Giovani e politica:reduci dal nulla? Se la generazione dei trentenni è sfiduciata o disincantata come la dipinge il giovane professor Jacopo Ciravegna, è meglio tirare su la saracinesca della riflessione più profonda perché altrimenti prevale il lasciar perdere: il mondo non cambia più. Triste e spietato, il libro descrive con una punta di autocompiaciuto distacco ironico il grave decadimento dei luoghi della politica e la loro inesorabile progressiva autonomizzazione da ogni progetto di valore.
In una zona dell’hinterland torinese che si può sospettare compresa fra Nichelino e Vinovo (negli anni ’70 grande serbatoio di voti e di militanti comunisti provenienti dalle lotte bracciantili del meridione o del ferrarese e miscelatisi grazie all’esperienza della grande fabbrica e della buona amministrazione), Roberto, Chiara, Michele e Gianni vorrebbero riversare nei luoghi della politica la loro volontà di protagonismo. Il libro spiega perché i volenterosi tribolano nel costruire “L’intercomunale, futura umanità” che dà il titolo all’opera.
Gli ostacoli sono gli adulti traumatizzati dalla fine del Pci e gloriosamente abbarbicati alla resistenza rappresentata dalle feste dell’Unità, vero corso di addestramento alla carica di assessore, consigliere comunale, sindaco o addirittura deputato se dimostri capacità organizzative con le costine, con la contrattazione dei compensi alle orchestre, con la gestione delle birrerie e con il coordinamento tra gli elettricisti e i riparatori di friggitrici. Tutte abilità rispettabili, intendiamoci.
Ma, a ben vedere, l’ostacolo più formidabile non è il tesoriere che non si fida mai abbastanza di investire per i giovani. Non più comunisti (o mai stati tali per ragioni anagrafiche) e paradossalmente nostalgici del comunismo e del grande Pci per cui sono stati educati fin da bambini a fare il tifo, i giovanotti battono una nasata dopo l’altra contro se stessi. Se la narrazione di Ciravegna ha un pregio, è quello di squadernarci senza ritegno il grigio che colora la quotidianità di questi ambienti politici, con le loro pratiche di reclutamento e con le loro Debore Serracchiani da scoprire, mandare al Parlamento europeo e dimenticare o neutralizzare.
Riservano grande attenzione alle confezioni e guardano con casualità o indifferenza ai contenuti, scelti non per il loro valore, ma per il potere di attrazione che possono esercitare facendosi largo nella giungla dei messaggi della pubblicità e dei linguaggi dello spettacolo. Fabbricano eventi a sostegno dell’immagine del partito. Svalutano l’ideologia (qui si aprono porte sfondate) che però convive con la nostalgia per l’Urss sempre madrepatria. Si nutrono di non violenza e di valore universale della democrazia che non sanno però separare dal mito del Che. Abbracciano l’irreversibilità del riformismo che sbocca ineluttabilmente nella socialdemocrazia o anche “purtroppo” socialdemocrazia. Intrecciano la condanna degli iscritti-fantasma con la polemica contro gli sprechi dei funzionari o contro gli onorevoli che sbagliano a stringere le mani dei dirigenti locali e poi spariscono dopo le prove elettorali. E’ meglio essere in tanti. Meglio pochi ma buoni se si è in pochi a uscire con un giornalino o un volantino, ma su che cosa lo facciamo?
Dittature, diritti umani, economia, ecologia, lavoro, immigrazione, urbanistica, laicità o sanità: parole che nel libro di Ciravegna non compaiono se non per essere sommerse da tonnellate di buon senso o dal linguaggio obliquo dell’ironia e “non è il caso di parlarne adesso tanto non si arriva a nulla”. I giovanotti non sono diversi dagli adulti al potere dei quali vorrebbero ribellarsi e dai quali hanno ricevuto messaggi deboli. Filo da torcere lo trovano dalle parti di Lotta comunista, che parla delle crisi cicliche del capitalismo. Ma invece di torcere il filo lasciano precipitosamente il campo e vanno dove Berlinguer è la nostalgia dell’utero (p.293). Troppo e troppo poco, anzi terribile, ma ecco un’idea: e se facessimo una festa del tesseramento?
Ciravegna descrive i suoi coetanei come soggetti svogliati. Arrivano in ritardo alle riunioni. Non sono seri nel mantenere gli impegni. Sono pigri e renitenti ad ogni forma di fatica. Sono incolti perché non leggono e dunque non hanno memoria. O sono elitari perché intellettualoidi. O appaiono cinici perché nei loro patetici tentativi di costruire un’organizzazione giovanile, subito pensano prevalentemente a come fare per attirare consensi o per guidarla, non si sa bene dove. I giovani descritti da Ciravegna non sembrano avere una grande opinione di sé e non si può dire che seguano l’invito di Paolo di Tarso a fare a gara nello stimarsi reciprocamente. Quei giovani hanno perso l’ingenuità, che però ha trascinato via con sé anche l’entusiasmo, l’ottimismo e la generosità, requisito senza il quale ogni forma di militanza politica diventa pratica per stare sempre comodamente nella maggioranza (è impossibile), una sorta di recita per l’autopromozione.
Eppure, nonostante le premesse, il prefatore Gianni Oliva è entusiasta di questo microgruppo in ”controtendenza”. Ma no, sono perfettamente allineati con le spinte alla spettacolarizzazione, alla ricerca di un leader, alla delega e alla nostalgia. Ciravegna ringrazia compagne e compagni, amici e amiche che hanno condiviso con lui “emozioni, lotte e speranze”. Ma io non ho capito quando si emozionavano. Non ho trovato a quali lotte hanno partecipato. Non so in che cosa sperano. Devo ammettere, però, di essere stato anch’io uno come Roberto, Chiara, Michele e Gianni. Forse più fortunato per il contesto e per gli incontri che vi ho fatto. Tuttavia, ora non sono pessimista come sembra Jacopo Ciravegna. Sto dalla parte di Antonio, l’esempio negativo per l’assenteismo che lo porta a judo e a disertare sistematicamente le riunioni. Secondo me, invece, è il più saggio. Chi vuol contribuire concretamente a far progredire l’istruzione, la salute, i disabili, l’uguaglianza, l’integrazione degli stranieri e l’ecologia sta alla larga da questi ambienti, perché rischia di passare molti anni ad aspettare un leader per cui fare il tifo, cioè a friggere aria e poi a guardarsi indietro per scoprirsi reduce dal nulla.
Non è vero che i giovani sono perduti perché abbandonano i luoghi della politica. E’ vero il contrario: i luoghi della politica sono perduti e perciò i giovani (non solo loro!) li abbandonano. Chi tra loro si vuole impegnare, preferisce il volontariato. E’ giusto che stiano alla larga, perchè noi li roviniamo con la prospettiva di un assessorato o di un incarico in apparato, allettante per alcuni, ma troppo povera per molti.
J. CIRAVEGNA, L’intercomunale futura umanità, Enricofolcieditore, 2009, p. 295, euro 13.
Buongiorno, sono Jacopo Ciravegna e solo ora ho letto il suo articolo. Avrei voluto scriverle una email privata, ma non ho trovato i recapiti. In pubblico, non voglio dilungarmi. Mi permetta però di ringraziarla sinceramente non solo per lo spazio che ha concesso al mio romanzo, ma anche per la qualità del suo articolo, che ho trovato chiaro, lucido e profondo, e che ho apprezzato anche nelle parti critiche. Grazie.