La regola d’oro

Rùmine luglio 2022PierLuigi Ossola prosegue con le puntate di Rumine anche nei mesi di Luglio e Agosto, per questo mese utilizza alcune riflessioni che Armando Pomatto propone nel testo: “l’avvedutezza fa parte dell’amore”, enunciata nel Vangelo di Matteo. Scrive PierLuigi Non sono state inserite domande ma ogni lettore può  utilizzare l’apposita finestra per scrivere un commento. L’avvedutezza  fa parte dell’amore: il breve scritto di Armando Pomatto offre molta materia su cui rùminare ai credenti, ma anche ai non credenti. Lo ringrazio molto per questo suo contributo.”

L’avvedutezza fa parte dell’amore

LA REGOLA D’ORO PER UNA SAPIENTE CONVIVENZA  (Mt. 7,12)

Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro, poiché questa è la legge e i profeti.

La formulazione in positivo del testo della “regola d’oro” indica che l’agire cristiano deve essere caratterizzato dall’iniziativa personale non dalla reazione ad uno stimolo esterno: essere disponibili per primi, in ogni circostanza. Più che un principio etico (comportati bene per essere trattato bene) è una indicazione di come comportarsi. Tutti gli esempi contenuti nelle prescrizioni del discorso della montagna di cui la regola d’oro è la conclusione, delineano un quadro complessivo della vita cristiana; in questo orizzonte spetta al credente reinventare, alla luce del «grande comandamento», il senso profondo delle prescrizioni e adattarle ad ogni aspetto della vita nella relazione con il prossimo.

La richiesta esemplare e radicale, condizionata dalla contrapposizione tra Regno di Dio e il mondo, dell’amore per il nemico, avanzata da Gesù (Mt. 5,44), diviene qui la richiesta, rivolta a tutti, di una condiscendenza intraprendente e attiva. Istanza accettabile per coloro che non considerano gli altri sempre e inevitabilmente malvagi, e conservano la speranza della possibilità di un cambiamento in positivo di ogni situazione. L’amore che richiede un di più di giustizia, di pace, di rispetto reciproco come misura del comportamento e reclama allo stesso tempo avvedutezza nel proporsi all’altro, anche verso il nemico. [1]

Per Matteo non c’è contraddizione tra la regola d’oro e l’amore per il nemico, ma neanche totale assimilazione. Ciò che la regola d’oro presuppone come comunicabile, ragionevole e condivisibile, anche a livello politico, non esaurisce pienamente l’insieme delle richieste di Gesù. Infatti, esse prospettano, per il Regno che deve venire, quell’amore radicale di Dio per l’uomo e l’esigenza per quest’ultimo di testimoniare comunque gesti significativi che corrispondano a questo amore. Questo è possibile solo nella consapevolezza che non si è soli, perché colui che avanza tale richiesta, rimane con la sua comunità come signore risorto, tutti i giorni fino alla fine del mondo.

Gesù invita ad amare il nemico anche se crudele e malvagio, e questo gesto corrisponde alla misericordia estrema di Dio per i peccatori e i derelitti. Lo spostamento d’accento che la regola d’oro pone rispetto a queste richieste radicali, sottolinea il non facile cammino delle comunità di tradurre le esigenze del messaggio in azioni coerenti e comprensibili anche nel convivere civile. La pretesa esemplare dell’amore per il nemico, diviene qui l’invito rivolto a tutti, di una bontà intraprendente e attiva.

C’è dunque da chiedersi se questo comandamento sia utopistico e faccia violenza alla natura umana. Nella storia della nostra Chiesa le ambiguità e le strumentalizzazioni delle «buone intenzioni» per fini cristiani sono più che abbondanti; basti pensare alle crociate, alle guerre di religione, alle evangelizzazioni forzate, all’antigiudaismo cristiano.

Segno evidente che questo tipo di amore può esistere solo nell’esperienza della radicalità della fede e del dono di sé stessi.

Ne è chiaro esempio la vita di Charles de Foucauld, da poco riconosciuto «santo» dalla Chiesa cattolica. Prima militare, poi brillante esploratore dell’esercito francese di fine Ottocento; dopo un periodo di permanenza a Nazaret si convertì, dedicandosi pienamente ad una testimonianza evangelica. Divenuto prete si stabilì nel deserto del Sahara per una vita di preghiera, di lavoro e di assistenza ai poveri. Nel dicembre del 1916 venne ucciso nel suo eremo di Tamanrasset, trasformato in fortino per difendere la tribù dai predoni.

Un eloquente esempio, fuori dall’esperienza dell’Occidente, ci viene offerto dell’azione politica di Gandhi. In essa possiamo rintracciare un valido modello di lotta per la giustizia e la trasformazione della società, attraverso l’esempio e l’invito costante rivolto a milioni di persone alla non violenza per farne strumento di lotta politica.

La sua vita e la sua azione riflettono coerentemente l’alto valore insito nel messaggio della regola d’oro, il «principio di reciprocità», come principio fondamentale nella mediazione della propria esistenza attraverso l’altro; e cioè la capacità di costruire le relazioni in modo da innescare un circolo virtuoso alimentato da un’esperienza positiva (nel suo caso la non-violenza). Ha saputo trasferire il principio di reciprocità anche nel campo dello scontro tra «interessi» reciprocamente rivendicati. La possibilità di un conflitto tra le parti – le varie lotte per l’indipendenza e la decolonizzazione nel secolo scorso testimoniano abbondantemente questa possibilità – poiché era in gioco un bene comune da «sottrarre» o da «condividere»; nel primo caso il conflitto diventava inevitabile, nel secondo scattava la trattativa, l’accordo consensuale. Si puntava a trasformare il nemico in partner di dialogo, confronto e trattativa, questo grazie ad una interpretazione più alta, più evangelica diremmo noi cristiani, della logica della regola d’oro: il rispetto “intelligente” del nemico. 

Ma di questa «intelligenza» sembra essere scomparsa ogni traccia sia nei due conflitti mondiali di un secolo fa, sia nell’odierna situazione dove la guerra è distribuita «a pezzetti» un po’ dovunque ed è purtroppo enfatizzata in questi mesi dallo scontro in atto in Ucraina. La dimensione di questo conflitto proiettato in uno scenario apocalittico dove si trasforma una guerra non solo politica, ma anche culturale, ci obbligano in modo inedito a respingere letture superficiali e ad assumere un impegno etico che contrasti le inerzie dei moralismi o le facili assuefazioni a quanto sta accadendo.

Mi pare che la logica sottostante all’invito contenuto nella «regola d’oro», il principio di reciprocità[2], potrebbe costituire una significativa alternativa alle cause rivendicate o, peggio inventate, di questa guerra. Guardando oltre alle analisi degli eventi dell’ultimo secolo che hanno caratterizzato i rapporti tra i due popoli, emerge quanto l’eredità storica della Russia sia una questione ancora oggi fondamentale per il nazionalismo ucraino, e si sa quanto il principe Yaroslav di Kiev dell’anno Mille, sia reclamato come parte della propria identità nazionale sia dai russi che dagli ucraini, ed entrambi lo utilizzano come simbolo nazionale, persino sulle banconote. Perché non riproporre queste aspettative culturalmente e storicamente radicate, per promuovere tra i due popoli la ricerca di una identità futura comunitaria che rispetti lo sviluppo storico e le aspirazioni reciproche di entrambe le nazioni?

Nella misura in cui una nazione immagina sé stessa come individuo collettivo, in grado di coltivare autonomamente la capacità di produrre progetti e avere una propria storia, essa può giustamente rivendicare il suo compito come mantenimento della reciprocità delle relazioni internazionali. Riconoscere all’Ucraina questo cammino compiuto è l’inevitabile presupposto per avviare questo dialogo tra i due Stati. Solo questo riconoscimento renderebbe possibile individuare insieme l’orizzonte comune da condividere, un bene collettivo da ricercare insieme e goderne insieme, riconoscendosi in qualche modo debitori gli uni verso gli altri.

I cristiani hanno un ruolo in questo difficile cammino di comprensione e confronto? Le due confessioni, la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica possono giustamente ritrovare nel testo del vangelo di Matteo un illuminante stimolo per fermare questo naufragio di civiltà nella nostra Europa, proclamando l’alto valore religioso della riconciliazione.[3] Stimolo felicemente anticipato nel messaggio contenuto nell’enciclica Fratelli tutti di papa Francesco, quando invoca la “fiducia reciproca” come soluzione dei gravi problemi dell’attuale momento. [4]

Armando Pomatto

Luglio 2022


[1]
      Da notare che la Chiesa antica (anche Matteo) ha inteso «nemici» soprattutto in senso religioso e vi ha compreso anche i gentili [i non ebrei]. Cfr. Ulrich Luz, cit. Vol. I, p. 456, nota 4.

[2]
      Inteso anche nel suo alto significato prefigurato dal contesto evangelico di riferimento, che sostituisce alla pura dinamica dello scambio – dare/avere -, il riconoscimento reciproco di essere entrambi titolari e protagonisti del valore dell’accettazione reciproca, ispirata dal rispetto e dalla fiducia.

[3]
      Quando fede e nazionalismo si intrecciano perché i cristiani affermano di possedere una terra-patria, allora si innesca una miscela esplosiva e in questo caso i cristiani non aiutano a perseguire le vie della pace. Non solo l’ecumenismo è impedito ma il Vangelo è smentito. Allora diventa difficile dire che le religioni sono portatrici di pace. Enzo Bianchi sulla Repubblica, 16 /05/2022.

[4]
      Cfr. Enciclica di papa Francesco Fratelli tutti, n. 262. L’aggressione subita dal popolo ucraino e la sua necessità di difendersi, pone pur sempre gravi interrogativi al pacifismo di chi rifiuta qualsiasi tipo di guerra. Come comporre l’etica della pace con la necessità di difendere i valori democratici?

2 commenti
  1. redazione
    redazione dice:

    Adriano Serafino – Caro Armando nell’arco della mia vita sono sempre stato convinto che il concetto “ Tutto ciò che volete che gli uomini facciano a voi, fatelo anche voi a loro…” sia la regola d’ora per vivere bene a prescindere da “..poiché questa è la legge e i profeti” ancor più se collegato a “Amerai il prossimo tuo come te stesso..”. A prescindere se si sia credenti in una fede religiosa o meno.
    Mi piacerebbe molto discutere cosa s’intenda con il “prossimo tuo”: l’umanità genericamente intesa oppure la delimitazione indicata dalla parabola del buon Samaritano? Più semplice aderire alle parole della canzone anarchica “..la mia patria è il mondo intero” dove interagiscono tutte le classi sociali.
    Mi è molto difficile comprendere l’invito “ad amare il nemico inteso nel senso comune del termine”, ovvero anche come un potenziale Caino che incontri o ti viene a cercare, contrasta con la natura umana e il senso di autodifesa.
    Assai diverso è se il nemico a cui si riferiscono gli evangelisti è quello a cui si riferiva al tempo di Gesù e Tu indichi nella piccola nota 2, a piè di pagina, “Da notare che la chiesa antica (anche Matteo) ha inteso «nemici» soprattutto in senso religioso e vi ha compreso anche i gentili [ i non ebrei]. Cfr. ULRICH LUZ, cit. Vol.I, p. 456,nota 4. “
    Sarebbe anche interessante risalire ai testi in aramaico e alle prime traduzione in greco per conoscere quali sinonimi esistano al termine tradotto con “amore”. Mi piace pensare in riferimento alla noticina – che andrebbe riportata in grande in ogni riflessione – che l’invito sia quello di porre grande attenzione e dedizione (per conoscerle e innamorarsene in senso culturale) alle idee diverse, antagoniste e avverse (come sono spesso quelle religiose).
    Mi piace pensare che con quel richiamo di Gesù nasca l’anima del pluralismo praticato, il repitto e la conoscenza del “nemico”, cosa allora impossibile e come tutt’ora manca in gran parte del mondo anche dove formalmente esiste la democrazia rappresentativa con un’apposita legge.
    E poi…anche Matteo a distanza di anni dalla morte di Gesù, quando furono scritti i Vangeli, nel periodo della dispersione degli Apostoli, della caccia ai cristiani qualche “modifica” alle parole di Gesù (sentite o riportate) potrebbe averla involontariamente o volontariamente fatta .
    Mi piacerebbe discuterne in un apposito incontro. Tieni conte che anche dopo aver smarrito la fede, verso i venticinque anni, nel senso che ho abbandonato l’idea dell’esistenza di un Dio (come da catechesi cattolica) che ha inviato il suo figlio sulla terra, ho sempre mantenuto come vitale per l’umanità il messaggio di Gesù rivolto ai singoli, alla persona per un loro radicale cambiamento, per una rivoluzione personalistica comunitaria. Ciao Adriano Serafino

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    • Armando Pomatto
      Armando Pomatto dice:

      Caro Adriano, tento di dare qualche specificazione al mio testo. Grazie intanto per la tua attenzione.
      1. Chi è il mio prossimo. Parli dell’umanità “genericamente intesa” Direi di sì, come concetto astratto, come papa Francesco parla di Fratelli tutti. Il quale poi specifica e commenta proprio la parabola del Buon Samaritano, che non ha in sé limitazioni, anzi, definisce chi è “prossimo” nell’indicare proprio quel nemico (a i tempi di Gesù i samaritani erano vissuti come tali dai giudei, e non solo in senso religioso ) verso il quale risulta proprio difficile avvertirsi come prossimi. Tant’é. Il Vangelo, Luca in un modo, Matteo in un altro, sottolinea la necessità di decidere noi stessi chi sia il nostro prossimo, avvertire cioè l’incombenza di avvicinarsi all’altro (chiunque esso sia) come ” titolare e protagonista del valore dell’accoglienza reciproca”.
      2) A proposito di Matteo: ha volontariamente modificato e reinterpretato la vicenda di Gesù. Per circa trenta, quarant’anni la storia di Gesù è stata ricordata e trasmessa in forma orale da chi lo aveva conosciuto. Il primo a dare una struttura organizzata e scritta a tali racconti è stato Marco. Abbiamo visto che Luca e Matteo ne seguiranno l’impostazione, arricchendola con altre fonti, scritte e orali, e adattandola alle situazioni e alle preoccupazioni che le rispettive comunità stavano affrontando. Come Matteo, anche noi siamo invitati costantemente a reinterrogarci sull’esperienza tramandataci dagli evangelisti, dove lo stesso Gesù è proposto con accenti diversificati. Fare dunque frutto della loro esperienza e ripensare nell’oggi la figura del Maestro per non relegare nel passato il suo messaggio e il suo stile di vita.
      Buona estate e tanta serena speranza.
      Armando

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