Dopo la sconfitta elettorale di Mercedes Bresso, del centro-sinistra alle elezioni regionali, è iniziato nel Pd Torinese la corsa al dopo Chiamparino ( elezioni comunali nel 2011). Fuori tempo ed in malo modo. Non con un dibattito nel partito aperto a tutti gli iscritti e simpatizzanti ma per comitatini o sottocomitati elettorali com’è diventata la vita dei grandi partiti. Ci sono state anche autocandidature di esponenti con un lungo currilulum di partito. A fatto seguito l’iniziativa di Sergio Chiamparino con un’intervista con la quale ha proposto la formazione di una lista civica. Dopo alcuni giorni è seguita la lettera aperta di Giuseppe Berta e Bruno Manghi ( protagonista del conflitto con Benessia nella Fondazione SanpaoloIntesa) che hanno replicato ………..
“Caro Chiamparino, bene il metodo
ma il programma…”
GiUSEPPE BERTA e BRUNO MANGHI Su La Repubblica del 13-6-10
È sbagliata pensare che il problema fondamentale di Torino siano le infrastrutture
Bisogna puntare di più sul sociale e a un rinnovato patto tra generazioni
Caro Direttore, la proposta di una lista per Torino che rispecchi una vasta coalizione di interessi urbani, proiettandosi al di là delle appartenenzedipartito, ci sembra, non da oggi, la migliore ipotesi per il governo della città. Oltre dieci anni fa, avevamo avanzato una provocazione in questo senso anche per l’amministrazione regionale del Piemonte, convinti che lo schema del bipolarismo non dovesse prevedere una trasposizione meccanica nella sfera locale. Prima che imperasse la retorica del federalismo, avevamo avuto modo di esprimerci a favore di forme di rappresentanza politica capaci di rispecchiare l’assetto e la composizione delle differenti realtà territoriali. Ciò allo scopo sia di ridurre il divario tra politica e società sia di fare emergere le forze e le componenti indispensabii per lo sviluppo.
Dunque, non possiamo che concordare col sindaco Chiampanno, quando sollecita a varare per le prossime amministrative una lista più composita e ampia di quella che si potrebbe costruire in base alle logiche di partito.
Ma il nostro consenso si ferma al metodo, perché non ci convince invece il programma su cui questa coalizione urbana dovrebbe costituirsi, stando almeno alle prime anticipazioni.
Davvero si pensa che, oggi e nei prossimi anni, il problema fondamentale di Torino sia quello delle infrastrutture di collegamento internazionale?
Davvero si può credere che un nuovo ciclo di sviluppo possa essere affidato alla speranza – per giunta incerta – di opere infrastrutturali?
Quanto ci rende scettici di fronte a questa prospettiva non è soltanto l’estrema improbabilità dei finanziamenti necessari per avviare e sostenere le infrastrutture, bensì la consapevolezza della loro modesta ricaduta sull’economia e la società.
Dovremmo ricordare tutti le aspettative che erano state alimentate in seguito all’apertura dell’alta velocità ferroviaria tra Torino e Milano. Non è trascorso moltissimo tempo da quando sono stati presentati studi che parlavano di un effetto di crescita del PIL locale attorno al 2 per cento annuo.
Bene, ora che la linea è in funzione da oltre sei mesi è facile riscontrare, come stanno facendo le rilevazioni statistiche, che l’utenza interessata è di poche migliaia di persone al giorno, le quali, certo, hanno potuto trarre giovamento dalla riduzione dei tempi di percorrenza, senza che questo si sia finora riflesso in un innalzamento dell’efficienza economica.
Continuiamo a credere, invece, che la priorità ai fini dello sviluppo economico e civile debba essere accordato alle persone, prima che alle cose. Al capitale umano, alla sua formazione e alla sua qualità, se si vuole ricorrere al linguaggio degli economisti. E proprio su questo versante a Torino come in Italla, specie nell’attuale fase di crisi, c’è moltissimo da fare.
Un nuovo ciclo amministrativo della città dovrebbe fondarsi a partire da un rinnovato patto fra le generazioni. Un patto che riconosca i problemi specifici della popolazione di ogni fascia di età e ne valorizzi nel grado maggiore possibile le attitudini e le potenzialìtà.
Mai come adesso il lavoro dei giovani è stato sacrificato. Le indagini sociali ci parlano dei nuovi lavoratori come soggetti mal pagati e con poca tutela. Siamo riusciti a realizzare l’assurdo di aumentare la flessibilità (condizione necessaria nel processo economico odierno) riducendola valorizzazione e il riconoscimento della qualità del lavoro. Abbiamo così lavoratori molto flessibili e poco retribuiti, anche quando risultino in possesso di buoni livelli di istruzione. Si tratta di un paradosso che, oltre a penalizzare gravemente il lavoro giovanile e femminile, tarpa le ali alla ripresa di uno sviluppo robusto.
L’infanzia è destinata ad avere un crescente rilievo. Occorre tornare a riflettere sulla cura e l’attenzione che portiamo ai bambini, in specie se teniamo presente che le nostre aule scolastiche sono sempre più popolate dai figli degli immigrati. La politica della cittadinanza attiva parte di qui, dalla sollecitudine per i primi anni di vita e dalla creazione di un universo per i più giovani che sappia immetterli in un circuito di opportunità, personali e sociali. Senza trascurare che è nella fascia da 0 a 3 anni che si formano i primi livelli di diseguaglianza sociale, incidendo sullavoro delle donne.
Nella nostra realtà in particolare, la terza età è ormai sfociata nella quarta. Una lunga prospettiva di vita è un indicatore essenziale di benessere. Dobbiamo sapere che, se in una prospettiva ventennale i “grandi” vecchi sono la classe d’età della popolazione che può aumentare di più, ciò richiede, oltre che risorse, capacità di progettazione e di gestione sociale. Esige un scatto in avanti nelle strategie dell’assistenza delle famiglie, che vanno coadiuvate nella definizione di un mix atto a garantire una buona qualità di sopravvivenza.
Il patto tra le generazioni ci sembra il passo prioritario nella ricerca di una nuova coalizione urbana. Per avere successo, essa dovrà riuscire a coinvolgere persone che sono rappresentative senza essere per questo note alle cronache, come è ovvio in un processo di avvicendamento. Il rischio che intravediamo nella proposta del sindaco è che essa si rivolga ancora una volta a un establishment torinese ormai estenuato, come dimostrano le recenti vicende in cui ha fornito ben modesta prova di sé.
Diciamolo chiaro: la chiamata alla partecipazione al progetto di creare una nuova stagione amministrativa non può essere rivolta in primis a chi tiene banco da decenni, avendo ormai largamente varcato i propri limiti di competenza, oltre che di età.
Facciamo invece crescere nuovi protagonisti, in grado di prendere su di sé le responsabilità amministrative senza tutele paternalistiche.
Il municipio di Torino non ha bisogno di un sindaco-demiurgo, ma di una personalità non importa se uscita dalla politica organizzata o dal mondo delle competenze e delle professioni. che possegga in primo luogo la dote di suscitare energie al di fuori dell’ambito istituzionale e di partito. Che sappia persuadere, con gli atti ancora più che con le parole. Che sappia dialogare col nucleo della città come col suo hinterland.
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