Difendere l’Ucraina!

Difendere l’Ucraina. Quale la strategia più efficace? Arriva l’estate e l’Ucraina scala nell’attenzione, si è “stanchi” di quell’invasione, della distruzione russa, del massacro di tante vite, civili e soldati. Gli articoli allegati fanno emergere una realtà che “il politicamente corretto” ignora o preferisce tralasciare.

Federico Fubini, su il Corriere della Sera, pubblica l’intervista al ministro delle finanze ucraino  Serhiy Marchenko che afferma “Rischiamo il default..abbiamo bisogno di soldi..quelli promessi dalla Eu sono arrivati in minima parte..L’Unione europea ha concordato un’assistenza finanziaria per l’Ucraina da 9 miliardi di euro, ma cosa vediamo al momento? Forse un miliardo questo mese. Poi potrebbe esserci una pausa: non c’è accordo tra i governi dell’Unione.. Alcuni governi non sono pronti a sostenere l’Ucraina con una somma del genere. Durante i primi mesi di guerra l’Europa era unita. Ora vediamo opinioni diverse su come sostenere l’Ucraina». Afferma «Tregua? Solo se i russi si ritirano». L’intervista si conclude così «Posso dire che Boris Johnson era molto popolare. È venuto qui nel momento più difficile e non si è limitato a parlare di sostegno. L’ha dato». Il testo completo in allegato.

Il premier inglese fa parte di quell’ala atlantista-nato che preferisce – con il consenso dei super nazionalisti ucraini –  prolungare la guerra, per logorare la Russia di Putin scontando gli enormi sacrifici e lutti del popolo ucraino. Negativo è invece il giudizio sul ruolo di Boris Johnson espresso da Domenico Quirico in “Dimettersi durante la guerra è una prova di democrazia”, su La Stampa. Si legge. Johnson era, mediocremente, uno degli innumerevoli populisti blasonati, rampolli di élite scalcagnate ….. Politicanti che disprezzano i riti della democrazia proprio facendole false ed esagerate riverenze…. Ma con lo scoppio della guerra in Ucraina questo penoso commediante era diventato un pericolo per la pace universale. Perché lui la guerra grossa la voleva, la cavalcava, la aizzava, la sognava lunga, interminabilmente provvidenziale….Il premier britannico è diventato, ravvivandola di continui ardori, il «pasionario» della terza guerra mondiale alla Russia….Suoi fin dall’inizio gli sgambetti ad ogni ipotesi di trattativa considerata tradimento da pantofolai, suoi i missili che hanno affondato l’ammiraglia russa nel Mar Nero…Si preparava e preparava il pubblico già alla fase successiva del conflitto: il ritorno dei soldati inglesi sul Continente come nel 1940 per rimettere le cose a posto…..Per Johnson l’Ucraina era faccenda di politica interna, il salvacondotto per distrarre l’attenzione da ogni magagna che intralciava la sua carriera di leader. Boris il guerriero: così si immaginava dopo esser stato Boris che aveva sbertucciato i burocrati di Bruxelles. Ma l’effetto Brexit tra inflazione e Covid ormai era appassito da tempo. ….Usare la guerra in Ucraina lo rendeva pericoloso. Ma c’è in Gran Bretagna un istinto, pochissimo teorizzato, di fare quello che occorre al momento giusto. E questo era il momento giusto…..perché la guerra andava male (e va male) o perché il Paese si è scoperto in maggioranza pacifista. È stato cacciato perché i suoi stessi compagni di partito lo hanno considerato indegno, a causa dell’andare a ribotta in periodo Covid, delle bugie evidenti, dei collaboratori impresentabili. E un indegno non può guidare un Paese in guerra. Il testo completo in allegato

Lucio Caracciolo in “Mosca e Washington l’Ucrania che verrà” su La Stampa, così inizia. Molti fra noi occidentali sono stanchi di Ucraina, ma l’Ucraina non è stanca di noi. Da Kiev si lamenta il disincanto serpeggiante nelle nostre opinioni pubbliche, preannuncio di disimpegno dei decisori, ipersensibili agli umori degli elettori. Il racconto mediatico della guerra quale sequenza di orrori fuori d’ogni contesto e profondità storica, accompagnato da una comunicazione pubblica che per calmare le paure ha spesso finito per omettere dati di realtà, contribuisce all’effetto di straniamento prima, estraneazione poi. C’è fretta. Non solo perché i russi avanzano. Lo Stato ucraino è tecnicamente fallito. La moneta locale (grivna) è in caduta libera malgrado la Banca centrale abbia elevato il tasso d’interesse al 25% (sic). L’inflazione avvicina il 20%. Le entrate fiscali tendono allo zero. Il Tesoro di Kiev ha bisogno di 5 miliardi di euro al mese per evitare la bancarotta. Gli aiuti occidentali, cui abbiamo partecipato con 110 milioni a fondo perduto mentre promettiamo di prestarne altri 200, coprono i due quinti del fabbisogno. Presto l’Ucraina avrà urgenza di gas dall’Europa, che non otterrà perché non ne avremo a sufficienza per noi….  Ribadisce il principio che ha decidere della loro sorte sono solo gli ucraini, ma non rinuncia al dialogo-confronto riproponendo «…Imperativo bloccare l’emorragia e aprire la prospettiva della ricostruzione. Intrecciando diplomazia ed economia nella visione geopolitica fondata sulla persistenza di un soggetto ucraino neutrale ma ancorato all’Occidente, probabilmente amputato di almeno un quarto del suo territorio ma affacciato sul mare e connesso al cuore d’Europa. Non vera pace, tregua lunga….Forse non abbiamo colto che il 24 febbraio è lo spartiacque che bipartisce le nostre vite. Ci tocca l’esercizio che contavamo di poterci risparmiare: ragionare sulla guerra. Per non precipitarci dentro.»  Testo completo in allegato.

Francesca Mannocchi, in «Donbass tra traditi e traditori», La Stampa, con un reportage da Sloviansk racconta ciò che molti preferiscono non sentire, dei tanti ucraini russofoni che ad alcune domande rispondono «Ne na chasi», non è il momento, come quando si domanda se cinque mesi dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina, il sostegno della gente verso le decisioni di Zelensky sia solido come le prime settimane. Nel reportage si legge «Quando il veicolo si ferma nei sobborghi di Sloviansk, Roman suona il clacson, la gente esce alla spicciolata. Lui consegna una scatola dopo l’altra. Prima che le persone lascino il punto di ritrovo per tornare a casa, dice: siete in pericolo, lo sapete, posso portarvi via se volete essere evacuati. Due donne si scambiano uno sguardo di complicità, la più giovane guarda Roman e dice, in russo: «svoikh ne brosaiem», non lasciamo la nostra gente in mezzo ai guai. Roman si irrigidisce perché ha capito che quella frase non sia neutra ma che sia anzi un messaggio. Quando dice “la nostra gente”, la donna non pensa agli abitanti di Sloviansk, o meglio pensa a loro come parte del tutto. La nostra gente, anche per lei, ha il marchio Z dell’esercito russo. E quella frase, svoikh ne brosaiem, non li lasciamo in mezzo ai guai, campeggia tra i manifesti a sostegno dell’«operazione speciale», è uno degli incoraggiamenti di supporto della popolazione russa alle forze armate, è un frammento della propaganda del Cremlino per esaltare gli eroi di guerra…».  Testo completo in allegato

Sergio Romano, sul Corriere della Sera, ricorda «..In secondo luogo vi è stata nel secolo scorso un’altra guerra che aveva caratteristiche alquanto simili e che presentava rischi di cui dovremmo tenere conto. Era scoppiata quando la Francia, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, aveva cercato di recuperare quei territori della penisola indocinese che avevano fatto parte del suo Impero asiatico ed erano stati perduti durante il conflitto…Il tentativo si era scontrato soprattutto contro le popolazioni del Vietnam settentrionale, più vicine alla Cina popolare, e contro forze armate che godevano di un sostegno in armi e denaro fornito dalle due maggiori potenze comuniste del mondo: l’Unione Sovietica e la Repubblica popolare cinese…».  Il testo completo in allegato

Wlodek Goldkorn, su L’Espresso” intervista Michael Walzer. Così inizia.  Essere di sinistra, oggi, significa  stare dalla parte dell’Ucraina, battersi per l’uguaglianza e  giustizia sociale, e non rinunciare all’ideale del socialismo  con l’aggiunta di un aggettivo: liberale, e il riferimento a Carlo Rosselli è  esplicito. Schierarsi da una parte non esime tuttavia dal dovere di cogliere la complessità della situazione, che non è dar ragione un po’ a tutti, ma significa assumersi,  nel bene e nel male, le contraddizioni di  coloro con cui si simpatizza.  Michael Walzer, filosofo della politica, animatore della  rivista “Dissent” nata sessantotto anni fa  negli ambienti di intellettuali socialisti, democratici e anti-stalinisti di New York, professore emerito della School for Advanced  Studies di Princeton, a 87 anni è una di  quelle persone che potremmo definire “i  grandi vecchi”. E con lui abbiamo parlato  di cosa sono oggi la sinistra e la guerra in  un mondo che sta cambiando pelle. Perché bisogna stare con Kiev. Cosa è oggi l’occidente. L’attualità del socialismo liberale di Carlo Rosselli. Walzer rimarca che “..spetta alla popolazione ucraina decidere sul proprio futuro. Non possiamo avere la pretesa di stabilire noi cosa è meglio per loro.. Diamo per scontato che gli ucraini hanno il diritto di difendersi dall’aggressione di Putin e parliamo delle magagne dell’Occidente. L’intervento americano in Iraq finì con le torture ad Abu Ghraib, i curdi sono stati traditi dopo aver combattuto l’isis, l’Afghanistan è stato abbandonato dagli Usa. Ora c’è l’accordo in base a cui la Turchia ha tolto il veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato in cambio di una promessa di estradizione di curdi considerati da Erdogan terroristi. Altra cosa è ovviamente riconoscere a Turchia un ruolo nell’ emergenza del grano o nella possibile mediazione fra Russia e Ucraina….”. In allegato il testo completo delle molte domande.

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