato che il presidente si aspettava «la pulizia dei collaboratori e dei traditori dello Stato» e che la decisione resta in mano a Zelensky che non li ha «ancora licenziati perché sono in corso ispezioni». In tarda serata è arrivato l’annuncio di altri 28 “licenziamenti”. (…) per proseguire aprire l’allegato.

UCRAINA E MOVIMENTO PER LA PACEÈ urgente porre fine alla guerra in Ucraina. Ma per raggiungere questo obiettivo, “Russia Out Now” è uno slogan migliore di “Diplomacy Now”. Stephen R.Shalom e Dan La Botz, il 10 Luglio così scrivono sul Web. Il movimento per la pace globale ha in generale una storia ammirevole di guerre opposte che hanno causato tante sofferenze nel corso degli anni. Gli attivisti hanno sostenuto la pace e la giustizia sociale dal Vietnam all’America Centrale fino all’Iraq, aiutando a insegnare al mondo che al posto della morte e distruzione, della xenofobia e dell’intolleranza, possiamo lavorare per risolvere pacificamente i conflitti mentre dedichiamo i nostri sforzi a soddisfare i reali bisogni umani. Il movimento pacifista ha da tempo segnalato il gigantesco spreco rappresentato dalla spesa per la guerra. Se tutti i soldi spesi per le armi della morte fossero stati reindirizzati verso i bisogni umani, la povertà e la fame avrebbero potuto essere spazzate via molto tempo fa. E così, data la nostra ammirazione e apprezzamento per il movimento per la pace, siamo rimasti delusi e un po’ sorpresi di trovarci in disaccordo sulla questione dell’Ucraina con persone con cui in passato abbiamo spesso marciato per la pace.(…) per proseguire aprire l’allegato oppure un clic su questo link https://fpif.org/ukraine-and-the-peace-movement/?emci=80fc0449-1909-ed11-b47a-281878b83d8a&emdi=84d73613-1e09-ed11-b47a-281878b83d8a&ceid=9577177

Il film “We were soldiers” di Randall Wallace (2002) con Mel Gibson mette in primo piano l’orrore dei combattimenti e dei corpo a corpo. Per la sua crudezza genera un’avversione istintiva e viscerale contro la guerra e alla retorica che la circonda. Termina con queste parole di un sopravvissuto ai sanguinosi scontri tra marines americani e giapponesi: “Alcuni avevano la famiglia ad attenderli. Per altri la famiglia erano i compagni accanto a cui erano stati feriti. Non c’erano bande, né bandiere, né guardie d’onore ad accoglierli. Erano andati in guerra perché il loro Paese l’aveva loro ordinato. ln fondo, però, non avevano combattuto per la Patria o la bandiera, ma per i propri compagni”