Cisl 1 – Chi l’ha visto?Chi l’ha letto?
Quanti saranno i componenti delle segreterie Cisl (4.324 per tutte le strutture orizzontali e verticali) che hanno letto con attenzione il testo del disegno di legge sul salario minimo sotto riprodotto? Quanti dei 32.507: tra operatori e dirigenti sindacali verticali e orizzontali? I dati dell’organico Cisl sono tratti dal Bilancio di missione della Cisl del 2019-20 . Vedi con questo link https://www.cisl.it/cose-la-cisl/bilanci-tesseramenti-e-retribuzioni-segretari-confederali/. Poniamo questa domanda dopo il rapido giudizio – fin troppo! – il niet del Segretario Generale Cisl Luigi Sbarra. Il testo è molto articolato e approfondito – in particolare la premessa – per capire se il salario minimo per tutti, con una norma legislativa, aiuta lo sviluppo o ostacola la contrattazione sindacale. Il salario minimo legale è un primo e importante tassello per affrontare il salario povero alimentato dai contratti a termine, dai sub-appalti, dalle false partita Iva, dalle cooperative irregolari. Questo è il primo di altri 3 abstract correlati. Di seguito pubblichiamo un ampio stralcio del testo depositato che potete leggere integralmente nell’allegato.
<< Disposizioni per l’istituzione del salario minimo – ONOREVOLI COLLEGHI E COLLEGHE! In Italia, come ha rilevato nel 2021 la Confederazione europea dei sindacati (ETUI and ETUC) nel suo studio Benchmarking Working Europe 2020 (Brussels, ETUI, 2020), già prima della crisi economico-sociale dovuta alla pandemia, il numero di lavoratori esposti al rischio di povertà era aumentato sensibilmente nel secondo decennio del secolo. Il fenomeno ha trovato approfondimento e conferma nella Relazione curata dal Gruppo di lavoro “Interventi e misure di contrasto alla povertà lavorativa” istituito con Decreto Ministeriale n.126 del 2021. Da tale relazione si evince inoltre che, coerentemente col ben noto fenomeno del gender pay gap, la quota di lavoratori poveri definiti con riferimento al reddito di lavoro annuo netto risulta, nel 2017, pari al 16,5% fra gli uomini e al 27,8% tra le donne (collocandosi al 22,2% in totale, in forte crescita dal 17,7% del 2006).
Si evidenzia inoltre che il rischio di bassa retribuzione risulta elevatissimo (53,5%) tra chi nell’anno lavora prevalentemente a tempo parziale. Il fenomeno delle basse retribuzioni riguarda anche il lavoro parasubordinato e autonomo, specialmente nei casi di eterodirezione e monocommittenza. La crescita del fenomeno dei working poor si accompagna anche alla crescita della distanza che li separa dal resto dei lavoratori dell’Unione europea, come ci ha mostrato il rapporto Eurostat In-work poverty in the EU del 16 marzo 2018, secondo cui in Italia l’11,7 per cento dei lavoratori dipendenti riceve un salario inferiore ai minimi contrattuali, dato ben al di sopra della media dell’Unione europea, che si attesta al 9,6 per cento. Come è stato ormai dimostrato da una ampia letteratura, la misura più idonea a contrastare il fenomeno è la fissazione in via legislativa dei minimi salariali. Un salario minimo legale esiste nella grande maggioranza degli Stati membri dell’Unione europea. Esso non è previsto nei Paesi nordici (Danimarca, Svezia, Finlandia), in Austria e in Italia. L’ultimo Paese che ha provveduto all’introduzione di un salario minimo legale, la Germania, lo ha fatto nel 2015 proprio per rimediare a un insufficiente e anzi rapidamente decrescente livello di tutela della forza lavoro mediante la contrattazione collettiva, fissandolo a 12 euro nell’ottobre 2022. (…) >>
Alle pagine 2-3 si legge. << …Dal quadro sopra delineato si può agevolmente concludere che l’attuale assetto della contrattazione collettiva necessita di essere sostenuto e promosso dall’ordinamento statuale al fine di garantire a tutti i lavoratori italiani l’applicazione di trattamenti retributivi dignitosi. Quel che va sottolineato è che con la presente legge l’Italia rimarrebbe tra i sei paesi europei in cui la fissazione di un salario minimo è demandata alla contrattazione collettiva; sia per i minimi contrattuali tabellari sia per il trattamento economico complessivo la retribuzione dovuta è quella stabilita della contrattazione collettiva dei sindacati cui si è iscritti, con il vincolo però che essa non possa essere inferiore rispettivamente alla soglia minima di 9 euro per il TEM e a quanto stabilito da i sindacati comparativamente rappresentativi per il TEC.
L’introduzione di una disciplina sul salario minimo che valorizzi il ruolo della contrattazione collettiva deve tenere conto di alcuni ostacoli. I contratti collettivi non sono dotati di efficacia erga omnes, attesa la mancata attuazione dei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 39 della Costituzione. Ciononostante la giurisprudenza utilizza, nella stragrande maggioranza dei casi, i trattamenti minimi fissati dal contratto collettivo quale parametro per l’individuazione della retribuzione sufficiente ai sensi dell’articolo 36 della Costituzione. Occorre altresì considerare che esiste una normativa settoriale che può fungere da esempio. Infatti, per le società cooperative nelle quali il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio, l’articolo 3 della legge 3 aprile 2001, n. 142, prevede che«Fermo restando quanto previsto all’articolo 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300» – cioè l’obbligo per i beneficiari di sostegni pubblici, gli appaltatori di opere pubbliche e i concessionari di pubblici servizi di applicare condizioni non inferiori a quelle risultanti dai contratti collettivi – «le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine».
Inoltre, per risolvere contrasti insorti nel sistema di relazioni industriali tra differenti organizzazioni delle società cooperative, che avevano prodotto la stipulazione di differenti contratti collettivi con trattamenti economici molto differenziati, il legislatore è tornato sul tema disponendo, all’ articolo 7, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 2007, n. 248, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 2008, n. 31, che «Fino alla completa attuazione della normativa in materia di socio lavoratore di società cooperative, in presenza di una pluralità di contratti collettivi della medesima categoria, le società cooperative che svolgono attività ricomprese nell’ambito di applicazione di quei contratti di categoria applicano ai propri soci lavoratori, ai sensi dell’articolo 3, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, i trattamenti economici complessivi non inferiori a quelli dettati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale nella categoria». Le censure di costituzionalità mosse a quest’ultima disposizione sono state dichiarate non fondate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 51 del 26 marzo 2015, la quale ha espressamente affermato: «Nell’effettuare un rinvio alla fonte collettiva che, meglio di altre, recepisce l’andamento delle dinamiche retributive nei settori in cui operano le società cooperative, l’articolo censurato si propone di contrastare forme di competizione salariale al ribasso, in linea con l’indirizzo giurisprudenziale che, da tempo, ritiene conforme ai requisiti della proporzionalità e della sufficienza (art. 36 Cost.) la retribuzione concordata nei contratti collettivi di lavoro firmati da associazioni comparativamente più rappresentative».
Orbene, l’assetto che ne deriva pone un delicato
Orbene, l’assetto che ne deriva pone un delicato problema – già rilevato dai commentatori di quella sentenza – di differenziazione ingiustificata tra la posizione giuridica dei soci lavoratori delle cooperative, cui è garantito un trattamento economico complessivo non inferiore a quello derivante dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, e quella dei dipendenti di imprese individuali o società di capitali, cui tale livello di trattamento economico è garantito con tutte le oscillazioni e le limitazioni della giurisprudenza ordinaria fondata sull’articolo 36 della Costituzione, cui si faceva cenno in precedenza. In effetti, per la generalità del lavoro al di fuori del settore cooperativo non esiste uno strumento che dia certezza del diritto ai datori di lavoro e ai lavoratori, che contrasti efficacemente forme di competizione salariale al ribasso e che garantisca dunque la correttezza della competizione concorrenziale sul mercato da parte delle imprese. Per superare questa situazione, la presente proposta di legge mira a generalizzare l’osservanza dei livelli retributivi previsti dai contratti collettivi, deflazionando e semplificando il contenzioso in materia retributiva che grava sulla giustizia del lavoro; a sostenere per questa via l’attività di regolazione del mercato del lavoro liberamente compiuta dalle parti sociali, che sono le autorità salariali più idonee allo svolgimento del compito, senza sostituirsi ad esse; a regolare con facilità e immediatezza il tema della retribuzione proporzionata e sufficiente prescritta dall’articolo 36, primo comma, della Costituzione, senza pregiudicare l’eventuale volontà del Parlamento di dare una soluzione generale al problema dell’efficacia generale dei contratti collettivi, secondo le previsioni dei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 39 della stessa Costituzione.
Proprio per questo la presente proposta di legge:
- definisce in modo certo, eguale per tutti i rapporti di lavoro e cogente il trattamento economico, che integra la previsione costituzionale della retribuzione proporzionata e sufficiente, in modo che questa non sia inferiore al trattamento previsto dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più 4 rappresentative, per i lavoratori subordinati, come pure per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato che presentino analoghe necessità di tutela
- ferma restando l’applicazione generalizzata del CCNL, a ulteriore garanzia del riconoscimento di una giusta retribuzione, introduce una soglia minima inderogabile (9 euro all’ora), per tutelare in modo particolare i settori più fragili e poveri del mondo del lavoro, nei quali è più debole il potere contrattuale delle organizzazioni sindacali. La soglia opererebbe solo sulle clausole relative ai «minimi», lasciando al contratto collettivo la regolazione delle altre voci retributive;
- garantisce l’ultrattività dei contratti scaduti o disdettati;
- conformemente a quanto previsto anche nella direttiva, istituisce una Commissione tripartita composta dalle parti sociali comparativamente più rappresentative che avrà come compito principale quello di aggiornare periodicamente il trattamento economico minimo orario.
- La disciplina proposta si premura inoltre di introdurre un’apposita procedura giudiziale, di matrice collettiva, volta a garantire l’effettività del diritto dei lavoratori a percepire un trattamento economico dignitoso.
Un esame puntuale di ognuno degli otto articoli che compongono la proposta di legge, permette di segnalare ulteriormente le scelte qualificanti che sono a loro sottese.
L’art. 1 definisce il campo e l’ambito di applicazione del presente progetto di legge che attua l’art- 36 della Costituzione. Tutti i datori di lavoro devono corrispondere ai loro dipendenti ex art. 2094 cod. civ. una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestata. Il capoverso dell’art.1 estende le previsioni di cui al comma precedente ai rapporti di collaborazione di cui all’art. 2 del d.lgs. 15 giugno 2015, eccetto per i rapporti previsti alla lettera b) e c) del comma 2 del presente comma. L’ultimo comma dell’art.1, attuando l’art. 35 primo comma e 36 primo comma della Costituzione, stabilisce che per coloro che prestano attività come collaboratori di un contratto di agenzia o in relazione ad un rapporto d’opera coordinato e continuativo prevalentemente personale e non di lavoro subordinato di cui all’art. 2 D.Lgs n. 81/2015 (i cosiddetti collaboratori eterorganizzati i quali sono già equiparati ai lavoratori subordinati in virtù di una sentenza della Corte di cassazione ) o, ancora, effettuino prestazioni di natura intellettuale o manuale di cui all’art. 2222 cod. civ. il committente è tenuto a corrispondere un compenso proporzionato, avuto riguardo al tempo necessario per conseguirlo. La norma vuole quindi superare un compenso meramente contrattuale e riferito al risultato e vuole integrare la valutazione del tempo necessario a conseguire tale risultato in modo da impedire compensi troppo bassi.
L’art. 2 stabilisce che la retribuzione complessiva adeguata e sufficiente dovuta a tutti i lavoratori ai sensi dell’art. 36 Cost. è data dal “trattamento economico complessivo” (noto come T.E.C), comprendente non solo il trattamento economico minimo (T.E.M.), ma anche gli scatti di annualità, le retribuzioni aggiuntive e le indennità contrattuali fisse e continuative, previste dal contratto collettivo, sottoscritto per il settore di effettiva attività aziendale dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative. Viene chiarito, per evitare equivoci, che questo trattamento economico complessivo dovuto ai lavoratori non impedisce che vengano stipulati anche contratti collettivi più favorevoli con efficacia limitata agli iscritti, essendo principio generale del diritto del lavoro l’efficacia e la validità delle pattuizioni sia individuali che collettivi di miglior favore. Il capoverso dell’art. 2 contempla poi il valore salariale minimo orario (detto anche trattamento economico minimo orario, o T.E.M.) che sostituisce, occorrendo, quello inferiore previsto ovviamente per le qualifiche più basse da vari contratti collettivi. Tale valore è fissato in 9,00 euro lordi orari. Infine il terzo comma dell’art. 2 contiene un importante rinvio di futura regolamentazione entro 12 mesi, e con decreto legislativo, del trattamento economico minimo dovuto per il lavoro domestico che recepisca i principi della presente legge mutuandoli sulla particolarità del settore.
L’art. 3 offre alcune importati precisazioni per l’ipotesi che vi siano più contratti collettivi nazionali applicabili con preferenza, allora, per i contratti stipulati dalle associazioni comparativamente più rappresentative (commi 1 e 2); fermo rimanendo il rispetto per le tariffe orarie del capoverso dell’articolo precedente. Il terzo comma regola il caso che nel settore di riferimento manchi un contratto stipulato dalle associazioni comparativamente più rappresentative; in questo caso per determinare il T.E.M. alla luce del primo comma dell’art. 2 si fa riferimento al quanto stabilito in altro contratto del settore che regola mansioni equiparabili. Laddove manchi nel settore una contrattazione collettiva si applica quella (quarto comma) che disciplina mansioni equiparabili sottoscritta dalle associazioni comparativamente più rappresentative
I commi 5 e 6 dell’art. 3 dettano, poi, fondamentali previsioni relative alla concreta applicazione ai lavoratori autonomi di diversa tipologia del principio del compenso adeguato e sufficiente, ed invero in applicazione del principio generale di compensare il risultato quanto meno con riguardo al tempo di lavoro necessario per ottenerlo; si deve, far riferimento a come quel tempo di lavoro viene retribuito dai contratti collettivi comparativamente più rappresentativi ai lavoratori subordinati che svolgono mansioni comparabili con quelle dei lavoratori autonomi interessati, se mancano accordi collettivi applicabili .Per solo coloro che prestano attività ex art. 2222 cod. civ. è aggiunto (comma sei) che aggiunge un secondo comma all’art. 2225 (che stabilisce il compenso per tali lavoratori nel sistema codicistico) che stabilisce che il compenso che non può essere inferiore a quanto stabilito dal contratto collettivo che disciplina, nel medesimo settore, mansioni equiparabili stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi
L’art. 4 contiene una regola quanto mai necessaria per la funzionalità del sistema, e cioè quella della ultrattività dei contratti collettivi comparativamente più rappresentativi costituenti punto di riferimento per la garanzia ex art. 36 Cost. di fruizione del trattamento economico complessivo. Tale riferimento resta fermo anche dopo l’eventuale scadenza o disdetta del contratto collettivo, ancorché una ultrattività del regolamento contrattuale non sia prevista, come invece per lo più accade, dallo stesso contratto collettivo.
L’art. 5 prevede opportunamente la costituzione di una Commissione (i cui membri sono indicati dalla norma) che propone l’aggiornamento del valore soglia del T.E.M. inizialmente fissato, come detto, in 9,00 euro orari, aggiornamento da effettuarsi, su proposta della Commissione, dal Ministero del Lavoro. La Commissione svolge anche compiti di controllo e monitoraggio sull’effettivo rispetto della retribuzione complessiva sufficiente ed adeguata alla qualità del lavoro prestato e sull’andamento della contrattazione collettiva nei vari settori.
L’art. 6 introduce, poi, un procedimento giudiziario di grande importanza per la repressione di condotte elusive della normativa in tema di garanzia del trattamento economico complessivo, condotte che possono realizzarsi nelle modalità più varie, tra cui, ad esempio, dei falsi contratti a part-time nei quali il lavoratore viene retribuito in perfetta coerenza con i contratti collettivi, ad esempio per 20 ore settimanali, ma è obbligato a lavorare per 40 ore settimanali, così ricevendo, in definitiva, una retribuzione dimezzata. Altra elusione diffusissima e quella di costringere il lavoratore a restituire parte del salario formalmente corrisposto in modo regolare, e così via. Il procedimento giudiziario previsto dall’art. 6 è ricalcato su quello dell’art. 28 Legge 20 maggio 1970 n. 300 in tema di repressione di comportamento antisindacale che ha dato luogo, in decenni, a ottima prova. Quanto mai importante, infine, è l’esplicito richiamo che si legge nell’art. 6 dell’istituto della diffida accertativa di cui all’art. 12 D.lgs 124/2004 che segna una vera rivoluzione nella lotta al sottosalario, perché grazie a quanto stabilito negli articoli 1 e 2 del progetto diverrà possibile quantificare ex ante il trattamento minimo retributivo cui il lavoratore ha diritto ex art. 36 6 Cost. e dunque, procedere su base certa al suo recupero in via amministrativa attraverso l’Ispettorato del Lavoro.
L’art. 7 prevede che la legge di bilancio per il 2024 definisca un beneficio temporaneo per accompagnare l’adeguamento al trattamento economico orario di 9,00 euro delle eventuali più basse retribuzioni previste da contratti collettivi di settori meno sviluppati da un punto di vista sociologico.
L’art. 8, infine, fissa l’entrata in vigore della legge, individuando nella data del 15 novembre 2024, che è anche quella ultima di doveroso ricevimento della Direttiva UE 19 ottobre 2022 n. 2041, quella necessaria al fine di consentire ai contratti collettivi di aggiornarsi ed adeguarsi alla presente legge e al T.E.M. ora inizialmente previsto, come detto, in 9,00 euro orari…. >>
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